Terza età e qualità della vita
Il grido che Faust lanciò all’attimo
fuggente: “Fermati! Sei bello!” torna di attualità e mi dà l’occasione di
salutare tutti voi, autorità, amministratori, qualificati esponenti della
medicina e dell’assistenza sociale, responsabili della istituzione sanitaria,
con funzionari ed esperti.
Signor amministratore dott. Benigno
D’Orazio, grazie della Sua partecipazione; mi rendo conto, noi parliamo
dell’anziano e lei è così giovane da poter esorcizzare tale età della vita, ma
tra gioventù e vecchiaia non c’è soluzione di continuità e quest’ultima non è
un periodo facoltativo della nostra esistenza ma una sicura realtà. Questa
realtà investe anche aspetti organizzativi che attengono alle sue
responsabilità al vertice della ULS per la promozione dell’uomo in età avanzata.
Io le auguro che a seguito delle sue iniziative ogni anziano le sia debitore di
un grande arricchimento umano, etico e spirituale e con loro Ella possa
sperimentare una esperienza nuova, forse irripetibile.
Il tema del mio intervento: “terza età e
qualità della vita” è speculare di una esigenza che nell’odierna società tutti
avvertono a motivo della rapida trasformazione in atto nelle condizioni di vita
e nella qualità della vita dell’anziano. Per secoli il riferimento è stato alla
quantità degli anni, oggi cade quasi esclusivamente sulla qualità.
Nei giorni scorsi l’ISTAT ha presentato
un quadro statistico sulla terza e quarta età da cui si evince che attualmente
ogni 100 individui con meno di 15 anni, ve ne sono 91 con più di 65 anni e in
questa classifica come in quella sul calo delle nascite, l’Italia è al primo
posto. Nel 2000 il 23% della nostra popolazione avrà più di 60 anni e quando
gli anziani arriveranno 40-45% della popolazione si porranno problemi e
interrogativi per il governo del cambiamento che investe la nostra vita
personale e collettiva. Bisognerà garantire l’assistenza, già oggi così
precaria, ad un numero maggiore di anziani. Bisognerà decidere perché ad un
anziano spetti o meno una assistenza ad alto livello tecnologico (trapianti
d’organo, artificiali, ecc.) che sarà sempre più costosa. Si dovrà stabilire in
base a quale criterio si utilizzeranno sempre più sofisticati attrezzi
artificiali di supporto alla vita e chi deciderà della vita e della morte
dell’ammalato. Oggi una mentalità produttivistica e per ciò stesso
conservatrice, epigono di una “civiltà industriale” per fortuna sulla via del
tramonto, ritiene una iattura il sogno antico dell’umanità: longevità nella
salute e nell’efficienza.
“Fermati! Sei bello!” fa eco a una delle
più profonde aspirazioni dell’umanità. Le nascite, i matrimoni, i compleanni,
le festività sacre e profane, i riti e le magie di ogni epoca e luogo, hanno
cantato l’auspicio alla vita, alla “lunga vita". E noi siamo qui a
ripeterlo giacché l’allungamento della vita e l’aumento delle persone anziane è
quella condizione nella quale tutti vorremmo venire a trovarci.
“Fermati! Sei bello!” perché la vita è
la vita, perché crediamo nella continuità del valore della vita, perché la vita
vive e più la vita è viva e più cresce di valore.
Egli invecchiava imparando qualcosa di
più ogni giorno.
