Benedetto XVI, ripercorrendo nel tradizionale discorso alla Curia Romana l’anno appena trascorso, è tornato a parlare del suo “indimenticabile viaggio nel Regno Unito”, viaggio inizialmente segnato di timori ma che si è poi rivelato fruttuoso e ricco di soddisfazioni. Il Santo Padre ha voluto ricordare in particolare l’evento che ha contraddistinto non solo il viaggio ma probabilmente l’intero anno: la beatificazione del cardinale John Henry Newman. Due aspetti del neo-beato sono stati sottolineati nel discorso alla Curia, la riflessione sulla coscienza e le sue conversioni. L’intera vita di Newman è stata un cammino di conversione guidato dalla coscienza intesa nel duplice senso di capacità di riconoscere il bene e spinta a compierlo. “Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità”, ha ricordato Benedetto XVI e, pertanto, impone a tutti “il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra”. Coscienza e conversione sono strettamente legate perché l’una indica la strada all’altra. Nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, scritto proprio nel periodo che ha preceduto il suo accoglimento nella Chiesa cattolica, Newman scriveva che vivere è cambiare ed essere perfetti è aver cambiato spesso. La verità ci è data a conoscere nella storia e questa conoscenza si compie necessariamente attraverso uno sviluppo. Ma come distinguere lo sviluppo autentico di una dottrina da una sua deviazione? Questa domanda aveva per il teologo inglese una valenza non solo teoretica ma esistenziale, infatti il grande amore per la verità lo stava portando a mettere in discussione la Chiesa anglicana nella quale era cresciuto e che si era impegnato a servire. La stessa domanda, d’altronde, se la pone chiunque si trovi a far conto con il tempo che passa e, esaminando la propria coscienza, si chiede se ci sono stati nella propria vita dei miglioramenti, una trasformazione positiva. Continua qui. |
venerdì, dicembre 31, 2010
L'amore e il coraggio.
sabato, dicembre 25, 2010
venerdì, dicembre 24, 2010
Buon Natale chestertoniano!!!
Ma cosa sono queste parole, chi le ha dette, cosa vogliono dire?
Sono i sinonimi con cui il nostro caro Chesterton chiama il Natale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Per cui Buon Natale a tutti voi!
"lunedì, dicembre 20, 2010
sabato, dicembre 18, 2010
Irish music site with Italian roots
A website primarily focused on Irish musicians is quickly gathering momentum for its interviews with big and small stars alike – but strangely enough, it’s run by two Italians who have made Ireland their home.
Onemoretune.ie is the brainchild of Rossella Bottone and Luisella Mazza, who moved to Dublin two years ago to work for Google but who have inadvertently ended up documenting the Irish music scene in their spare time. Neither had any experience in videomaking, nor any marketing strategy in place, but they have nevertheless built up an impressive repertoire of interviews with many of the artists and bands who have passed through Dublin in the two years since the site was launched.
Some of the musicians who have graced its web pages include Saul Williams, Joan as Police Woman (pictured), Jeffrey Lewis and Wild Beasts, as well as Irish names such as Glen Hansard, Lisa Hannigan and Adrian Crowley.
“The music scene is very welcoming here. We just wanted to show people abroad how vivid this scene is,” said Bottone. “People always talk about London and Berlin as the coolest places for music, but Dublin has nothing less than them – it’s just that nobody knows!” The former journalist also co-runs booking agency Littlemaps, which has booked Italian tours for acts such as Delorentos and Nina Hynes.
venerdì, dicembre 10, 2010
venerdì, dicembre 03, 2010
Vita pensata
giovedì, dicembre 02, 2010
A proposito di suicidio.
La tiritera nichilista
Monicelli, la grottesca mancanza di pietas dell’establishment italiano. Clericalismo verboso della chiesa secolarista. Perfino Napolitano si fa firmatario di questo tetro e ipocrita manifesto ideologico
di Giuliano Ferrara - Il Foglio
L'altra sera un vecchio cieco e solo e malato si è buttato dalla finestra di un ospedale romano. Triste notizia di cronaca.
Succede, non spesso magari, ma succede.
Gli ospedali sono pieni di vecchi ammalati, la demografia dice che la tendenza è quella, una società di vecchi che a un certo punto si ammalano e devono curarsi e affrontare un periodo di prove molto dure, di conflitto tra un barlume di speranza e una letale noia di vivere. Questo vecchio che si è messo in volo era celebre per la sua arte di regista di commedie e per la sua personalità pubblica dal tratto amabilmente cinico e abrasivamente misantropico. Abbiamo scoperto allora che una circostanza malinconica, forse addirittura disperata, può trasformarsi, nel discorso pubblico italiano, in un orgoglioso e tetro manifesto ideologico a favore della libertà, dell'autodeterminazione umana, e del loro più recente compagno in occidente, il nulla.
Monicelli, come chiunque, aveva la facoltà di fare quel che ha fatto senza essere poco cristianamente e liberalmente giudicato, tanto meno biasimato o condannato. Dico la facoltà e non il diritto, perché “diritto di buttarsi dalla finestra” è espressione in sé grottesca, sebbene la sua parafrasi sia risuonata in confusi discorsetti sull`eutanasia pronunciati alla Camera. Ma la facoltà sì, quella ovviamente ce l'aveva. Il presidente della Repubblica e l'establishment culturale e civile italiano (ma per il presidente Napoletano questo giudizio vale doppiamente, per l`una e l'altra metà del paese che rappresenta) non hanno invece ii diritto di imporci una insincera, mistificatrice, ideologica apologia della disperazione, della solitudine, della misantropia e del suicidio.
Ognuno può in coscienza valutare il gesto di Monicelli alla luce di convinzioni diverse, tutte libere: convinzioni religiose di tradizione cristiana, filosofie materialiste o ateiste, ma anche semplici considerazioni di senso comune sulle circostanze e il significato di una decisione estrema, in una situaziòne limite, che ha risvolti morali da discernere in spirito compassionevole, all`insegna della pietà. La valutazione dovrebbe essere discreta, attenta, governata dalla sensibilità e non dall'arroganza culturale, che è una delle peggiori varianti dell'aggressività umana. Ma come si vede siamo di fronte a ben altro. Il giornalista collettivo e l`uomo di spettacolo - figure massimamente ottuse del contemporaneo - hanno deciso in men che non si dica, appena la salma è stata ritrovata e coperta da un lenzuolo bianco nella pioggia, che il volo di Monicelli è lo sberleffo del laico, un atto di anticonformismo, l`espressione di una volontà incoercibile, superba, nobilitante per l'intera comunità. Ma a questa tiritera nichilista di serie B, caratterizzata da spontaneità e sciocco automatismo, indizio di un modo coatto, indottrinato, di guardare ai fatti della vita e della morte, si sono aggiunte le dichiarazioni autorevoli di leader politici o quella, caratterizzata da una sfumatura di prudenza, ma in sé non diversa dalle altre, del capo dello stato, che ha combinato nella sua riflessione pubblica la “forte personalità” di un grand`uomo con la necessità di “rispettare” questo suo ultimo “scatto di volontà”.
Io penso che un uomo colto ed equilibrato come Napolitano dovrebbe tenere conto, per dirlo con Geno Pampaloni, dì quel “sentimento dell`assoluto con cui l`uomo nella storia si difende dalla storia”.
Una volta il gesto suicida di un uomo celebre sarebbe stato circondato nella parola pubblica da un eccesso di pudore, da una riservatezza negazionista radicata nel senso del peccato e nella concezione cattolica della vita, e questo è qualcosa che probabilmente non tornerà mai più. Ma la cattiva secolarizzazione si vede dal fatto che la sua chiesa, con i suoi chierici e il suo clericalismo ciarliero e i suoi mortiferi devoti, rovescia la frittata; e impudicamente esibisce, davanti a vecchi e malati che magari vogliono curarsi e sperare, davanti a cittadini che si aspettano autorità e leader intellettuali capaci di pietas e di misura nel giudizio, un nmanìfesto di gioiosa lode a chi in nome dei veri significati della vita - la vitalità, hanno detto - si è appena tolto di mezzo con tragica brutalità. Dicono che quel vecchio uomo di talento che si è buttato dalla finestra, lui sì, aveva “la schiena dritta”, era un partigiano dell`esistenza degna di essere vissuta. Nemmeno il regista Denys Arcand, con le sue demoniache ma tenere “Invasioni barbariche”, la storia di un'eutanasia postsessantottina vissuta in gruppo, aveva esibito una così stucchevole retorica di stato sulla morte come bandiera.
