domenica, luglio 30, 2023

Anziani e qualità della vita

 



Atessa, 1996


Mi presento qui, come profano, in una cerchia di qualificati maestri ai quali mi sento legato da rapporti di amicizia e cordialità. Purtroppo, però, non si verifica ciò che ci si potrebbe augurare da un simile vicinato. A questo proposito mi richiamo a Socrate che fu invitato ad una festa in onore di un poeta tragico, un certo Agatone. A questa cena Socrate siede tra Agatone e il celebre commediografo Aristofane e afferma: “Sarebbe una bella cosa se la sapienza potesse scorrere come l’acqua che passa da un vaso all’altro attraverso un filo di lana. In tal modo potrei apprendere molto dai miei amici.” Come già Socrate ha rilevato, purtroppo questo non accade, per cui nonostante i rapporti di buon vicinato, io mi trovo in imbarazzo. In imbarazzo per il timore di proiettare, sull’argomento che tratterò, le mie paure personali. In imbarazzo perché ho poco da dire a chi come voi ha grande esperienza sugli anziani, ha ascoltato le loro storie, le loro domande, quelle vere, che abbiamo spesso soffocato con l’idea di riproporcele quando anche noi saremo vecchi, quando avremo il tempo di porre a noi stessi le stesse domande.

Prima di parlarvi su “Anziani e qualità della vita” mi piace ringraziare il sindaco di Atessa, nella persona dell’Ass. Dott. Nicoletta Fini che ha voluto ospitarci in questo splendido teatro. Gesto di attenzione speciale per tutti noi, ma soprattutto grande considerazione per gli anziani di questa Città, di questa regione ai cui valori, alla cui solidarietà, egli da sempre rivolge il suo impegno generoso. So che questa Amministrazione intende promuovere una più efficace tutela delle persone deboli. So che da tempo ha avviato una riflessione sistematica sulle politiche sociali. So che i risultati, le esperienze di questa cultura solidale, costituiscono ormai una risorsa preziosa e accessibile anche per operatori, educatori e volontari di altri Comuni e altre Regioni. E questo è per l’Amministrazione e per noi, motivo di orgoglio ma anche stimolo a portare avanti una cultura della solidarietà e dell’accoglienza.

Al Direttore Generale ing. Domenico Recchione che ha voluto dare il patrocinio della USL a questo convegno, dico grazie per la sua partecipazione e della partecipazione del direttore amministrativo Dott. Lanci. Mi rendo conto che noi parliamo dell’anziano e lui è ancora così giovane da poter esorcizzare tale età della vita, ma tra gioventù e vecchiaia non c’è soluzione di continuità e quest’ultima non è un periodo facoltativo della nostra esistenza ma una sicura realtà. Realtà che presuppone servizi sempre più efficienti ed integrati, in grado di soddisfare i bisogni delle persone avanti in età e anche delle rispettive famiglie. Questo significa che il problema anziani costituirà sempre più un problema sanitario e sociale di rilievo. Sono certo che anche dopo questo convegno la USL orienterà ancora di più il suo impegno verso la promozione dell’uomo in età avanzata. Io mi auguro che a seguito delle iniziative della USL ogni anziano sia debitore di un grande arricchimento fisico e spirituale e possa sperimentare una esperienza nuova esaltante, forse irripetibile.

Anziani: una società amareggiata e delusa. Una società che non crede più in se stessa. Una società che non crede nella patria, nella nazione. Che non crede nel futuro, non crede nemmeno nella religione tradizionale. Una società senza l’uragano delle illusioni, dove anche i giovani si sentono vecchi. Anziani: molte parole e pochi fatti. In Italia la percentuale degli ultrasessantenni all’inizio del secolo era del 6,5%. Attualmente è del 16% e nel 2000 sarà del 20%. Ciò significa che le cosiddette terza e quarta età costituiscono un popolo di 12 milioni di persone e per la prima volta, l’anziano esercita una sua forza politica, non solo, ma ha una aspettativa di vita senza precedenti nella storia. Ciò comporta in primo luogo la necessità di garantire assistenza ad un numero maggiore di anziani; di decidere i criteri perché ad un anziano spetti o meno un’assistenza di alto livello tecnologico, che sarà sempre più preziosa (parlo di trapianti di organo, di organi artificiali, ecc.). Da definire in base a quali criteri si utilizzeranno i sofisticati attrezzi artificiali di supporto alla vita.