“Il vecchio non fa le cose che fanno i
giovani ma in realtà ne fa di molte maggiori e migliori. Non con le forze o con
la velocità o con l’agilità del corpo si fanno le cose grandi, ma col senno,
con l’autorità, col far valere le proprie opinioni e di tutto ciò per solito la
vecchiezza non è privata ma arricchita.” (De
Senectute, Cicerone)
Allora il passar degli anni non è
perdere un po’ di vita ogni giorno, morire un poco ogni giorno, ma conquistare
nuova vita ogni giorno. “Voi”, dice Giovanni Paolo II, “che siete avanti in età
siete cittadini maggiori. Voi cittadini maggiori perché ricapitolate in voi
stessi tutta la scala dei ruoli familiari. Voi cittadini maggiori perché
testimoniate ogni livello di esperienza che figli e nipoti devono ancora
vivere. Voi cittadini maggiori perché svolgete la missione di testimoni del
passato e ispiratori di speranza a venire”. Malgrado ciò la nostra società non
sembra accogliere questo invito. Eppure, gli esempi non mancano. In Francia,
come riferiva il prof. Bompiani gli anziani vanno nelle scuole a raccontare la
loro vita, a trasmettere il messaggio della propria vita con le sue vittorie e
le sue sconfitte. In Cina addirittura le strutture sono polivalenti, c’è
l’asilo infantile e di fronte all’asilo c’è il centro sociale per gli anziani.
Così si ritrovano insieme, per partecipare gli uni la gaiezza della prima età,
gli altri la saggezza della canizie. Da noi è vietato all’anziano essere
profeta del nuovo, maestro del passato.
“Nella vecchiezza questo io vedo di
miserrimo, sentirsi in quella età di fastidio agli altri” (Cicerone). Si passa
dalla definizione rispettosa di “anziano” a quella dispregiativa di
“vecchio". Dalla anzianità alla inabilità e quindi alla incapacità, dalla
inidoneità alla emarginazione e quindi alla vera e propria dichiarazione di
“morte sociale".
Faust al tempo: “Fermati!” e all’improvviso
il tempo si ferma. L’anziano si sente in un mondo senza tempo. Per lui il tempo
è un ricordo dei tempi andati mentre per gli altri il tempo è moneta, misura di
ogni attività. Anche lo spazio fisico e quello esistenziale sono ridotti,
obbligati, quasi un isolamento imposto dalla crudezza della realtà e dalla
diversità di interessi tra le generazioni. Egli si sente fuori dal tempo e
fuori posto, escluso da un dialogo che ormai si svolge in una lingua per lui
diversa. Estraneo alla cronaca di ogni giorno, isolato nel grande respiro della
meditazione, avvolto nella solitudine delle relazioni umane e degli antichi
interessi ormai scomparsi. Siamo all’isolamento, siamo all’alienazione. È
l’aspetto alienante della vecchiaia.
“Passare dalla salute al nulla. La cosa
peggiore è non avere nulla da fare. Aspettando la morte. Ho paura di tutto.
Sono segregata nella mia stessa casa. Io sono spazzatura. Il mio posto è il
bidone dei rifiuti. Non ho più nessuno. Non ho mai interessato nessuno.
Nessuno.”
Scrive Bachtin: “Il futuro non esiste
più”. È morte. Finiscono i grandi esiliati della società moderna: gli anziani.
Dietro tante promesse di solidarietà si cela la progressiva marginalizzazione
delle parti più deboli della società. Mi sgomenta, nelle nostre comunità l’aumento
dei suicidi degli anziani. Una umanità che si sente sospinta, stretta al muro
della propria condizione di sofferenza e fragilità, per l’abbandono, la
limitazione delle risorse, le malattie, la povertà, tutte maglie di una catena
di smontaggio antropologico. Mi sgomenta la morte di anziani lasciati soli,
tanto drammaticamente soli da non accorgersi più della loro ultima dipartita se
non dopo settimane e mesi. Chi è solo non trova più neanche chi lo raccolga!
Respinto, ignorato da una società, da una sanità disumanizzata e
disumanizzante, dove il soggetto della struttura sanitaria, cioè l’ammalato,
colui per il quale sono stati creati i servizi, è diventato invece l’oggetto di
un mondo che intesse le sue lotte e costruisce le sue fortune. Vedi la battaglia
per la nuova localizzazione delle ULS oggetto quasi tutte di inchieste penali
per corruzione, clientelismo, lottizzazione, caos ma pur sempre concepite come
potere, sicché non è da meravigliarsi se le trattative per ridurle da 16 a 4
durino all’infinito senza che si scorga chi la spunterà.