Il suo racconto aveva la specifica pietà di una esperienza scristianizzata della fine terrena, e di una comunione generazionale fatta di amicizia e di valori umani stupefatti, fragili ma sinceri. Questa trombonata nazionale è molto peggio, è la misura irriflessa di quanto siamo diventati ipocriti e bugiardi.
Chesterton and Writers on Writing
'A good novel tells us the truth about its hero; but a bad novel tells us the truth about its author.'
'You could compile the worst book in the world entirely out of selected passages from the best writers in the world.'
~G.K. Chesterton
But it isn't just Chesterton who weighs in on the topic of writing, it's apparently anyone who has ever lifted a pen to paper. Every blog is bound to publish a compilation of loved quotations, but maybe this isn't the most obvious list. And it certainly isn't exhaustive. All the same, here is a short compilation of quotations, in no particular order, that is bound to stir anyone who has written even one verse. Hopefully! Enjoy.
Every author in some way portrays himself in his works, even if it be against his will. ~Goethe
The two most engaging powers of an author are to make new things familiar and familiar things new. ~Samuel Johnson
There's nothing to writing. All you do is sit down at a typewriter and open a vein. ~Walter Wellesley Smith
Books want to be born: I never make them. They come to me and insist on being written, and on being such and such. ~Samuel Butler
You must stay drunk on writing so reality cannot destroy you. ~Ray Bradbury
Writing is a socially acceptable form of schizophrenia. ~E.L. Doctorow
The worst enemy to creativity is self-doubt. ~Sylvia Plath
I would hurl words into this darkness and wait for an echo, and if an echo sounded, no matter how faintly, I would send other words to tell, to march, to fight, to create a sense of hunger for life that gnaws in us all. ~Richard Wright
I try to leave out the parts that people skip. ~Elmore Leonard
If there's a book you really want to read, but it hasn't been written yet, then you must write it. ~Toni Morrison
The act of putting pen to paper encourages pause for thought, this in turn makes us think more deeply about life, which helps us regain our equilibrium. ~Norbet Platt
Writing became such a process of discovery that I couldn't wait to get to work in the morning: I wanted to know what I was going to say. ~Sharon O'Brien
Substitute 'damn' every time you're inclined to write 'very;' your editor will delete it and the writing will be just as it should be. ~Mark Twain
I'm not a very good writer, but I'm an excellent rewriter. ~James Michener
The time to begin writing an article is when you have finished it to your satisfaction. By that time you begin to clearly and logically perceive what it is you really want to say. ~Mark Twain
Don't be too harsh to these poems until they're typed. I always think typescript lends some sort of certainty: at least, if the things are bad then, they appear to be bad with conviction. ~Dylan Thomas
Fill your paper with the breathings of your heart. ~William Wordsworth
The pages are still blank, but there is a miraculous feeling of the words being there, written in invisible ink and clamoring to become visible. ~Vladimir Nabakov
Don't tell me the moon is shining; show me the glint of light on broken glass. ~Anton Chekhov
Easy reading is damn hard writing. ~Nathaniel Hawthorne
Ink and paper are sometimes passionate lovers, oftentimes brother and sister, and occasionally mortal enemies. ~Terri Guillemets
The difference between the right word and the almost right word is the difference between lightning and a lightning bug. ~Mark Twain
A prose writer gets tired of writing prose, and wants to be a poet. So he begins every line with a capital letter, and keeps on writing prose. ~Samuel McChord Crothers
I love writing. I love the swirl and swing of words as they tangle with human emotions. ~James Michener
If my doctor told me I had only six minutes to live, I wouldn't brood. I'd type a little faster. ~Isaac Asimov
I love being a writer. What I can't stand is the paperwork. ~Peter De Vries
Words - so innocent and powerless as they are, as standing in a dictionary, how potent for good and evil they become in the hands of one who knows how to combine them. ~Nathaniel Hawthorne
Writing, I think, is not apart from living. Writing is a kind of double living. The writer experiences everything twice. Once in reality and once in that mirror which waits always before or behind. ~Catherine Drinker Bowen
To me, the greatest pleasure of writing is not what it's about, but the inner music the words make. ~Truman Capote
A writer and nothing else: a man alone in a room with the English language, trying to get human feelings right. ~John K. Hutchens
Storytelling reveals meaning without committing the error of defining it. ~Hannah Arendt
For me, a page of good prose is where one hears the rain [and] the noise of battle. ~John Cheever
No one means all he says, and yet very few say all they mean, for words are slippery and thought is viscous. ~Henry Brooks Adams
Writing is easy: All you do is sit staring at a blank sheet of paper until drops of blood form on your forehead. ~Gene Fowler
Write down the thoughts of the moment. Those that come unsought for are commonly the most valuable. ~Francis Bacon
Be obscure clearly. ~E.B. White
Everywhere I go I'm asked if I think the university stifles writers. My opinion is that they don't stifle enough of them. There's many a bestseller that could have been prevented by a good teacher. ~Flannery O'Connor
Being an author is like being in charge of your own personal insane asylum. ~Graycie Harmon
It seems to me that those songs that have been any good, I have nothing much to do with the writing of them. The words have just crawled down my sleeve and come out on the page. ~Joan Baez
When a man is in doubt about this or that in his writing, it will often guide him if he asks himself how it will tell a hundred years hence. ~Samuel Butler
Ink on paper is as beautiful to me as flowers on the mountains; God composes, why shouldn't we? ~Terri Guillemets
Authors and lovers always suffer some infatuation, from which only absence can set them free. ~Samuel Johnson
As for my next book, I am going to hold myself from writing it till I have it impending in me: grown heavy in my mind like a ripe pear; pendant, gravid, asking to be cut or it will fall. ~Virginia Woolf
How vain it is to sit down to write when you have not stood up to live. ~Henry David Thoreau
I am a man, and alive.... For this reason I am a novelist. And being a novelist, I consider myself superior to the saint, the scientist, the philosopher, and the poet, who are all great masters of different bits of man alive, but never get the whole hog. ~D.H. Lawrence
Writing is both mask and unveiling. ~E.B. White
Writing is utter solitude, the descent into the cold abyss of oneself. ~Franz Kafka
One ought only to write when one leaves a piece of one's own flesh in the inkpot, each time one dips one's pen. ~Leo Tolstoy
A man will turn over half a library to make one book. ~Samuel Johnson
Loafing is the most productive part of a writer's life. ~James Norman Hall
Sleep on your writing; take a walk over it; scrutinize it of a morning; review it of an afternoon; digest it after a meal; let it sleep in your drawer a twelvemonth; never venture a whisper about it to your friend, if he be an author especially. ~A. Bronson Alcott
The good writers touch life often. The mediocre ones run a quick hand over her. The bad ones rape her and leave her for the flies. ~Ray Bradbury
Our passions shape our books; repose writes them in the intervals. ~Proust
Writing a book is a horrible, exhausting struggle, like a long bout of some painful illness. One would never undertake such a thing if one were not driven on by some demon whom one can neither resist nor understand. ~George Orwell
One must be drenched in words, literally soaked in them, to have the right ones form themselves into the proper pattern at the right moment. ~Hart Crane"
mercoledì, dicembre 01, 2010
Dicono che è stato lo sberleffo di un laico. Ma vaffanculo [La giornata]
Dovessi restare solo, molto vecchio, affaticato da un cancro e dal tedio di vivere ancora; e se mai accadesse che, ricoverato nel reparto solventi di un ospedale romano, io mi buttassi dal quinto piano e perdessi la vita nella nera malinconia di una giornata di pioggia battente; potrebbe succedere che qualcuno scriva, come per Monicelli, che è stato “lo sberleffo di un laico”. Mandatelo affanculo.
