L’opzione eretica: pregiudizi e scrittura della storia:
di Michel De Certeau
Testo tratto da M. De Certeau, La scrittura della storia, ed. it. a cura di S. Facioni, trad. di A. Jeronimidis, Jaca Book, Milano 2006 (ed. or. Gallimard, Paris 1975), pp. 40-45. Il corpo delle note non è stato riprodotto integralmente.
La distanza nel tempo, e senza dubbio una riflessione più epistemologica, consentono oggi di individuare pregiudizi che hanno esercitato un condizionamento sulla recente storiografia religiosa. Questi si manifestano sia nella scelta dei soggetti che nella determinazione degli obiettivi dati allo studio. Ogni volta, però, essi sono legati alle situazioni che attribuiscono allo storico una posizione particolare rispetto a delle realtà religiose.
Così, i conflitti tra Chiesa e Stato, o i dibattiti intorno alla scuola «libera» e alla scuola laica, hanno avuto l’effetto, tra gli altri, di privilegiare, tra i fenomeni religiosi, quelli che si presentavano sotto forma di un’opposizione alle ortodossie e, di conseguenza, di favorire la storia delle «eresie» anziché quella delle istituzioni ecclesiastiche o delle «ortodossie». L’interesse e il tipo di ricerca vengono allora mobilitati non tanto da intenzioni personali, quanto da localizzazioni socio-culturali.
Nello studio degli inizi del XVI secolo, ad esempio, si dà maggior peso alla «preriforma» che non alle correnti scolastiche, che pure sono maggioritarie e altrettanto importanti. Si considera l’«umanesimo» sotto il suo aspetto di rottura rispetto alla tradizione cristiana anziché iscriverlo nel prolungamento della patristica, o dei riformismi successivi, oppure di una serie di ritorni all’Antichità già verificatisi nel corso del Medio Evo. Allo stesso modo, il XVII secolo religioso è stato identificato con il giansenismo, «ribellione» profetica, mentre questo è stato soltanto uno dei fenomeni dell’epoca e molti elementi considerati come caratteristici del giansenismo si ritrovano in altre correnti spirituali. O ancora, sono stati cancellati dall’opera dei grandi scrittori e filosofi del XVI e XVII secolo i loro scritti teologici o esegetici considerati come residuo di epoche passate, non meritevoli di interesse per una società del progresso, ecc. [1]
L’analisi ritagliava dunque, nel tessuto della storia, «soggetti» conformi a dei luoghi di osservazione. Non ci si stupisce che gli studi tendenti a correggere tali ritagli per farne prevalere altri provengano allora non solo da tradizioni ideologiche diverse, ma da collocazioni giustapposte e spesso opposte ai primi, ad esempio da ambienti ecclesiastici o da centri estranei ai quadri dell’università francese. Così per fornire alcuni esempi, le brevi relazioni del padre Bernard-Maître e di altri, fino al gran libro di Massaut, sui teologi «conservatori» all’inizio del XVI secolo; i lavori del padre de Lubac o del padre Bouyer sul ripetersi dell’esegesi apostolica e patristica nell’umanesimo erasmiano; quelli di Gilson sul vocabolario tradizionale ripreso da Descartes; quelli di Bremond, e di molti altri dopo di lui, sull’ampia rosa di correnti mistiche di cui il giansenismo fa parte. L’apporto considerevole di tali studi non ne attenua tuttavia il carattere più o meno apologetico. Forse la ricchezza del loro contenuto è stata anche resa possibile da questo carattere di risposta polemica o di crociata che li rendeva simili a un cavallo di Troia.
Il marchio di separazioni socio-ideologiche è particolarmente visibile nella storiografia religiosa francese. I lavori scientifici indicavano dunque la posizione universitaria su questa mappa. Privilegiavano i «cattolici liberali» rispetto ai «cattolici intransigenti» (fatta eccezione per l’opera di René Rémond, questi ultimi sono stati soprattutto studiati da inglesi e nord-americani, che non sono coinvolti allo stesso modo dai problemi francesi); oppure davano la loro preferenza al «modernismo» scientifico o sociale piuttosto che all’«integralismo» (di cui Poulat ha recentemente mostrato l’interesse storico). I dibattiti interni alla società francese hanno determinato un fissismo storiografico e, per molto tempo, il ripetersi all’infinito di ritagli formali, proprio quando una nuova erudizione ne modificava il contenuto.
Questo schematismo aveva per effetto un reimpiego attuale dei «partiti» fino a ieri opposti – riformati o cattolici, giansenisti o gesuiti, modernisti o integralisti, ecc. – e ne faceva i vessilli non tanto di convinzioni personali quanto di situazioni socio-culturali. Le antiche polemiche organizzavano la ricerca scientifica, a sua insaputa. Gli storici finivano con l’«infilarsi nella sottana, nel saio o nella tonaca dei loro predecessori o di predicatori che peroravano ciascuno la loro causa». [2]
[...] Svincolati da situazioni conflittuali che si allontanano da noi, ci è più facile rintracciare il marchio in questi studi. Noi stessi siamo già altrove. Il graduale cancellarsi delle divisioni che, ieri, organizzavano insieme un’epoca e la sua storiografia consente la loro analisi negli stessi lavori di allora. La lontananza nel tempo è la condizione di una tale lucidità, ma questa comprensione che si dice «migliore», e che è ormai la nostra, è dovuta al fatto che ci siamo spostati; la nostra situazione ci permette di conoscere la loro, diversamente da come essi potevano.