In questa condizione, anche in questa
nostra terra che si compiace dei suoi primati industriali e turistici,
l’anziano è straniero. Pure, secondo l’ISTAT, quell’anziano siamo tutti noi, il
nostro paese, la nostra provincia, la nostra regione. Risuona ancora nelle mie
orecchie grido di dolore del vescovo di Trivento al convegno sugli anziani di
qualche mese fa, quando Mons. Santucci denunciava lo spopolamento di paesi ove
è rimasto solo qualche vecchio. L’ultima immagine viva di centri spogliati
dall’emigrazione, dalla denatalità e ora purtroppo anche dalla chiusura delle
scuole. Il vecchio, attaccato al suo paese, rimasto a testimoniare una presenza
di vita, una risposta, quasi una sfida ai fantasmi della desolazione che
aleggia in quella zona e non solo in quella, al pari di tanti altri luoghi
della nostra montagna. È l’anziano che resta per mantenere lassù a tutti i
costi il simbolo della vita dove è rimasto l’ultimo abitante. Lassù egli ha
sperimentato il sorgere e il tramontar del sole. Lassù ha appreso la grande
lezione della vita. Lassù si sente uno con la natura e le sue armonie. Lassù ha
capito che ha nel suo cuore un progetto mirabile. Lassù ha capito che gli altri
uomini sono fratelli. Ma l’uomo non è mai solo.
Se questo calvario di privazioni e di
povertà ci indigna, se l’accumulo vergognoso di ricchezze accontenta solo
l’egoismo di pochi e irrita la coscienza morale di tanti, di converso schiere
di uomini e donne ad ogni età e ad ogni stadio dell’esistenza rispondono
all’invito evangelico: Chi spende, chi consuma la propria vita per gli altri,
la ritrova moltiplicata per sé. E proprio negli stadi avanzati
dell’esistenza la persona umana consegue la migliore realizzazione delle
proprie capacità potenziali.
Giovanni Papini vecchio e provato dalla
cecità dettò un pensiero che suona come un comandamento: Quando ero giovane, un
uomo di cinquanta anni mi sembrava vecchio, uno di sessanta addirittura
decrepito, ora che ne ho più di settanta mi accorgo che a questa età si può
ancora amare, imparare, creare insomma vivere. E passando ai giorni nostri ci
domandiamo quanti anni ha Madre Teresa di Calcutta. Questa suorina col volto
olivastro tagliato dalle rughe. L’anagrafe ci dice che è nata a Skopje in
Macedonia nel 1910 ma sono molti a credere che una volta tanto le
certificazioni ufficiali abbiano torto, forse viene da più lontano. Forse viene
direttamente dalla Palestina e ha accompagnato Cristo sulle vie della Galilea
e, chissà, ha pregato quando all’ora nona le Tenebre coprirono il Golgota.
Questa vecchia di ottantatré anni per lo Stato, per qualunque Stato già in
pensione, improduttiva, a quella veneranda età ancora oggi dà alla umanità una
testimonianza di amore per la creatura umana, per ogni debole, per ogni indifeso,
per ogni povero, per ogni persona nella solitudine. “Una volta ho preso un uomo
dalla strada, il suo corpo era pieno di vermi, nessuno poteva stargli vicino e
io l’ho lavato. Poi lui mi ha chiesto: Perché lo fai? Gli ho risposto: Ti amo.
E lui: È la prima volta nella mia vita che qualcuno guarda diritto dei miei
occhi e mi ama.”
Ecco tutto quello di cui l’umanità ha
bisogno. Qui gli occhi, le mani, la vita stessa non sono considerati come
proprietà personale da usare per se stessi, ma sono strumenti di amore e di
donazione. Questo “perdere" un poco di se stessi è un “trovare". Qui
la retorica si smorza, la verità si libera di ogni incrostazione e si svela
nella sua luminosa essenzialità.