"venerdì, novembre 26, 2010
Il furbo, il santo, il paraculo
E’ una potente trasmissione televisiva che si segue a bocca aperta ma respirando dal naso. Una messa cantata dove ci s’immerge mondandosi dei propri peccati, tenendosi per mano, mettendosi a posto la coscienza perché, insomma, se ci si fa novero tra i dieci milioni di ascoltatori di “Vieni via con me” – anche se di fiato corto, anche se arcitaliani – a ciascuno di noi è data l’ebbrezza di specchiarsi nella parte giusta, nella schiera vittoriosa, tra gli angeli del culturalismo e della virtù civile. E poco male se poi, ognuno di noi, tra i dotati di malizia e di corroborante cinismo, dovremmo farlo finire a fischi e a piriti (leggasi scoregge) questo Te Deum, giusto come ha fatto Umberto Bossi col suo pernacchio, perché – si sa – ci vuole un poco di vento in chiesa, altro che, ma non al punto di spegnere tutte le candele della libertà mentale.Ogni pernacchio ha una stretta eco con lo spernacchiato, sono sempre le belle bandiere ad eccitare le pulsioni più grevi, Saviano è anche il mio labaro, onusto di medaglie, ma neppure si può fare, come ha fatto il Giornale, di lanciare in prima pagina una campagna contro Roberto Saviano e manco stampare in bella evidenza la vera notizia: l’arresto di Antonio Iovine, il camorrista.Fare quegli ascolti che ogni volta si leggono come l’effetto di un formicaio in assedio alla torta del potere ha la funzione di un lavacro di giustizia. Purtroppo lo stesso arresto di Iovine, in questi tempi così malati di odio, grazie alla raffinata manipolazione di quelli col bicchiere in mano (quelli “dell’egemonia culturale, entrando da sinistra”, come giustamente se ne lamenta Ezio Mauro) è risultato quasi quasi ambiguo, una sorta di stroncatura di “Gomorra”, un po’ come la sparatoria sul pianerottolo di Maurizio Belpietro. Ci fosse stata una pistolettata davanti alla porta di Barbara Spinelli, l’Italia civile sarebbe ancora oggi mobilitata, specchiata di sicuro nel trionfante formicaio, affamato di legalità e giustizia. Ma purtroppo è solo la santificazione della geniale banalità quando si fa spettacolo. Questo è il “Vieni via con me” e Fini e Bersani, infatti, ridotti nel ruolo di “portavalori” (copyright di Aldo Grasso), messi sotto l’occhio di bue del narcisismo con l’elenco dei rispettivi valori, non sono la novità della destra e della sinistra, sono soltanto la versione poetica e furba del risotto cucinato da Massimo D’Alema nel salotto di Bruno Vespa.La manipolazione è sofisticata per definizione e leggere in tre righe tre Curzio Maltese che schiera un giornale contro la critica laureata (Aldo Grasso, il nostro eroe), rea questa stessa critica di aver laurea e titoli di poter discutere della trasmissione-missione, quasi quasi c’indispettisce perché in quelle tre righe Maltese ci ruba il mestiere: “Chi se ne frega della critica laureata”, dice. Magari non ha la rude e futuristica irruenza degli squadristi ma, ci chiediamo, come dovrebbe essere la critica, analfabeta? Solletica già da sinistra, pur con bicchiere in mano, una deriva plebiscitaria? A forza di mettersi nel sacco l’incolpevole Saviano, bisogna pur dirlo. Ecco, si sono ridotti a replicare Mario Scelba e le sue invettive contro il culturame. Proprio un brivido. E tutto questo per festeggiare la morte del berlusconismo televisivo.Farsi presepe in tre, poi – perché sono tre i veri protagonisti della funzione, ovvero Loris Mazzetti, Roberto Saviano e Fabio Fazio – replica in automatico la santa trinità di san Giuseppe, la Madonna e il Bambinello. A poco a poco, però, nella morte del berlusconismo televisivo, si sfiora la sceneggiata con tanto di Isso, Issa e o’ Malamente. E tutta quella gioiosa ascesi nel paradiso del successo cui nessun monumento dell’immaginario collettivo democratico si nega (sia esso Abbado, sia Benigni, sia gli Avion Travel) fa precipitare tutto nella cara commedia all’italiana. Ed è perciò che tutti e tre ben s’individuano nei ruoli. Rispettivamente un Furbo, un Santo e un Paraculo.Il furbo è Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre, furbissimo e bravissimo, cui la sciagurata iniziativa dell’azienda Rai di volerlo licenziare gli porterà in dote un immediato reintegro e, di conseguenza, un assoluto potere extraterritoriale derivato dalla magistratura. E senza tema di dover rispondere all’azienda, al suo stesso editore, a qualsivoglia dirigenza Rai perché il grande furbo, una volta riportato in sella da un giudice, potrà sempre fare ostensione di certificato martirio. Avrà voglia Mauro Masi di rimetterlo in riga. Solito tempo perso o, al più, una moltiplicazione di pubblicità che il furbo Mazzetti metterà all’incasso. E tra i ricavi non mancheranno di certo le preziose gocce di quella pioggia di scomuniche asperse da Avvenire dopo le esibizioni di don Gallo (coautore con lo stesso Mazzetti di un libro edito da Aliberti), additato quale “servo narciso” dal giornale dei vescovi ma considerato pezzo forte della macchinazione dove la radice forte è sempre furba, santa e paracula. Il paraculo è Fabio Fazio di cui abbiamo già dato, tutto si sa ed è bravissimo nel suo essere il monumento della vera Italia. La nazione tutta, infatti, gli assomiglia. Anche nel suo essere di sinistra è molto italiano. Lui è quell’italiano migliore, quello che si fa cittadino consapevole, ceto medio con le riflessioni, borghese dai principi solidi e ancor più saldi convincimenti, insomma: uno che si para sempre il culo. Basti pensare alla disperazione di Roberto Zaccaria, ai tempi della sua stagione in Rai, quando doveva togliere dalle reti un eventuale Piero Chiambretti per non urtare la solitaria ascesi di Fabio Fazio (terrorizzato da un probabile arrivo di Antonio Ricci) e magari nel frattempo alzare alti lai per la prevaricazione di Bruno Vespa, egemone in tutti i giorni della settimana su Raiuno. Tutto si sa di Fazio, è vero, ma solo in ristretta cerchia esoterica, quella dei detrattori, esclusi dalla santa messa penitenziale dei dieci milioni di ascoltatori, ma poiché non è reato augurargli di finire un giorno nella scuderia di Lele Mora, glielo auguriamo caldamente perché – e stiamo usando una parola scelta da Ezio Mauro per Saviano – adesso è proprio “troppo”. Ma nel caso specifico troppo paraculo. Santino nelle mani del Furbo e del Paraculo è Roberto Saviano. E a lui vanno le preghiere nostre, la mia in particolare, adesso che ha scelto di fare la calata agli inferi, quelli della telegenia, specie quella conformista. I giornali sono pieni di editorialisti che odiano Saviano ma che in pagina, al contrario, lo elogiano. Io che invece lo considero un patriota voglio trattarlo su questa pagina con la nostra cameratesca consuetudine e dirgli di stare attento alla piega che quei due stanno facendo prendere alle piaghe della sua stessa santità, lo hanno infatti costretto all’ostensione di un nuovo romanticismo pop e basta più. Con un grave danno: la demagogia. Quella che separa. Quella di Saviano, se è permesso dirlo, smette di essere un’operazione contro la criminalità nello stesso momento in cui lui stesso si presta ad argomenti speculari a chi l’Italia vuole dividerla. A chi accusa il sud non si risponde accusando il nord e non perché ci sono più meridionali in settentrione di quanti possano essercene nel mezzogiorno ma perché se là sopra ci sono quelli che il tricolore lo hanno messo nel cesso, il tricolore bruciato lo abbiamo già visto a Terzigno, capitale immorale di quella pentola a pressione che sta già in avanzato bollore, capitale di un regno che sta cercando il suo re. E Saviano, che a differenza di quanto ha scritto Ezio Mauro, non è un uomo solo contro il potere, non deve cadere nelle botole del luogo comune.Se si contrappone al sud il nord per spostare in avanti la famosa “linea della palma” – quella della lezione di Leonardo Sciascia secondo cui il deserto della malavita si prende un orizzonte sempre più vasto – ci si mette a capo di una rivendicazione semplificatrice che cassa definitivamente la verità. Come