martedì, giugno 22, 2004

Quando scompare il senso religioso

di CLAUDIO MAGRIS


Nietzsche profetizzava, in un futuro che per noi è in parte già il presente, la morte di Dio, celebrandola - o costringendosi a celebrarla, nel suo lacerante rapporto di amore e odio col cristianesimo - come una liberazione. Non è detto che quella profezia debba necessariamente avverarsi, come invece si sono avverate e stanno ancora avverandosi tante altre sue intuizioni sull’evoluzione e sulle sconcertanti trasformazioni della società, della cultura, del mondo e dell’uomo stesso. L’«intramontato Nietzsche» - come lo definì l’anno scorso, in un nostro dialogo in pubblico a Trieste, il patriarca di Venezia, Angelo Scola - aiuta come nessun altro a capire la radicale metamorfosi della civiltà che stiamo vivendo. Sino a pochi anni fa la secolarizzazione appariva, almeno in Occidente, un processo inarrestabile; le religioni, le chiese, il senso stesso dell’oltre e del sacro sembravano relegati in soffitta ed erano guardati con supponente o irridente commiserazione. Ora invece molti proclamano - con soddisfazione o con preoccupazione - la riscossa del sentimento religioso e una crescente, quasi trionfalistica presenza della Chiesa Cattolica fra le masse e i giovani; pure il proselitismo islamico sembra attestare questo risveglio e bisogno di fede.
È dubbio che le cose stiano effettivamente così. In Italia e anche in altri Paesi folle devote riempiono ogni tanto con fervore le piazze e grandi occasioni rituali destano il momentaneo interesse della gente e dei media, ma le chiese si svuotano ogni giorno di più, sacramenti come il battesimo e il matrimonio religioso cadono sempre più in disuso e soprattutto sparisce la cultura cristiana e cattolica, la conoscenza elementare dei fondamenti della religione e perfino dei più classici passi e personaggi evangelici, come si può constatare frequentando gli studenti universitari. Si tratta di una grave mutilazione per tutti, credenti e non credenti, perché quella cultura cristiana è una delle grandi drammatiche sintassi che permettono di leggere, ordinare e rappresentare il mondo, di dirne il senso e i valori, di orientarsi nel feroce e insidioso garbuglio del vivere.
Non è un caso che perfino un grande regista come Bernardo Bertolucci, nel suo Piccolo Buddha così ricco di poesia, confonda l’Immacolata Concezione con la maternità verginale di Maria, mentre essa indica il suo essere concepita e nata senza macchia di peccato originale. Ma è ben più preoccupante, per esempio, che un film certo sapientemente ricco di effetti speciali come La passione di Cristo di Mel Gibson, che ahimè non è Bertolucci, sia stato osannato come una grande opera religiosa e perfino consigliato in quanto tale da molti sacerdoti, evidentemente candidi come colombe ma non anche astuti come serpenti, come esige invece il Vangelo, e dunque ingenuamente vittime della macchina pubblicitaria.
Il film di Gibson può essere goduto come un intrattenimento di ottima fattura tecnica e di suggestiva spettacolarità, specie nelle scene di massa, ma è del tutto privo di senso religioso. C’è qualche momento poetico - Maria e la Maddalena che asciugano il sangue di Gesù sul terreno - ma non c’è Cristo, non lo si sente; i pochi frammenti che lo mostrano mentre tiene il sublime Sermone della Montagna o istituisce l’Eucarestia non dicono niente, non ne comunicano la persona, unica anche per chi non lo crede figlio di Dio.
La notte del Getsemani, uno dei momenti abissali dell’umanità, è declassata ad avventura fantasy da Signore degli Anelli; non basta la truculenta flagellazione a rendere la tragedia della Passione. Senza le accuse di antisemitismo - immeritate e forse gradite per ragioni pubblicitarie - il film avrebbe avuto un’eco più misurata e onestamente conforme alla sua media levatura; che sia stato preso, anche da esponenti della chiesa, per una grande opera degna dello scandalo della Croce o per una valida propaganda, è indizio di una debole cultura cattolica.
Se Atene piange, Sparta non ride. Luther , il film di Eric Till, è anch’esso - dichiaratamente, con onestà - un’opera di propaganda, in questo caso protestante, e altrettanto impari alla grande figura che vuol celebrare. Tecnicamente raffinato e possente in certe scene - la brulicante corrotta Roma papale delle indulgenze, verminosa e idolatrica Babilonia - il film illustra la nobiltà morale della rivolta di Lutero, ma edulcora la grandiosa personalità di quest’ultimo in una sdolcinata oleografia. Tace sui suoi aspetti più inquietanti - il cupo pessimismo antiumanistico, la negazione del libero arbitrio, le invettive contro gli ebrei, l’esaltazione del massacro dei contadini ribelli - e trasforma il grandissimo «cinghiale selvaggio» in un santino serafico e delicato o in un irenico ed ecumenico sacerdote postconciliare, quasi idealmente contrapposto allo spirito duramente preconciliare che Giovanni Miccoli ha visto nel film di Gibson. Se in quest’ultimo manca Cristo, in quello di Till manca Lutero: non c’è la profondità del suo mistico abbandono al terribile Deus absconditus, la sua sanguigna volgarità plebea così capace di poesia forte e brusca come la vita. Uno zuccheroso sentimentalismo - culminante nell’idillio stucchevole con Caterina Bora, la monaca che egli sposa - svigorisce la sua grandezza di riformatore, di rivoluzionario e di autocrate che rinnova la storia.
Si tratta solo di due esempi di una diffusa (ir)religiosità all’ingrosso, sostanzialmente accomodante. I grandi spiriti religiosi - dalle Scritture a Kierkegaard, da Dostoevskij a Bernanos - sanno guardare (come i grandi materialisti quali Leopardi) con inesorabile lucidità nel male e nelle lacerazioni della vita e della storia, distinguendo laicamente ciò che è oggetto di fede da ciò che è dimostrabile razionalmente, il mistero dell’esistenza e del suo significato dai trucchi pseudo-esoterici da baraccone, molto più banali dei geniali giochi di prestigio del mago Houdini. Se la conoscenza religiosa va in crisi, non sono certo i culti idolatrici di reliquie miracolose né le Madonne di legno piangenti a poterle venire in aiuto. Sia la religione sia la scienza sono ora aggredite dall’indecente pacchiana orgia irrazionalistica, con tutto il suo ciarpame di oroscopi, parapsicologia, astrologia, occultismo, spiritismo e altre fumisterie. Il supermarket di satanismi, stregonerie e carnevali iniziatici è una truffa o autotruffa ai danni di consumatori privi d’intelligenza e di fantasia. Non è strano che possa condurre, come è accaduto, al delitto, suprema tentazione di stupidità e di violenza verso gli sprovveduti che si fanno incantare da babau di cartapesta sino al punto di diventare vittime e carnefici, anche di se stessi.

(Correrie della Sera, 12 giugno 2004)

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