La storia di questi due millenni
dell’era nuova è lì a dimostrare la fecondità di questi gesti ma l’uomo del
nostro tempo conserva ancora intatta nel cuore l’antica ferocia. E la sua
“scienza esatta" gli consente di approntare nuovi strumenti di morte di
cui egli si serve per sfogare la sua cieca furia omicida. È di questi giorni la
notizia di una umanità in provetta programmata dall’arbitrio di uomini folli.
Tutti voi avrete sentito una parola nuova: Clonazione, dal greco klon - rametto. Rametto staccato
dall’embrione primitivo che consente di produrre, intendete bene, più individui
geneticamente uguali, uomini fotocopia, uomini di scorta, uomini conservati in
una bara di ghiaccio, con i connotati di un allevamento di bestie.
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora ...”
C’è in questi versi di Quasimodo una
disperata invocazione perché l’uomo soffochi nel suo cuore l’odio e ritorni al
sentimento dell’amore. C’è in questi versi il grido dell’anima contro l’arte di
Caino che non arretra dal colpire il fratello. Finora c’era l’angoscia della
morte, del finire della vita, ora si apre d’improvviso il baratro del prima del
nostro esistere, del salto originario dal nulla al nulla. Così ci avviamo verso
il 2000, ciascuno per conto suo nella indifferenza, approdo ultimo della
follia. Ma non siamo alla sera del mondo. Il balzo immenso compiuto nella
conoscenza della trama sottile della vita non può essere un varco per ogni
dubbio, per ogni permissione a far scomparire la dignità della persona alla
vita. Anche la piena conoscenza di tutte le parti che compongono il nostro
organismo non ci garantisce alcuna possibilità di predizione precisa del suo
funzionamento. Sì, le tappe della nostra vita sono già scritte nel codice
genetico ma la velocità di percorso e le diverse posizioni nello spazio sono
sotto il dominio della storia di ogni soggetto: traumi, infezioni, stress,
abitudini di vita si intersecano con l’individualità genetica e contribuiranno
di volta in volta a creare piccole o grosse variazioni della nostra traiettoria
ideale di salute.
D’altra parte, la conoscenza di tutte le
componenti dell’organismo non assicura la previsione decisa del suo
funzionamento. Né per ogni alterazione, per ogni patologia è bastevole un
farmaco, poiché la patologia (e poi la morte) sono il risultato di cambiamenti
progressivi. In ciò probabilmente c’è un libro tutto da scrivere; io non mi
azzardo a proporre neanche un indice incompleto.
Ieri per un disguido postale mi è giunta
una cartolina, una delle tante centinaia di cartoline inviate al Presidente
della Giunta Regionale con la quale gli si ricorda che “una società che non
rispetta gli anziani non è degna di definirsi civile". Qui questo assunto
è superfluo. Questa Casa Albergo è accogliente, qualificata, luogo di
attenzione e di cura umana e sanitaria. Qui si è ricreato un clima di famiglia
per chi in famiglia non può più stare e anche il singolo o la coppia possono in
qualche modo vivervi come a casa. Qui si è compreso che chi ha vissuto una
lunga vita ha diritto alla dignità, alla libertà, alla salute. Qui si è compreso
che amare il prossimo e servirlo, è l’immancabile prerogativa delle persone
migliori.
Se in un momento di stanchezza vi
chiedeste: che me ne viene? Tagore vi risponderebbe: “dormivo e sognavo che la
vita è gioia! Mi svegliai e vidi che la vita è servizio. Volli servire e vidi
che servire è gioia." E voi il vostro impegno di lavoro lo compite con
gioia poiché: “ciò che rende lieta la vita non è fare le cose che ci piacciono,
ma trovar piacere in ciò che dobbiamo fare”. (Goethe)
Quella cartolina già da alcuni anni ha
trovato concreto riscontro nella attività della Cooperativa Socialtur che “ha
guardato ai bisogni veri degli uomini", come è scritto nella locandina, e
opera per arricchirne l’esistenza, nella quale il succedersi degli anni è
crescita e maturità di vita.
