sabato, novembre 18, 2023

Rinascimento: quante banalità dure a morire

Arriva in libreria un saggio britannico annunciato da titoli, in inglese come in italiano, densi di luoghi comuni. Si tratta comunque – denunzie e demonizzazioni a parte – di un onesto trattato di storia italiana di facile e gradevole lettura.

Catherine Fletcher, Il libro nero del Rinascimento, Milano, Garzanti, 2022, pp. 466, euri 28,00.

Ti arriva sul tavolo un volume come questo ed ecco che t’invade la malinconia. Questo libro è stato salutato nientemeno che dal Sunday Times con le severe parole indirizzate ai lettori: “Se pensavate che il Rinascimento fosse solo bei quadri e riscoperta dei classici, vi sbagliavate di grosso”. E non dico l’illustre studioso, ma perfino il modesto travet della cultura media – l’insegnante, il recensore librario sui quotidiani – si chiede: ma come, siamo ancora a questo punto? Credevamo fosse chiaro che da circa due secoli i Gregorovius, i Michelet, i Burckhardt, sia pure svolgendo egregiamente il loro compito di scopritori e di divulgatori, avevano diffuso a proposito di quel lungo periodo della storia della civiltà e delle arti d’Europa, durato grosso modo dalla seconda metà del Tre a quella del Cinquecento, una massa immensa e inestricabile di pregiudizi e di luoghi comuni. Li abbiamo contrastati per lunghi decenni: abbiamo studiato i due lunghi periodi di crisi climatica, demografica, socioeconomica da concentrazione della ricchezza e da una spaventosa sperequazione, abbiamo rivelato i retroscena politici e le messinscene mediatiche sottostanti alla meravigliosa avventura del “mecenatismo”, non abbiamo certo taciuto le guerre, i colpi di stato, le congiure. E abbiamo anche corretto molti, troppi “luoghi comuni”.
Machiavelli non fu mai un apologeta del crimine voluto e prezzolato da un tiranno; e la virtuosa Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara non fu affatto un’avvelenatrice.
Macché. Niente da fare. “Invidïosi veri”, direbbe il Padre Dante, come al solito predicando al vento. Gli occhiuti e sovente assoldati custodi del conformismo bignamesco non demordono. E hanno dalla loro due potenti alleati: anzitutto la pigrizia di molti insegnanti e di molti “addetti ai lavori” o sedice nti tali ai quali l’aggiornamento pesa; quindi il dogmatismo ottuso di troppi “operatori mediatici” pronti a smascherare qualunque forma di “revisionismo”, come dicono loro. Guai a sostenere che il “luminoso” Rinascimento non fu né sempre né dappertutto tale e che il “buio” medioevo non è mai esistito: non ci sono né fonti né studi, né argomenti che tengano. Vero è tuttavia che qua e là certe cose si rimettono in discussione: magari, anche lì, a costo di ulteriori malintesi.
Prendete il grosso libro di Catherine Fletcher, brava studiosa della Manchester Metropolitan University e collaboratrice della Bbc, la quale – esplicitamente rivolta ai suoi studenti, ai quali esso è dedicato – ha scritto un saggio dal titolo The beauty and the terror: an alternative history of the Italian Renaissance. Ebbene: alternative history  in che senso, e a che cosa? Con ogni evidenza, a una tradizione troppo “aurea”, o “rosata”, del Rinascimento italiano sereno scrigno di bellezza, almeno secondo una certa visione soprattutto angloamericana che fa scuola dai tempi di Burckhardt e che continua a riversare sulle nostre città e i nostri lidi – il che, tuttavia, è lontano dal farci dispiacere – legioni di turisti che annualmente invadono le strade e le piazze di Venezia o di Firenze, per quanto ameremmo fossero un po’ più educati e un po’ meno parsimoniosi. Ma l’editore italiano ha trovato il titolo inglese, tutto sommato, molto poco impressionante nella nostra lingua e dalle nostre parti. Noi, alla bellezza mischiata al terrore ci siamo tutto sommato piuttosto abituati. Semmai, una parvenza di “provocazione” in più poteva pervenire – si è pensato – dall’espressione “Libro Nero”, c he richiama alcuni, numerosi pamphlets politici specie antifascisti, anticomunisti e antiamericani. Anche il nostro caro, vecchio Umberto Eco (che ci manca molto) aveva collezionato esempi rinascimentali con i quali puntellare la tesi da lui esposta in un saggio, Il fascismo eterno (edizioni La Nave di Teseo), che onestamente non è tra le sue cose più brillanti.
E di storie rinascimentali “nere”, a onor del vero, ce ne sono molte: il che nulla toglie, va da sé, all’eccezionalità artistica e intellettuale di quel periodo. Ciò detto, bisogna notare che il contenuto del libro forse non rende intera giustizia al titolo italiano, mentre quello inglese a modo suo resta più adatto a descrivere la ricchezza dell’arte rinascimentale in rapporto al cinismo e sovente alla spietatezza con la quale alcuni potenti si facevano committenti d’arte per appoggiare il loro regime per mezzo di una sapiente rete di terrore, di complicità e di consenso. Questi potrebbero essere i tre key-word che dominano un libro ben costruito, denso di eventi accuratamente, anche se sinteticamente, narrati, che si apre su un quadro dell’Europa del Quattrocento per poi parlare delle corti, delle guerre, del Nuovo Mondo, della Riforma e Controriforma, delle guerre di religione, del pericolo turco. Un onesto tracciato storico di storia italiana che riesce di facile e gradevole lettura.
Franco Cardini

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