Vi è oggi una forte spinta alla manipolabilità del corpo umano secondo il desiderio e le possibilità tecniche. Ciò apre di fatto la strada a distinzioni e a nuove emarginazioni, quando non addirittura a selezioni tra le persone in base alle loro condizioni fisiche. Si presenta forte allora, il rischio di smarrire i principi fondamentali sui quali si è fondata finora la nostra civiltà: quelli legati alla intangibilità assoluta dell’essere umano che è sempre anche intangibilità della sua realtà corporea. Il potere di intervenire sulla vita e sulla morte si è enormemente accresciuto, con strumenti diagnostici e terapeutici, sia nell’utilizzo di farmaci sempre più specifici, sia del mantenimento artificiale in vita e dell’uso dei trapianti. E ciò ha messo in crisi gli antichi valori (valore della sofferenza per la religione cristiana, senso della morte come passaggio, significato della vita, ecc.) che servivano come guida per il comportamento dei popoli. Ma anche se la vita si getta verso il nulla e sembra riempirla delle sue creazioni, questa longevità già misurabile e sicuramente prevedibile, può crescere oltre che in quantità, in qualità?

“Spensi all’uomo la vista della morte... Poi lo feci partecipe del fuoco” così il Prometeo di Eschilo descrive i due doni che egli ha offerto all’uomo: l’oblio dell’ora della morte dovuto a quel farmaco che è la speranza, che non vede e il fuoco che rappresenta il sapere tecnico che permetterà di sopravvivere e diventare il signore del pianeta. La vecchiaia: distillato di quanto di meglio esiste nella natura; compagna seducente e nemica affascinante. Ecco il cuore delle angosce e delle speranze, ecco il dialogo eterno della vita e della morte. “Come è caritatevole la natura!” dice Joseph Roth ne La cripta dei Cappuccini. “I malanni che essa regala sono una grazia. Oblio ci regala, sordità e occhi deboli.” Ma Cicerone non è d’accordo! “Nella vecchiezza questo io vedo di miserrimo, sentirsi in quella età di fastidio agli altri”. Dopo tante promesse di solidarietà: la solitudine delle relazioni umane, la limitazione delle risorse, la malattia, la povertà. In tale condizione, anche in questa terra che si compiace dei suoi primati industriali e turistici, l’anziano è straniero; fuori tempo e fuori posto e passa dalla anzianità alla inabilità, dalla inidoneità alla emarginazione.

Ma l’uomo non è mai solo. Se questo calvario di privazioni e di povertà ci indigna, se la ricerca vergognosa del profitto spinge fino all’egoismo secessionista di questi giorni, di converso, schiere di uomini e donne ad ogni età rispondono all’invito evangelico: “Chi spende, chi consuma la propria vita per gli altri, la ritrova moltiplicata per sé”. Ci sono esseri umani che amano fare del bene, che sanno venire in aiuto, occuparsi del decadimento fisico, che sanno trasformare gesti di aggressione in gesti del cuore. Uomini che di fronte all’angoscia degli altri hanno imparato ad accogliere ed amare.

Un giorno, nella quotidiana esercitazione al letto del malato, l’allieva infermiera che saluto insieme alla direttrice della scuola Suor Lorenza, fu invitata a incurvare braccia rigide e tese, quasi a formare un nido in modo che un po’ di tenerezza passasse nei gesti, e il calore del cuore arrivasse alle mani. Di lì a qualche tempo disse: “non sapevo che qui avrei scoperto la mia stessa umanità; che con il contatto della mano qualcuno mi sarebbe venuto incontro anche se non ci diciamo niente, siamo insieme. Ora so quanto ricevo, e tutto quello che imparo, da coloro che non possono fare più niente, tranne esserci. Ora so che è una vita intera ad essere in una stanza e non soltanto un corpo malato.”

E la nave va! E quest’uomo, ogni uomo, è stupito di ritrovarsi personaggio del film di Fellini e pare rivolga una domanda al grande Regista: “E tu hai avuto paura della morte?” La risposta arriva semplice ed enigmatica: “Lì ho incontrato sia la domanda, sia la risposta.” La parola e il silenzio. Il dolore e la gioia. È questa io credo la ricchezza più vera degli operatori sanitari e di quanti sono chiamati a rispondere alle domande che vengono da una società che invecchia: nei cronicari, negli ospedali e ovunque c’è un debito di salute, un debito di amicizia. Non c’è nella vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro cingendoti il collo, possa rialzarsi. Chi ha un gesto spontaneo di compassione non sa quanto bene fa all’altro.

Giovanni Papini vecchio e provato dalla cecità dettò un pensiero che suona come un comandamento: “Quando ero giovane, un uomo di cinquanta anni mi sembrava vecchio, uno di sessanta addirittura decrepito. Ora che ne ho più di settanta mi accorgo che a questa età si può ancora amare, imparare, creare, insomma vivere.” E proprio negli stadi avanzati dell’esistenza la persona umana consegue la migliore realizzazione delle sue capacità potenziali. Un poeta francese con molta efficacia diceva “ottanta anni, più occhi, più orecchi, più gambe, più fiato”. È incredibile come si arrivi a sorpassarli.

