In quale misura il cardinale John Henry Newman, oggi santo, è un pensatore europeo? Non c’è dubbio che egli sia profondamente britannico, per formazione ma specialmente per gli interlocutori con i quali ha dialogato e polemizzato. Formatosi ad Oxford, il cuore culturale dell’anglicanesimo, per metà della sua vita Newman fu coinvolto in dibattiti teologici ed ecclesiologici tipicamenti anglicani. I suoi riferimenti sono i classici greci e latini, i Padri della Chiesa, e i grandi teologi anglicani, particolarmente Joseph Butler.
Il movimento di Oxford, o dei trattariani, nasce precisamente come una riscoperta delle fonti dell’anglicanesimo. Newman, insieme ad altri compagni, si ritrova cattolico in qualche modo suo malgrado, possiamo affermare. Diventa cattolico per onestà intellettuale nei confronti della propria coscienza, non certo per influenza di specifici teologi cattolici inglesi, praticamente inesistenti, o continentali.
Giustamente ricordiamo la tradizione empirista dalla quale il cardinale Newman proviene e che in una certa misura rigetta. I suoi avversari ideologici, particolarmente quando interviene in dibattiti pubblici, sono John Locke, David Hume, Edward Gibbon, gli utilitaristi, Jeremy Bentham, John Stuart Mill. Si veda, ad esempio, la serie di articoli raccolti con il titolo The Tamworth Reading Room nei quali contesta il tentativo di elevare il tono morale della società attraverso l’istruzione e la promozione del sapere. Quel che intendo però sottolineare è che né prima, né dopo la conversione Newman entra in polemica o in dialogo con autori stranieri. Il suo orizzonte è principalmente britannico.
Egli aveva, ovviamente, conoscenza di autori stranieri, principalmente francesi: Pascal, Bossuet, che cita più volte, Fenelon e Lamennais a cui dedicò un articolo nel 1837. Per quanto riguarda la cultura tedesca, conosceva la Simbolica del Möhler, qualcosa di Friedrich Schleiermacher e Friedrich Schlegel, che veniva utilizzato come testo di filosofia della storia presso l’Università Cattolica d’Irlanda, fondata da Newman a Dublino.
Aveva letto pochissimo della produzione di Kant, senza apprezzarlo, niente di Hegel o degli idealisti tedeschi. Il giovane Franz Brentano, ancora prete, si recò da lui per consigli ma non risulta che Newman abbia familiarizzato con le sue opere. L’unico teologo tedesco con cui ebbe contatti fu Ignaz von Doellinger. Newman gli fece visita nel 1847 e lo invitò ad insegnare a Dublino presso l’Università cattolica d’Irlanda, agli inizi degli anni Cinquanta dell’Ottocento, e quindi prima della polemica sul Concilio Vaticano I ed il dogma dell’infallibità che spinse Doellinger ad abbandonare la Chiesa cattolica.
Per quanto riguarda l’Italia, Newman vi trascorse diverse settimane nel 1834, durante il suo tour del Mediterraneo e in Sicilia si ammalò di tifo. Questo è un episodio significativo nella vita di Newman che considerò l’essere sopravvissuto alla malattia come un segno di un destino più grande che l’attendeva in patria. In Italia tornò dopo la conversione, per studiare presso il Collegio di Propaganda Fide a Roma. Il collegio ospitava studenti di oltre 150 nazioni, provenienti però non dai Paesi cattolici europei ma dalle terre di missione.
A Roma Newman conobbe Giovanni Perrone, il più inflente teologo del tempo e con lui discusse di sviluppo del dogma. Perrone non è l’unico italiano moderno che ha lasciato un qualche segno nella teologia del porporato inglese. Newman aveva letto le Massime di Perfezione di Antonio Rosmini già da anglicano. Il Manuale dell’Esercitatore di Rosmini veniva usato per i ritiri spirituali a Littlemore, dove Newman era andato a vivere prima della conversione, e uno dei suoi discepoli più stretti, William Lockhart, diverrà uno dei protagonisti del rosminianesimo inglese. Più tardi lesse Le cinque piaghe della Chiesa.
Durante un suo soggiorno a Milano, nel 1846, Newman espresse desiderio di incontrare Manzoni e Rosmini ma la cosa non andò in porto. Si pensa che Rosmini stesso, già coinvolto in controversie teologiche, abbia per prudenza preferito evitare l’incontro.
L’altro italiano, premoderno, che ha influenzato Newman è ovviamente san Filippo Neri. Dopo un periodo di discernimento, avendo considerato i diversi grandi ordini religiosi, il novello prete inglese scelse di entrare nella Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri perché in qualche modo più consona alla sua personalità e allo stile pastorale.
Comunque, al di là dell’influenza di qualche autore europeo, quel che manca in Newman è il coinvolgimento diretto nei dibattiti teologici o filosofici che animavano la cultura continentale del tempo, con una eccezione per quanto riguarda i suoi scritti sull’università. I suoi interlocutori, insomma, sono sempre britannici.
Le sue opere, a parte la Grammatica dell’Assenso che è stata partorita dopo un lunghissimo travaglio, nascono solitamente in risposta a un episodio, una polemica, una controversia. Si veda ad esempio la sua autobiografia, scritta in risposta a Charles Kingsley che accusava i preti cattolici di doppiezza, o la Lettera al Duca di Norfolk, che è una replica alle accuse di servire due sovrani, il Papa e la Regina, da parte Gladstone nei confronti dei cattolici inglesi. Ciò non toglie che i suoi contributi travalichino l’occasione e, persino il contesto nel quale furono prodotti. Per questo li rileggiamo ancora oggi.
Il concilio Vaticano I, in questo senso, rappresenta un’occasione persa. Newman fu invitato come perito, sia da papa Pio IX che dal vescovo di Orleans, ma rifiutò, sia per ragioni di età che perchè più interessato a concludere la Grammatica dell’Assenso. Nel periodo precedente il Concilio e poi in quello successivo, discusse pubblicamente la definizione di infallibilità papale e ne difese la versione approvata dal Vaticano I. L’esperienza diretta del Concilio, però, l’avrebbe portato ancora di più al centro del dibattito teologico, e non solo europeo, che animava la Chiesa Cattolica di fine Ottocento.
Ovviamente, l’influsso successivo sulla cultura religiosa europea è innegabile. Traduzioni di sue opere apparvero già a partire dagli anni Quaranta, prima della conversione. Ad esempio, il Saggio sullo Sviluppo della Dottrina Cristiana, del 1845, fu tradotto in tedesco l’anno successivo.
Ora, senza voler presentare una storia critica della ricezione del pensiero di Newman, non è difficile citare grandi personalità che lo hanno apprezzato o che si sono inspirate a lui. Teologi e filosofi di lingua inglese (Bernard Lonergan, Alisdair MacIntyre), francese (Maurice Blondel, Henri Bergson, Jean Guitton), tedesca (Max Scheler, Edith Stein, Dietrich von Hildebrand, Josef Ratzinger). E non solo cattolici, basti pensare al debito nei confronti di Newman da parte di James Joyce, ma anche di Ludwig Wittgenstein.
Insomma, Newman è sì una figura europea ma non tanto per formazione o per coinvolgimento diretto, quanto per l’influenza esercitata sulla cultura del nostro continente, a partire già da quando era in vita.
Angelo Bottone, autore di questo articolo, è docente di Filosofia presso lo University College Dublin e la Dublin Business School