Se la vita è come un grande libro da
scorrere con le pagine più belle verso la fine (Saggio di Montaigne), allora
una di queste pagine sarà senz’altro quella vissuta oggi 29 ottobre dagli
anziani di questa Casa Albergo. Un’intera ed unica prima giornata per loro. Una
festa che sta portando in superficie gli autentici valori della convivenza
nella solidarietà e nell’amicizia. Meeting sulla Terza Età, l’ha chiamata la
direttrice Rosaria Nelli, impareggiabile animatrice della manifestazione,
coadiuvata dalle sue esperte collaboratrici e dal personale tutto. Io direi
occasione di incontro e motivo di riflessione e di stimolo. Soprattutto gesto
di attenzione ispirato alla celebrazione dell’anno dell’anziano per dire anche
alla Regione, dott. Strobbia, e senza cartolina, che gli anziani non vanno
dimenticati.
Ma il vero significato di questa
giornata, il più credibile, sta nell'aver voluto tanti anziani tutti insieme,
non per dir loro che sono una categoria, ma per farli sentire ancora vivi,
parte di una comunità dove la loro presenza conta. Commovente è la dignità
mostrata da tante facce rugose, spesso devastate dagli anni e dagli acciacchi,
ma con occhi ancora lucenti, colmi di significato e nel cuore tanta voglia di
amare e tanto bisogno di essere amati.
Sin dai primi interventi di questo
meeting si è percepito, quasi assaporato, che la prima risorsa dell’uomo è
l’uomo stesso. Si tratta di una risorsa, di una ricchezza che ognuno può
verificare rivolgendo lo sguardo verso l’interno di sé, dove scoprirà la
grandezza di essere immagine visibile di un Altro invisibile. È a questa
grandezza dell’uomo che si attacca l’unica radice capace di far nascere
l’albero della pace. Non con parole facili ma con l’esaltazione di una grande
passione per l’uomo e una profonda obbedienza alla verità.
Cari anziani, voi siete la cattedra di
questo meeting e ci insegnate che ci sono giovani che hanno già dimora nella
tomba e vecchi che hanno in sé la freschezza della palma e del cedro cantati
dal Salmo 92: “nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e
rigogliosi.”
“Se siete cechi e sordi -dice il Profeta-
questo è un bene. Il velo che vi offusca gli occhi cadrà per mano del suo
tessitore. E la creta che vi mura le orecchie, sarà bucata dalle dita che
l’hanno impastata. E voi vedrete. E voi udrete. E non rimpiangerete di essere
stati sordi e ciechi, giacché conoscerete in quel giorno la ragione occulta di
ogni cosa. È così benedirete l’ombra come avreste benedetto la luce.” (Il Profeta, K. Gibran)
Voi sapete che “Non si diventa vecchi
perché ci è caduto addosso un certo numero di anni: si diventa vecchi perché si
sono abbandonati i propri ideali. Gli anni solcano la pelle, rinunciare al
proprio ideale solca l’anima. ... Giovane è colui che è capace di stupore e
meraviglia. Come il bambino insaziabile egli si domanda: e poi? ... Voi siete
giovani quanto lo è la vostra fede, vecchi come il vostro dubbio. Giovani come
la vostra speranza, vecchi quanto il vostro abbattimento.” (Douglas Adams)
In fondo alle vostre speranze e ai
vostri desideri sta la muta conoscenza di ciò che è oltre la vita perché la
speranza dell’amore è l’eternità. Perciò vi dico: la vostra vita al limite
del tempo brilli ancora come la rugiada sulla punta della foglia. Perciò vi
grido: “Amare qualcuno è dirgli non morirai mai”.
Vittorio Giuseppe Bottone
Meeting sulla terza età. “La vecchiaia è
un cammino verso la vita che non prelude alla morte.”
Bomba, 29 ottobre 1993.