Bisogna allora dare un significato al sogno antico della umanità: longevità nella salute e nella efficienza. Le nascite, i matrimoni, i compleanni, le festività sacre e profane, e le magie, in ogni epoca e luogo, hanno cantato l’auspicio alla vita, alla “lunga vita”. E noi siamo qui a ripeterlo per tutti. A tutte le persone anziane che si sentono inutili e dimenticate vorrei gridare: la vostra vita è degna di significato, assaporatene ogni istante. Fermatevi ad ascoltarne il fruscio. Dispiegate tutte le risorse che dormono nei sotterranei dell’essere: la felicità arriva senza avvertire e la meraviglia è nell’istante. Molte cose possono ancora essere vissute. Al di là di noi stessi, al di là delle nostre certezze, al di là delle nostre menzogne c’è la vita, c’è la pienezza del destino compiuto. Perché ogni essere umano non si limita a ciò che vediamo o crediamo di vedere: è sempre infinitamente più grande di quanto lo si giudichi con i nostri criteri inadeguati; sempre in divenire, potenzialmente capace di realizzarsi, di trasformarsi attraverso le crisi e le tribolazioni.

E dagli archivi dell’essere cerco un nome: madre Teresa di Calcutta. Segni particolari: lineamenti, volto olivastro tagliato dalle rughe. L’anagrafe dice che è nata a Skopje in Macedonia nel 1910, ma sono molti a credere che una volta tanto le certificazioni ufficiali abbiano torto, perché forse viene da più lontano. Forse viene direttamente dalla Palestina e chissà ha accompagnato Cristo sulle viene della Galilea. Questa vecchia di 86 anni, per lo stato, per qualunque stato già in pensione, improduttiva a quella veneranda età, ancora oggi dà alla umanità una testimonianza d’amore per la creatura umana, per ogni debole, per ogni povero, per ogni persona nella solitudine. Ecco tutto quello di cui l’umanità ha bisogno. Qui, gli occhi, le mani, la vita stessa non sono considerate come proprietà personale da usare per se stessi, ma sono strumenti di amore e di donazione. Questo “perdere” un poco di se stessi, è un trovare. Qui la retorica si smorza, la verità si libera di ogni incrostazione e si svela nella sua luminosa essenzialità. Sin dai primi interventi di questo meeting si è percepito che la prima risorsa dell’uomo è l’uomo stesso e che il problema vero dell’anziano sta qui: non nelle tessere con lo sconto o nelle protesi, pure utili, ma nel bisogno di significato, trovato il quale sa anche accettare una vita più povera. Che fare allora?

“Bisogna vivere. Ed egli mi insegnò a vivere. Egli mi insegnò a sentire la vita, a sommergermi nell’anima della montagna, nell’anima del lago, nell’anima della gente del villaggio, a perderci in essa per restare in essa.” Così scrive il poeta spagnolo Miguel de Unamuno interpretando in termini di interiorità e solitudine la sua terra basca. Così scrivono con la loro vita, ogni giorno, i nostri anziani, quelli dei villaggi che circondano questa città, quelli del lago, quelli della montagna in un esistenzialismo quasi metafisico che non accetta il limite della morte e che dà significato al mondo. Il senso della vita è questo perdersi nella vita della gente, da parte di chi si sente uno con la natura e con le sue armonie. Il senso della vita è perdersi nella cultura dell’amore contro tutte le alienazioni della società contemporanea. Il senso della vita è capire che l’anziano ha nel suo cuore un progetto mirabile. il senso della vita è capire che davanti a lui, l’aurora e il tramonto si sono toccati e tutti gli uomini sono fratelli.

Signore e signori, vi chiedo scusa se ho abusato della vostra pazienza. Da qualche tempo ho imparato la scienza degli addii, ma oggi mi ha ingannato quella forma volatile e inafferrabile che i dotti considerano il sublime dell’artificio e forse è l’anima del mondo: la poesia.

“Ognuno sta solo nel cuore della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.“

Così Montale con un linguaggio che evoca la purezza dei graffiti. Ma è possibile seminare ancora un sogno, una luce tra questi versi, queste pietre che ha artigliano in profondità il senso della vita? Sul sentiero di ognuno giunge l’autunno e ogni albero lascia cadere lievemente la sua lluvia de alas, la sua “pioggia di ali” mentre continua a vivere nella gioia della profezia e dell’imprevedibile. Anche io avanzo nella notte della vita come Abramo, guidato da quella dolce figlia dell’ignoranza che ha nome speranza.


Vittorio Giuseppe Bottone

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