quando, inseguendo Giulio Andreotti, si diceva che la mafia era solo quella di Roma. A voler ridursi, come ha fatto Saviano, ad essere “un esponente del sud”, si dà linfa a quell’istinto di separazione che tanto piace al protoleghismo. E anche quelli con il bicchiere in mano, speculari ai nemici del sud, pur dai loro salotti, da sinceri democratici partecipano a una deflagrazione che è solo demagogia. E non, certo, solidarietà, sostegno ai poliziotti e costruzione dello stato. Quando, insomma, alle calunnie contro il sud si replica con accuse contro il nord, non si sta più facendo la guerra ai separatisti dell’Italia ricca, al contrario: si è diventati nemici di Carlo Azeglio Ciampi. E un patriota non può essere capo di una plebe, sia pure mistica, qualcuno deve dirglielo a Saviano. E glielo dico io, cameratescamente. La strada che ha intrapreso Saviano non ha che questo sbocco, costretto com’è nella scorciatoia dai furbi e dai paraculi: quello di restare “un esponente del sud” a rischio di plebeismo, capo dunque di una plebe mistica. E’ quella che lui stesso, in un divertente lapsus prontamente annotato col nostro lapis, definisce, anzi, evoca, come “il mio pubblico”. Qualcuno deve dirglielo di non fare auto-proclami che possano infine ridurlo a caricatura, tipo “Madonna in cammino sulla terra dei peccatori”. Altrimenti, la prossima volta che faranno quelli dello share, canteranno in coro “Mira il tuo popolo, o bella Signora”? Glielo dico io, cameratescamente: si deve diffidare di quel pubblico. E mi ripeto: non c’è tanta differenza tra chi il tricolore lo butta nel cesso e chi, come a Terzigno, dove lo vorrebbero re, il tricolore lo brucia.Saviano che è fatto santo, un santino messo in mezzo da un furbo e da un paraculo, non è certamente uno di quelli da cravatta stretta e camicia button-down. La sua faccia è perfetta e sa attraversare i mondi, tutti quelli insospettabili, rispettabili ma fuori codice, fuori dunque dalla cerchia dei furbi e dei paraculi. Alla sua vita così complicata aggiunge uno stordimento fatto di rimandi ormai totemici, anche quando i suoi detrattori gli fanno il favore di andargli contro abbaiando. Perfino i camorristi sono diventati più innocui e Saviano sa bene quanto più spietati possono diventare i furbi e i paraculi, e tutti i demagoghi benpensanti. Belli furono i tempi delle sue riunioni con i ragazzi dello Straniero, la rivista di Goffredo Fofi. Stavano tutti ad ascoltare a bocca aperta e respirando dal naso, tutti immersi nella sacra ostensione della verità fatta letteratura innanzi all’ufficio di Fofi, disturbato solo dal continuo chiacchiericcio del mitico Spada, un fotoreporter amico di Saviano. A un certo punto Fofi s’interrompe infastidito e intima a Saviano: “Roberto, prendi quello e portalo fuori da qui”. Spada si mette in piedi, s’aggiusta il giubbotto, si porta sotto il muso del venerato maestro e gli ruggisce (con fare educato): “Ne’ Giacubi’, statte accuorto”. Uscirono insieme e andarono a divertirsi. Oltre le paludi della letteratura e dell’impegno.Vecchi giacobini tornano, tornano sempre. Saviano ha sempre la faccia perfetta e il fatto che lui abbia scelto di stare però dalla parte giusta, furba e paracula, impedendo a tanti di condividere la sua santità, ci conforta comunque perché lui non si riduce a vanità. Magari cederà alla tentazione di sottoscrivere quanto ha scritto Ezio Mauro sul caso Saviano: “Un bisogno di cambiare programma non solo in tivù, ma nel paese”. Magari, appunto, cederà nell’illusione che con lui sia veramente nato un linguaggio nuovo, un significato diverso, un differente codice e non – come temiamo, perché sempre di tivù si tratta – solo una versione poetica e furba del solito vecchio risotto di D’Alema, ma che ci s’infili nell’amore, o nella passione sociale, da che mondo è mondo il romanticismo è impolitico. Qualcuno deve dirglielo e glielo dico io, cameratescamente. Per come mi dice sempre lui. Se ha scelto di sottrarsi alla letteratura per farsi riproducibile quanto a icona ma irriducibile quanto a santità, Dio ce ne scampi, può solo correre un serio rischio: diventare solo un nuovo Yuppi Du.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Pietrangelo Buttafuoco
martedì, novembre 23, 2010
Irlanda e non solo: crescita tanto esaltata quanto fragile
In una prima fase, all’inizio degli anni Novanta, si era ironizzato chiamandoli il "club Med": si pensava che Grecia, Portogallo e Spagna non ce l’avrebbero mai fatta ad entrare nell’area dell’euro (allora in via di creazione) e che l’Irlanda ne sarebbe rimasta schiacciata dall’accresciuta concorrenza. Poi, tra il 1998 e il 2008, hanno sorpreso vari osservatori per l’elevato tasso di crescita (vero in due casi, presunto negli altri due): in quei dieci anni, i Pil pro capite dell’Irlanda, della Spagna, della Grecia e del Portogallo sono passati rispettivamente dal 106,1% della media dell’area dell’euro al 123,8%, dall’83,3% al 94,5%, dal 72,3% all’86,2% e dal 69,3% al 71,6%. Peccato che la contabilità nazionale della Grecia lasci a desiderare tanto quanto la finanza pubblica ellenica.
E il Portogallo abbia avuto una crescita più mediatica (il ponte sul Tago, l’abbellimento di Lisbona) che effettiva. Oggi, la comunità internazionale ha appena completato una prima azione di salvataggio della Grecia ed è al capezzale dell’Irlanda. Mentre Spagna e Portogallo rischiano il pronto soccorso.
Cosa è successo? In parte l’abbiamo spiegato su Avvenire del 14 novembre: la nascita dell’unione monetaria è stata percepita come una fase di "grande moderazione" caratterizzata da bassi tassi d’interesse e ampio credito dal resto dell’area.
Ne è seguito un forte indebitamento che ha, a sua volta, causato una rapida ascesa del credito totale interno collocato verso investimenti (per lo più immobiliari) a basso rendimento , mentre, in aggiunta, la produttività ristagnava. In questo quadro generale, ci sono caratteristiche specifiche. In Irlanda si è tentato di attirare investimenti diretti esteri in alta tecnologia con una tassazione molta bassa sugli utili, ma a conti fatti poche aziende veramente innovative si sono spostate verso la piccola "tigre celtica" la cui regolamentazione pareva lasca e la cui crescita era al traino della Gran Bretagna (mai entrata nell’euro). Così, quando per l’Isola Verde l’alta tecnologia si è rivelata un’illusione, ci è buttati sull’edilizia.
E i costruttori sono stati, dati alla mano, i principali finanziatori delle campagne elettorali dei vari partiti della Repubblica. In Spagna, la liquidità è corsa verso l’immobiliare (anche perché c’erano poche alternative concrete) mentre altre politiche pubbliche incoraggiavano la denatalità. Ora il Paese dispone di un patrimonio di case edificato con indebitamento estero e tale da soddisfare qualcosa come tre generazioni: la bolla è così esplosa all’interno e nei conti con il resto del mondo. Ancora, i tecnici dell’Eurostat avevano espresso serie perplessità sui conti della Grecia e sulla loro compatibilità con le regole di Maastricht: sono stati sostituiti per fare entrare gli eredi dell’Ellade (considerata la culla della civiltà europea) nell’areopago del continente. E il Portogallo? "La grande moderazione" ha portato conti in rosso senza crescita a ragione dei forti investimenti, oltre che nell’edilizia, nell’arido Nord del Paese.
Ora o si rattoppa l’euro o si va tutti a gambe all’aria: il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy parla di «crisi di sopravvivenza». Rattoppare, però, non deve voler dire una sanatoria per le politiche errate. I primi a pagarne le spese sarebbero gli stessi "tigrotti" che tra qualche anno si ritroverebbero come adesso, ove non peggio di adesso. Alla lunga, poi, la stessa unione monetaria non resisterebbe: farebbe la fine di una dozzina di unioni monetarie costituite negli ultimi 60 anni.
È necessario allora che i salvataggi (a spese dei contribuenti di Paesi virtuosi) siano accompagnati da condizioni precise in merito a cambiamenti di rotta. E da un rigoroso monitoraggio.
