mercoledì, dicembre 23, 2009

Philosophical survey

Philosophical survey: "

Scusi: ma lei è realista o idealista? Platonista o nominalista? Pensa che la bellezza sia oggettiva o soggettiva? Che la libertà sia compatibile con il determinismo o che sia incompatibile? Non è probabilmente questo il tipo di domande cui vi capita di rispondere quando vi sottoponete a un sondaggio; a meno che, naturalmente, non siate filosofi professionali. Ma qualcuno le ha mai poste ai filosofi queste domande? Vero è che se le pongono da soli, e vi rispondono con argomenti e teorie filosofiche; ma è curioso che solo nel 2009 si sia pensato di indagare che cosa pensa la comunità filosofica dei principali temi che interessano alla professione. Il sondaggio è stato proposto da David Chalmers (l’autore de La mente cosciente) e David Bourget, i curatori dell’utilissimo sito PhilPapers di risorse online per la filosofia. Hanno risposto 3226 filosofi, quasi metà attivi negli Stati Uniti, per metà detentori di un PhD o insegnanti universitari, un terzo dei quali specializzati nello zoccolo duro della filosofia (filosofia della mente, del linguaggio, metafisica, epistemologia), per cinque sesti maschi, e relativamente giovani. Quasi 2500 gli analitici, un po’ più di 300 i continentali. Che cosa risulta? Che i filosofi sono realisti (81%) più che idealisti o scettici, si dividono in parti quasi uguali sulla questione degli universali, tendono a considerare oggettivi i valori estetici, e pensano maggioritariamente che la libertà sia compatibile con il determinismo. È però soprattutto interessante osservare che i filosofi pensano che i loro colleghi abbiano idee assai diverse da quelle che in effetti hanno. Anche se meno filosofi (727) hanno risposto al metasondaggio, che si interrogava sulla rappresentazione che i filosofi hanno della loro comunità, i risultati mostrano una strana distonia rispetto alle prese di posizione effettive. I filosofi interrogati pensano che i loro colleghi siano più idealisti, meno inclini al realismo scientifico, e più disposti a sostenere che non vi sono vere leggi di natura, di quanto in fin dei conti sono. È come se la professione filosofica veda se stessa come portatrice di una visione della realtà più soft, forse più filosoficamente stereotipata di quella che poi i singoli individui sono disposti ad accettare. Anche su domande più specifiche della discussione contemporanea (per esempio l’effetto trolley: cinque persone verranno travolte dal tram, a meno che tu non azioni uno scambio e lo devii su una linea morta uccidendo una sola persona: azioni lo scambio o no?) i filosofi pensano che i loro colleghi siano diversamente morali: quasi il settanta per cento azionerebbe lo scambio, ma la comunità pensa che solo il sessanta per cento risponderebbe così.


L’esercizio di Chalmers e Bourget appartiene alla sociologia delle professioni intellettuali. Nelle intenzioni degli autori era importante trovare un modo operativo di definire il “consenso” in filosofia, la “visione accettata” che fa da sfondo alle discussioni teoriche. È interessante vedere come non solo non ci siano visioni accettate, ma come i filosofi si sbaglino a volte in modo notevole riguardo al senso comune filosofico.

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