Ciò che rende possibile la relativizzazione di questi dibattiti di ieri e dunque l’individuazione dei condizionamenti che essi hanno esercitato sul discorso scientifico, è la nuova posizione della religione nella nostra società. Lungi dall’essere una forza, una minaccia, un insieme di gruppi costituiti, come avveniva ieri, il cristianesimo francese si alleggerisce oggi del suo peso sociale liberandosi da tutta una serie di divisioni recenti. Esso cessa di costituire dei luoghi propri vigorosi ma chiusi [clos] nella nazione, diventandovi una religione mal definita e mal conosciuta dalla cultura francese. Una storiografia religiosa può allora farne l’oggetto di un nuovo esotismo, simile a quello che conduce l’etnologo verso i «selvaggi» dell’interno o verso gli stregoni francesi. Socialmente, il cristianesimo era più presente quando gli veniva accordato meno spazio ne Le Temps che oggi ne Le Monde.
Quando era questione di interlocutori, di avversari o di gruppi chiusi su una loro propria vitalità, si taceva o si diventava parziali, Oggi che il cristianesimo non è più una forza che ha dovuto «aprirsi», «adattarsi» e adeguarsi alla situazione in cui diviene oggetto di una curiosità «imparziale» e segno lontano di «valori», [3] se ne parla di più. Il rinnovarsi della storia religiosa non significa allora un rifiorire del cristianesimo, bensì il diluirsi delle sue istituzioni e delle sue dottrine nelle nuove strutture della nazione – un passare dallo stato di corpo opaco e resistente a uno stato di trasparenza e di fluidità.
I «pregiudizi» della storia o degli storici scompaiono quando viene a modificarsi la situazione a cui si riferivano. L’organizzazione ieri viva di una società che condizionava l’ottica dei suoi storici, si trasforma così in un passato suscettibile di essere studiato. Cambia statuto: nel momento in cui cessa di trovarsi dalla parte degli autori come elemento a cui il loro pensiero era subordinato, passa dalla parte dell’oggetto che noi, nuovi autori, abbiamo il compito di rendere pensabile. In funzione di un’altra situazione diventa possibile per noi esaminare come «pregiudizi», o semplicemente come dati di un certo periodo, la forma di comprensione dei nostri predecessori, coglierne i rapporti con altri elementi della stessa epoca, e iscrivere la loro storiografia nella storia che fa l’oggetto della nostra propria storiografia.
Da questo punto di vista, le forme di comprensione proprie della storiografia di ieri si trovano nella stessa posizione delle ideologie o delle credenze cristiane. [...] Quando si cerca il «senso storico» di un’ideologia o di un avvenimento, non solo si va incontro a metodi, idee o a una forma di comprensione, ma ci si imbatte nella società a cui si riferisce la definizione di quello che ha «senso». Se dunque esiste una funzione storica, specificata dall’incessante confronto tra un passato e un presente, cioè tra quello che organizzava la vita o il pensiero e quello che oggi permette di pensare tale principio organizzatore, esiste una serie indefinita di «sensi storici». La credenza fornisce soltanto un caso limite di rapporto tra due sistemi di comprensione attraverso il passaggio da una società ancora religiosa (ad esempio, quella del XVI secolo) a una società, la nostra, in cui il «pensabile» si è secolarizzato.
Note
[1] Valga come indizio tra molti altri, il posto attribuito ai Theological Manuscripts (ed. H. McLachlan, Liverpoool 1950) nell’interpretazione dell’opera di Newton. Soprattutto Alexandre Koyré ha modificato le prospettive: cfr. Du monde clos à l’univers infini, PUF, Paris 1961, tr. it. di L. Caffiero, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano 1984. Oggi si sottolineerà che anche la scienza occidentale si è elaborata in funzione di dibattiti teologici e che ha, ad esempio, un rapporto intrinseco con il dogma dell’Incarnazione; cfr. Alexandre Kojève, «L’origine chrétienne de la science moderne», in Mélanges Alexandre Koyré, Hermann, Paris 1964, t. II, pp. 295-306, tr. it. di A. Gnoli, «L’origine cristiana della scienza moderna», in Il silenzio della tirannide, Adelphi, Milano 2004, pp. 125-138.
[2] Lucien Febvre, Au cœur du religieux du XVIIe siècle, Sevpen, Paris 19682, p. 146.
[3] Sull’interesse etnologico e folcloristico di cui la religione diviene oggetto, e che spiega allo stesso tempo la natura di una nuova «curiosità» e il ritorno degli studi sulle ideologie (considerate ormai come non credibili, ma che simboleggiano un senso da decifrare), cfr. M. De Certeau, La Culture au pluriel, UGE, coll. 10/18, Paris 1974, pp. 11-34: «Les Révolutions du “croyable”».
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