Giuseppe Pennisi
La soluzione del problema Irlandese... e Portoghese e Greco e Spagnolo...
.....Tutti sanno qual è la realtà. L’Irlanda non è Paese che abbia mentito sui suoi numeri pubblici come la Grecia. Non è Paese che abbia un deficit annuale a doppia cifra sul Pil delle partite correnti, come capita al Portogallo che non riesce a generare esportazioni e dipende dai capitali stranieri. L’Irlanda paga l’esplosione del suo sistema bancario, che adottando in pieno il modello di intermediazione ad alta leva era iperesposto su crediti e impieghi ad alto rischio, divenuti nella crisi insolvibili perché privi di prezzo. Con banche più grandi della sua economia, la garanzia pubblica data al sistema da salvare ha finito per non bastare, perché perdite e rettifiche sono giunte in due anni a coprire più di 40 punti nazionali di Pil.
L’innalzarsi degli spread dei titoli pubblici irlandesi sul Bund ha punito un Paese la cui economia è inefficiente? No, ha punito il fatto che in più di due anni l’euroarea non ha saputo né voluto in alcun modo darsi un meccanismo di salvataggio e garanzia degli intermediari finanziari che non sui riverberasse immediatamente sui conti pubblici anno per anno dei diversi Paesi membri. E’ un meccanismo che vede di volta in volta i Paesi leader tirare la corda fino all’estremo secondo prossimo al default del Paese che si trovi esposto al rischio, per poi imporgli condizioni capestro per salvare le proprie banche che regolarmente hanno titoli di quel paese e sono i veri destinatari del salvataggio, che invece spingerà il Paese destinatario a due conseguenze sbagliate.....Usiamo le parole di Oscar Giannino permettendoci sommessamente di chiosare che non si può liquidare la politica spericolata delle banche di diritto irlandese come "modello di intermediazione ad alta leva", ci manca solo un nuovo giro di parole (tipo QE, manovra di bilancio, riallineamento dei conti, e bastaaaaa...) per definire bonariamente la totale irresponsabilità di banchieri la cui unica stella polare per anni è stata il bonus di fine anno, costi anzi rischi quel che rischi.
Ma c'è di più, quel "modello di intermediazione ad alta leva" (come suona bene eh...) è favorito da un sistema di norme tese ad attirare la maggior quantità di capitali possibili sull'altare di facili triangolazioni con paradisi fisacali (si veda l'ingegnoso sistema con cui il colosso Google riesce ad avere un tax rate del 2,4% grazie alle norme irlandesi ).
Quindi, va bene puntare il dito sulle lentezze e la arretratezza normativa dell'euroarea, ma insomma non è che a gonfiare a dismisura il proprio sistema bancario e il mercato immobiliare lo abbia prescritto il medico (o l'Unione Europea) all'Irlanda. E' stata una precisa scelta di politica economica che tra le altre cose ha spiazzato i sistemi fiscali e bancari delle altre nazioni europee.
Siamo d'accordo con Oscar Giannino, e lo diciamo da tempo, è necessario che venga immediatamente approntato un meccanismo europeo che affronti le crisi finanziarie e in particolare (questo lo aggiungiamo noi) prevedendo che siano anche i creditori a pagare smitizzando il tabù del default e degli stati e degli istituti bancari.
Hanno ragione i cittadini Irlandesi a rivoltarsi contro i loro governanti, contro l'FMI e persino contro questa Unione Europea , loro, si sono visti togliere servizi e diritti per salvare le banche!Tutte le banche, le loro e quelle del resto d'Europa, ma quello che è peggio è che gli Irlandesi stanno perdendo tutto senza fare pagare un centesimo di euro ai creditori e agli azionisti (e ai dirigenti) di quelle stesse banche piene zeppe di titoli senza valore.
E' inaccettabile, come fa notare Jim Rogers:
It would teach everybody a good lesson, and in the end Europe would be stronger for it, and the EUR would be stronger... You can not spend staggering amounts of money that you don't have of other people's money that you don't have because somebody has to pay the piper. This is ludicrous. This will cripple the Irish economy for years to come. In the future Ireland will be crippled because everything they earn will go to pay off old debt.There is no reason why taxpayers around Europe or in Ireland should pay for other people's mistakes. The bondholders and the stockholders of banks should lose money"... So simple, yet so irrelevant when dealing with a dying economic model.E' semplice in fondo, non esiste alcuna ragione per cui i contribuenti europei debbano pagare gli errori di altre persone, prima devono pagare (fino ad azzerare i propri investimenti) gli obbligazionisti e gli azionisti delle banche. Lo stato interverrà solo alla fine di questo processo, nazionalizzando e/o liquidando le banche (e i banchieri) in dissesto. Può essere accettabile per i cittadini essere chiamati ad uno sforzo per salvare il sistema finanziario, NON è accettabile salvare gli utili e il bonus di fine anno dei banchieri: esattamente quello che sta succedendo in Irlanda.
Qualcuno ha una soluzione migliore?
Fossi irlandese: viva la sterlina!
Oscar Giannino
Mi spiace andare controcorrente, ma se io fossi irlandese avrei del tutto condiviso l’atteggiamento tenuto dal governo in queste ultime settimane. Avrei cioè detto fino alla fine che di aiuti non c’era bisogno, perché il debito pubblico era coperto per un anno:così da far “strizzare” le altre capitali dell’euroare. E avrei anche opposto fiera resistenza alla condizione numero uno per gli aiuti posta dai tedeschi e dai francesi. Anzi, avrei anche aggiunto sul tavolo un’altro argomento polemico, che al contrario l’Irlanda non ha ritenuto opportuno usare.
Tutti sanno qual è la realtà. L’Irlanda non è Paese che abbia mentito sui suoi numeri pubblici come la Grecia. Non è Paese che abbia un deficit annuale a doppia cifra sul Pil delle partite correnti, come capita al Portogallo che non riesce a generare esportazioni e dipende dai capitali stranieri. L’Irlanda paga l’esplosione del suo sistema bancario, che adottando in pieno il modello di intermediazione ad alta leva era iperesposto su crediti e impieghi ad alto rischio, divenuti nella crisi insolvibili perché privi di prezzo. Con banche più grandi della sua economia, la garanzia pubblica data al sistema da salvare ha finito per non bastare, perché perdite e rettifiche sono giunte in due anni a coprire più di 40 punti nazionali di Pil.
L’innalzarsi degli spread dei titoli pubblici irlandesi sul Bund ha punito un Paese la cui economia è inefficiente? No, ha punito il fatto che in più di due anni l’euroarea non ha saputo né voluto in alcun modo darsi un meccanismo di salvataggio e garanzia degli intermediari finanziari che non sui riverberasse immediatamente sui conti pubblici anno per anno dei diversi Paesi membri. E’ un meccanismo che vede di volta in volta i Paesi leader tirare la corda fino all’estremo secondo prossimo al default del Paese che si trovi esposto al rischio, per poi imporgli condizioni capestro per salvare le proprie banche che regolarmente hanno titoli di quel paese e sono i veri destinatari del salvataggio, che invece spingerà il Paese destinatario a due conseguenze sbagliate. La prima è una massiccia deflazione,pagata da tutti gli incolpevoli cittadini e dalle imprese. La seconda, nel caso irlandese, è ancor più inaccettabile, e costituisce la richiesta che più ha registrato opposizione a Dublino. E cioè alzare drasticamente quell’aliquota del 12,5% sul reddito d’impresa che ai grandi paesi dell’euroarea ha dato fastidio per anni. Garantendo all’Irlanda una crescita fortissima del’economia reale attirando imprese da tutto il mondo, e nell’equilibrio tra entrate e spese e dunque non in deficit, quel 12,5% di aliquota flat mostrava al mondo intero che la scelta di alte tasse europee era un pietoso scudo abbatticrescita, necessario in realtà solo a reggere l’eccesso di intermediazione pubblica del reddito nazionale.
Per questo, fossi irlandese, col cavolo che accetterei gli aiuti che servono a coprire le esposizioni franco-tedesche su titoli irlandesi, imponendo all’economia irlandese il costo e obbligando l’Irlanda ad uniformarsi alle alte aliquote continentali. Piuttosto, fossi stato un uomo di governo irlandese avrei continuato a far capire ai franco-tedeschi che è la loro Europa alla loro condizioni, che non regge. Tanto che avrei annunciato l’uscita dall’euro per un accordo di cambio collegato alla sterlina, autonoma dall’euro per fortuna dei britannici e lungimiranza di Margaret Thatcher. Su questa base, à la guerre comme à la guerre, avrei scommesso che americani e britannici avrebbero mobilitato tutte le proprie energie, per far accorrere il Fondo Monetario a sostegno dell’Irlanda.
Non è andata così. Purtroppo, franco-tedeschi ne ottengono l’ennesima conferma che l’euroarea può continuare ad andare avanti mettendo nel mirino uno dopo l’altro i Paesi esposti, al servizio dell’europrimato germanico e con la scappatoia offerta ai francesi di non prevedere rientri quantitativi del debito pubblico come tetti dichiarati ex ante in assenza del cui raggiungimento scattino sanzioni automatiche. Come capisco gli irlandesi capisco anche i tedeschi, forti delle scelte che hanno fatto su rigore pubblico e produttività privata. Purché sia chiaro che alla fine l’euro su questi presupposti non reggerà. E che presto verrà il turno dell’Italia, dopo il Portogallo. Perché non abbiamo bolle né banche esplose, ma cresciamo troppo poco e a quel punto il mercato penserà che senza un giogo al collo il debito pubblico non scenderà mai. Ci pensa, la politica italiana? Pronta com’è a dire che a quel punto la colpa è stata solo di chi ha invece frenato la spesa pubblica, non mi pare proprio. Credo anzi che in molti ci sperino, nell’Italia presto al posto dell’Irlanda. Allacciate le cinture.
lunedì, novembre 22, 2010
A Natale arriva La Nonna del Drago
domenica, novembre 21, 2010
Radio anch'io
venerdì, novembre 19, 2010
The true dimensions of saint's project in Ireland
The true dimensions of saint's project in Ireland
The Philosophical Habit of Mind: Rhetoric and Person in John Henry Newman's Dublin Writings
By Angelo Bottone (Zeta Books, €22.00 pb; also available to individuals as an eBook, €9.00;www.zetabooks.com)
The beatification of John Henry Newman has seen the appearance of a host of books, of all kinds, to mark the occasion. But few of them will have the lasting qualities of this study of Newman's Dublin writings and their philosophical background, which makes a permanent and valuable contribution from Ireland to the development of our understanding of Newman's mind and outlook. This may well be the most important book published this year on Newman.
Angelo Bottone is an academic now resident in Ireland where he has taught at University College Dublin and elsewhere. His focus is on Newman's years in Ireland attempting to establish the Catholic University of Ireland - the institution which would later change into the UCD of today.
Newman's great work of this period, The Idea of a University, is universally acknowledged as one of the major intellectual landmarks of the 19th Century. But Dr Bottone demonstrates that the book, while very familiar, has been, in fact, little explored.
He analyses what went into its making, through the incorporation of various addresses and papers. But, in addition, reveals that behind it lies a wide range of other writings, which are connected with it and bear upon Newman's project.
He hugely enlarges just what was the true nature of Newman's Dublin enterprise, both practically and intellectually.
He then turns to a totally new and unexplored topic: just what were the philosophical sources for Newman's thoughts?
The whole scheme rests on the foundation of Aristotle's thought, but so thoroughly that the foundation on which the idea was raised is almost hidden from view.
Another spur was to be found in John Locke, not surprisingly, for he is the source of the utilitarian notions of the university that prevail today, and which Newman wished to counter.
Of even greater importance, and totally over-looked, is the figure of Cicero. Cicero domesticated Greek philosophy for the more practical and administration-minded Romans. Indeed, De Senectute and Pro lege Manilia were still a part of the Latin curriculum studies in Ireland through to the 1970s.
Rhetoric for the older scheme of education was the final stage of a course of study based on the use of language. Rhetoric today has a bad name, but, for Cicero and the Romans, it was an essential qualification of the educated person, the ability to order thought, to expound it, and to persuade.
Rhetoric thus serves as a way of completing, not just the civil person, but for Newman, the moral person as well.
From this, Dr Bottone goes on to consider just those aspects of Newman's Dublin writings, the formation of that whole person, the contrast between ''the gentleman'' and the truly ''educated man''.
For many readers, especially those concerned with the place and purpose of the university in the modern world, Dr Bottone's last chapter and conclusion may perhaps be the most vital and the most thought-provoking part of the book.
He suggests that, though Newman's project failed in a practical way, the idea of the university which he created remains as a touchstone of what a true education, of both the citizen and the moral person, ought to be. I found this a richly rewarding and a thought-provoking idea: Newman's notion of the metropolis as a true university seems to me a most exciting notion, one which connects with Walter Benjamin's arcades project.
The reader is left with notions arising from it that require further exploration.
Doubtless this is only the first of other explorations of Newman and his thought which we can look forward to from Dr Bottone.
Peter Costello
domenica, novembre 14, 2010
Il teologo all’antropologo
«Avete perfettamente ragione a sostenere la causa degli Zulù, ma con tutto ciò voi non li comprendete affatto. Anche se conoscete la ricetta degli Zulù per cucinare i pomodori e la preghiera che dicono prima di soffiarsi il naso, voi non li capite come li capisco io, che pure non distinguo una zagaglia da una forchetta. Voi siete più colto, ma io sono più Zulù» (G.K. Chesterton, Il club dei mestieri stravaganti, tr. it. Guanda, Parma 1987, p. 86).
"sabato, novembre 13, 2010
E Berlino si scusò con gli speculatori
Cinque capi di governo europei si sono precipitati a rassicurare la speculazione finanziaria. Il ministro degli Esteri tedesco Westerwelle – si noti, non quello delle Finanze, che era di ritorno da Seul – ha dovuto fare praticamente le sue scuse ai mercati: i detentori privati dei debiti pubblici europei non correranno alcun rischio, non pagheranno pegno. Quando la cancelliera Merkel ha detto che «anche loro saranno chiamati a contribuire» al prossimo default stile greco, scherzava... Continuate pure a speculare a rischio zero.
Ciò per il buon motivo che dopo la frase della Merkel pronunciata qualche giorno fa, i mercati hanno chiesto l’8,92% d’interesse per accettar di comprare il buono decennale irlandese, che ad agosto si negoziava a 4,89%; con ciò praticamente condannando l’Irlanda alla bancarotta, e il conseguente contagio, con bancarotte a catena di Portogallo e Spagna (e Italia, dopo). Il collasso puro e semplice della zona-euro. Che non è affatto scongiurato nonostante le scuse dei politici agli speculatori; dopo le frasi rassicuranti di Westerwelle, il decennale irlandese è sceso da 8,92% a 8,78%, comunque impagabile per l’Irlanda.
Come siamo arrivati qui? Ricapitoliamo fin dal principio, tutto il succo del disastro finanziario, citando ampiamente Paul Jorion.
Da vent’anni i redditi (mancanti) sono stati sostituiti da crediti. Il cartello di carta dei crediti è crollato dall’estate 2007, aggravandosi mese dopo mese con la rivelazione di scandali e frodi e sporchi trucchi sempre più inverosimili, a cominciare dai subprime. Invece di prendere atto che era una crisi di insolvenza degli speculatori e delle grandi banche d’affari, si è deciso di diagnosticare il male come crisi di liquidità. Ossia: no, non è cancro, è semplice disidratazione; occorre qualche fleboclisi. Diagnosi sbagliata, ma tranquillizzante. Era il Washington Consensus, e gli Stati europei hanno obbedito.
Gli Stati hanno infatti trasfuso liquidità in gran fretta ed enormi volumi alle banche, a tasso praticamente zero. Adesso le banche, quei fondi creati a spese dei contribuenti futuri, li distribuiranno alle imprese e alle famiglie in nuovi crediti, mutui, fidi; guadagnandoci, e intanto rimettendo in moto l’economia a credito. Ma non ha funzionato: causa recessione, le banche e la finanza ha capito che famiglie e le imprese non erano in grado di rimborsare; e nemmeno chiedevano più di fare altri debiti. Perciò hanno messo quei fiumi di denaro in pensione presso le Banche Centrali, o acquistato titoli di Stato: non corrono rischi gli audaci speculatori.
Ma siccome gli Stati si sono indebitati fino ai capelli per dare liquidità alle banche, e s’erano portati garanti della loro solvibilità, mentre le entrate tributarie degli Stati calavano causa recessione, i tassi richiesti dai «mercati» sui debiti pubblici salivano e salivano, mentre il valore dei prestiti della banche agli Stati calava; ciò specialmente per gli Stati deboli e mediterranei, ma anche baltici e Irlanda. Disdetta, il portafoglio delle banche si svalorizzava, costringendole a ricapitalizzarsi.
La diagnosi (deliberatamente) sbagliata produceva così la prima spirale viziosa verso l’inferno: le banche s’indebolivano perchè avevano le casse piene di titoli di debiti di Stato che perdevano valore, in quanto gli Stati s’erano indeboliti per salvare le banche.
Lo Stato più debole nella zona euro, la Grecia, ha chiesto aiuto all’Europa. Malmostosa, anzi ostile risposta di Berlino: tocca a noi virtuosi pagare per le cicale! Ma alla fine, bene o male, è stato messo insieme un fondo di garanzia europeo (Financial Stability Facility) per sostenere i Paesi incapaci di pagare il loro debito pubblico: 750 miliardi di euro. Una cifra più teorica che reale, ma ha calmato un poco i mercati, che sono tornati a comprare i Buoni del Tesoro dei Paesi in crisi.
E chi non lo farebbe? Perchè comprare Buoni tedeschi all’1%, poniamo, quando uno speculatore può comprare Buoni greci, portoghesi, spagnoli lucrando tassi doppi e tripli? L’Europa, le sue classi cosiddette dirigenti, di fatto ha invitato gli speculatori a comprare BOT di Stati fallimentari assicurando: paghiamo noi, il rischio per voi mercati è nullo.
Axel Weber
Per mesi la speculazione internazionale ha lucrato benefici astronomici su questi suoi investimenti nel debito di Stati-subprime, ma garantiti da stati prime. Gli interessi gravanti sulla Grecia sono un poco calati. Poi, ad ottobre, la Merkel e il suo banchiere centrale Axel Weber saltano fuori a dichiarare: «Alla prossima crisi di tipo greco, i detentori dei Buoni del Tesoro devono essere parte della soluzione anzichè del problema». E i tedeschi, affiancati da Sarkozy, cominciano a parlare, in caso di crisi di Portogallo, Irlanda o Spagna, di procedure di fallimento ordinato, di riscaglionamento del debito, di ristrutturazione, di scrematura dei detentori privati dei titoli di quel debito.
Il che significa: voi speculatori avete titoli pubblici portoghesi o irlandesi e vi aspettate che l’Europa vi ripaghi a scadenza il 100%, dopo 10 anni in cui lucrate gli interessi? No, ci sarà una procedura fallimentare, e voi sarete chiamati a pagare la vostra parte come creditori di un fallito: del BOT portoghese a valore facciale 100 vi sarà restituito 70. Oppure 60, o 30. O il decennale diventerà trentennale. O il pagamento del capitale sarà sospeso, e riceverete solo gli interessi.
Intendiamoci, l’idea è giusta e sana. Banche e fondi speculativi hanno goduto di uno scandaloso stato di privilegio, dando loro il permesso di comprare BOT greci e portoghesi con l’assicurazione che non correvano rischi, perchè a pagare il conto degli insolventi sarebbero stati i contribuenti tedeschi ed europei in genere. Del resto, quel meccanismo di garanzìa, che invita la speculazione a comprare BOT di Paesi in crisi, aggrava la situazione di detti Paesi. Per la Grecia, le banche e i fondi speculativi hanno potuto accollare circa 150 miliardi di euro ai governi europei, mentre la Grecia sta affondando nella spirale degli interessi composti a tal punto che, se all’inizio della sua crisi il debito pubblico era del 115% del PIL, alla fine del presunto salvataggio sarà del 150% cento. Impagabile.
Sì, i mercati speculativi meritano di essere puniti. Mentre le economie occidentali precipitano, sono i soli a continuare a guadagnare – e guadagnano sulla crisi e rovina degli Stati e delle società. E’ quel che si chiama azzardo morale, questo speculare su alti tassi (con la scusa che si presta a Paesi a rischio) quando il rischio è zero, perchè garantito dal fondo europeo di stabilità.
La Merkel e il suo banchiere hanno dunque detto la cosa giusta. Ma al momento e nella situazione sbagliata. Gli Stati sovrani (si fa per dire) dell’eurozona devono emettere l’anno prossimo 915 miliardi di nuovi debiti o rinnovarli, per coprire i loro immensi debiti (fatti per salvare banche e speculazione); finchè ci sono i mercati finanziari, devono chiedere i prestiti ai mercati. I quali hanno subito risposto alla (vuota) minaccia della Merkel chiedendo immediatamente all’Irlanda tassi del 9% anzichè il 4,5%.
Il settore privato (come chiamano se stessi gli speculatori inglesi) non vuol accollarsi la sua parte di perdite, ed ha la forza per rifiutarsi al taglio di capelli minacciato da Merkel e Sarko. Il governo tedesco ha dovuto chiedere umilmente scusa per aver pensato per un attimo che anche i mercati e le banche devono soffrire un pochino per i danni che essi stessi hanno provocato; le nuove norme non saranno in vigore prima del 2013, ha belato (complimenti per la rapidità, nel mondo del trading al millesimo di secondo). O, come la mettono gli speculatori della City, «i governanti non capiscono il risultato di un’alta esposizione del loro debito pubblico in mano a non-residenti».
E’ questo il punto: ci siamo inutilmente indebitati con l’estero, che i governi non controllano, anzichè coi nostri cittadini (come fa ancora il Giappone). E i nodi vengono al pettine.
Adesso il crollo dell’Irlanda è scritto (anche se a metà 2011) e il contagio si sta espandendo al Portogallo, e si vede nella forbice richiesta dai mercati per comprare BOT spagnoli e italiani. E’ a rischio l’intera eurozona, e nel modo più confuso e disordinato.
Continua su Effedieffe.
venerdì, novembre 12, 2010
The Irish Catholic
giovedì, novembre 04, 2010
Copertino su Newman
(L'accesso è riservato agli abbonati)
mercoledì, novembre 03, 2010
Posta
martedì, novembre 02, 2010
venerdì, ottobre 22, 2010
Un aforisma al giorno
Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia
"sabato, ottobre 16, 2010
Il bambino è malato? Allora la madre surrogata deve abortire - Da Il Foglio
Una coppia di Vancouver ha voluto che la donna da cui aveva affittato l'utero non partorisse il figlio Down
Cronache dal Mondo Nuovo. Dopo aver fatto ricorso all'utero in affitto per avere un figlio, una coppia di Vancouver ha scoperto con l'amniocentesi che il bambino atteso era affetto da sindrome di Down. A quel punto, ha preteso che la "madre surrogata" abortisse. La vicenda è finita sui giornali canadesi solo perché la madre surrogata all'inizio si è rifiutata di dar seguito alla richiesta della coppia. Ne è nato un contenzioso – davvero degno della fantasia di Huxley e del suo "Brave New World" – sul valore dell'accordo privato concluso in precedenza, che garantiva ai committenti la possibilità di rifiutare un figlio malato. I due genitori biologici hanno annunciato che se il bambino fosse nato (ma alla fine l'aborto c'è stato), loro non avrebbero assunto nei suoi confronti nessuna responsabilità. E' la logica commerciale: c'è una coppia di committenti, c'è una prestatrice d'opera (ufficialmente a titolo di solidarietà, perché le regole canadesi lo richiedono, ma un pagamento c'è: lo chiamano "rimborso spese"), c'è un prodotto che deve rispettare certi standard. Se il prodotto è difettoso, il committente recede, e con lo stesso diritto con cui si noleggia una donna per una gestazione, le si intima di interromperla.
Intervistata dal quotidiano National Post, Juliet Guichon, bioeticista dell'Università di Calgary, avanza dubbi sull'applicazione di 'regole commerciali al concepimento di figli'. Sally Rhoads, che con il sito Surrogacy in Canada assiste le coppie che ricorrono all'utero in affitto, pensa invece che 'le parti dovrebbero accordarsi fin dall'inizio sul da farsi, e garantirsi di pensarla nello stesso modo sull'aborto'. La contrattualistica procreativa va solo perfezionata. Alcuni stati americani consentono alla coppia committente di portare in tribunale la fornitrice di utero, allo scopo di recuperare il compenso già corrisposto, se questa si ostina a voler partorire un bambino nel frattempo diventato indesiderato. In Canada, in altri tre casi di rottura imprevista del contratto di maternità surrogata (le coppie committenti avevano divorziato mentre le gestazioni erano in corso), le fornitrici di utero hanno deciso di partorire e di tenere con sé i bambini, dei quali sono diventate madri a tutti gli effetti.
Questo accade nel mondo ricco. "E' etico pagare i poveri del mondo per far loro partorire i nostri bimbi?", si chiedeva un anno fa Vanity Fair, con un impressionante reportage sulle moderne schiave indiane dell'utero in affitto. I signori Pankert di Tubinga – uno storico dell'arte lui e una direttrice di banca lei – si sono risposti di sì. E visto che la Germania proibisce severamente sia l'eterologa femminile sia l'utero in affitto, si sono rivolti a una delle tante cliniche indiane della fertilità. Sono nati i gemelli Jonas e Philip, frutto di una fornitura di ovociti e di utero in affitto da parte di due diverse donne indiane, al modico prezzo di seimila euro. Ma i bambini, scrive lo Zeit, vivono ancora a Jaipur con il padre, perché non hanno passaporto. Sono tedeschi, dicono le autorità indiane, che consentono ormai tutte le pratiche eterologhe, per coppie e per single, ma non intendono dare la cittadinanza alle centinaia di bambini che ogni anno nascono nel paese grazie a quelle pratiche. Sono indiani, replicano i tedeschi, per i quali vale la nazionalità della donna che ha partorito i gemelli.
giovedì, ottobre 14, 2010
Lo spazio della parola
CASTAGNA M. - DE CARLO S. (a cura di)
Lo spazio della parola.
Studi in onore di Michele Malatesta
Napoli 2010, pp. 255
€ 15,00
Questo volume è sigillo di un debito - di per sé inestinguibile - nei confronti di Michele Malatesta, professore di Logica nell'Ateneo federiciano, che, ricollocando la filosofia in una dimensione esperienzale, ci ha accompagnati per tanti anni nei dedali della logica con umanità, cura e rigore. Il pensiero, come il linguaggio, nasce nei giorni felici, negli spazi aperti del confronto, nell'ironia dei fallimenti e delle rimesse in gioco, nella consapevolezza del suo essere performativo, In un simile orizzonte, è compito della filosofia custodire responsabilmente lo spazio della parola e dei suoi maestri educare ad un esercizio consapevole dell'analisi e dell'argomentazione, in un rivolgimento che obbliga ad un apprendistato continuo. Nei corridoi del Dipartimento di Filosofia "A. Aliotta" dell'Università di Napoli Federico II, la risata contagiosa di Malatesta é stata quotidiano richiamo alla calviniana leggerezza del sapere, pungolo, principio inderogabile di messa in movimento. Come scriveva Joao Guimaraes Rosa, «solo quello che la gente può pensare in piedi - é quello che vale», e Malatesta pensava parlando e camminando.
lunedì, ottobre 11, 2010
We Need to Talk About Gilbert
So the 'difficult second meeting' hump has been surmounted and the GK Chesterton Society of Ireland is now a time-hallowed, ivy-strewn institution!
We met last Saturday in the cosy surroundings of the Central Catholic Library, which is indeed a much-overlooked cultural treasure. Librarian Peter Costello even showed us some original copies of GK's Weekly, as well as giving us a tour of the library. Several new members attended.
Proceedings began with a lengthy paper by your blog host on the subject of Chesterton and Ireland. Having patiently endured this, the attendees fell to discussing many aspects of Chesterton's work, including Distributism, poetry, the Father Brown stories and Chesterton's historical writings.
Angelo Bottone then made several announcements, including the fact that our English counterparts were holding a Chesterton conference in Beaconsfield on the very same day.
After that Peter Costello showed us around the library itself. There was much enthusiasm for future meetings.
Thanks to everybody for coming!"
domenica, ottobre 10, 2010
sabato, ottobre 09, 2010
BLESSED JOHN HENRY NEWMAN, PRIEST
From the Common of Pastors, with the psalms of the day.
Office of Readings
SECOND READING
From the writings of Blessed John Henry Newman, Priest
(Apologia Pro Vita Sua, Chapter V: Position of My Mind since 1845, London 1864, pp. 238-239, 250-251)
It was like coming into port after a rough sea.
From the time that I became a Catholic, of course I have no further history of my religious opinions to narrate. In saying this, I do not mean to say that my mind has been idle, or that I have given up thinking on theological subjects; but that I have had no variations to record, and have had no anxiety of heart whatever. I have been in perfect peace and contentment; I never have had one doubt. I was not conscious to myself, on my conversion, of any change, intellectual or moral, wrought in my mind. I was not conscious of firmer faith in the fundamental truths of Revelation, or of more self-command; I had not more fervour; but it was like coming into port after a rough sea; and my happiness on that score remains to this day without interruption.
Nor had I any trouble about receiving those additional articles, which are not found in the Anglican Creed. Some of them I believed already, but not any one of them was a trial to me. I made a profession of them upon my reception with the greatest ease, and I have the same ease in believing them now. I am far of course from denying that every article of the Christian Creed, whether as held by Catholics or by Protestants, is beset with intellectual difficulties; and it is simple fact, that, for myself, I cannot answer those difficulties. Many persons are very sensitive of the difficulties of Religion; I am as sensitive of them as any one; but I have never been able to see a connexion between apprehending those difficulties, however keenly, and multiplying them to any extent, and on the other hand doubting the doctrines to which they are attached. Ten thousand difficulties do not make one doubt, as I understand the subject; difficulty and doubt are incommensurate. There of course may be difficulties in the evidence; but I am speaking of difficulties intrinsic to the doctrines themselves, or to their relations with each other. A man may be annoyed that he cannot work out a mathematical problem, of which the answer is or is not given to him, without doubting that it admits of an answer, or that a certain particular answer is the true one. Of all points of faith, the being of a God is, to my own apprehension, encompassed with most difficulty, and yet borne in upon our minds with most power.
People say that the doctrine of Transubstantiation is difficult to believe; I did not believe the doctrine till I was a Catholic. I had no difficulty in believing it, as soon as I believed that the Catholic Roman Church was the oracle of God, and that she had declared this doctrine to be part of the original revelation. It is difficult, impossible, to imagine, I grant;—but how is it difficult to believe? …
I believe the whole revealed dogma as taught by the Apostles, as committed by the Apostles to the Church, and as declared by the Church to me. I receive it, as it is infallibly interpreted by the authority to whom it is thus committed, and (implicitly) as it shall be, in like manner, further interpreted by that same authority till the end of time. I submit, moreover, to the universally received traditions of the Church, in which lies the matter of those new dogmatic definitions which are from time to time made, and which in all times are the clothing and the illustration of the Catholic dogma as already defined. And I submit myself to those other decisions of the Holy See, theological or not, through the organs which it has itself appointed, which, waiving the question of their infallibility, on the lowest ground come to me with a claim to be accepted and obeyed. Also, I consider that, gradually and in the course of ages, Catholic inquiry has taken certain definite shapes, and has thrown itself into the form of a science, with a method and a phraseology of its own, under the intellectual handling of great minds, such as St Athanasius, St Augustine, and St Thomas; and I feel no temptation at all to break in pieces the great legacy of thought thus committed to us for these latter days.
RESPONSORY Ephesians 3:7, 10; John 16:13
R. Of this Gospel I was made a minister according to the gift of God's grace which was given me by the working of his power,* that through the Church the manifold wisdom of God might be made known.
V. When the Spirit of Truth comes, he will guide you into all the truth.
R. That through the Church the manifold wisdom of God might be made known.
PRAYER
O God, who bestowed on the Priest Blessed John Henry Newman the grace to follow your kindly light and find peace in your Church; graciously grant that, through his intercession and example, we may be led out of shadows and images into the fulness of your truth. Through our Lord Jesus Christ, your Son, who lives and reigns with you in the unity of the Holy Spirit, one God, for ever and ever.