Donald Trump ha vinto dunque le elezioni
presidenziali negli USA. Un grande paese democratico, senza dubbio. Che
ha saputo esprimere come candidati contrapposti due supermillionari,
entrambi legati a doppio filo agli ambienti di potere statunitensi e
internazionali: un gran bell’esempio di democrazia davvero (l’unico
aspirante candidato presentabile, il “socialista” Benny Sanders, è stato
fatto fuori subito: anche se aveva preso 13 milioni di voti,
soprattutto da parte di giovani; e per fortuna è stato accolto in
Vaticano, non i due protagonisti dello scellerato derby dell’8 novembre).
Ma torniamo a Trump. Su 245.273.000
elettori aventi diritto (una cifra lontana dalla totalità degli
abitanti: si perde facilmente il diritto di voto, negli States); hanno
votato solo in 119.651.000, vale a dire in percentuale il 48%, meno
della metà. Una straordinaria tensione politica, un’autentica passione.
Poi, milioni di manifestanti hanno dimostrato sotto lo slogan He is not my president. Un’altra
prova specifica di fedeltà al sistema democratico. Questa è la più
grande democrazia del mondo, com’è stato detto da più parti. Una
democrazia i membri della quale hanno votato in numero più basso di
quanto non abbiano mai fatto in tutta la storia degli Stati Uniti.
Dal canto mio, ho sempre sostenuto che
dalle elezioni dell’8 novembre sarebbe uscito il Male Peggiore. Era una
facile prospettiva. Sarebbe stato il Male Peggiore in entrambi i casi.
Solo in modo differente.
Intanto, fatemi dire che un luminoso
momento di gioia ha rallegrato la mia vecchiezza. Aveva ragione Massimo
Cacciari in una sua recentissima intervista: a proposito di Trump come
di millanta altre cose, i media, la finanza e i politici che ormai inseguono gli uni e l’altra senza capire, hanno sbagliato tutto. Le uscite sexy di Madonna, gli shows di
Meryl Streep, le ballate di Bruce Springsteen, i furori di Robert De
Niro, le barricate erette a Wall Street e a Silicon Valley dai
coccodrilli da sempre Padroni del Vapore, le raffiche dei più raffinati columnists e dei più strapagati anchormen televisivi
non sono serviti a nulla. Nemmeno “i Mercati”, questi nuovi santuari
dove si ufficiano le liturgie dell’unico Dio adorato dall’Occidente, si
sono scossi più di tanto. Ho accolto tutto ciò non già con rinnovato
ottimismo, bensì con il disperato ma allegro pessimismo di chi capisce
che il peggio deve ancora venire, ma quanto meno ringrazia Iddio per
essersi fatto adesso quattro belle risate.
E a questo Ridere-Ridere-Ridere ha dato
come al solito il suo originale contributo il Maurice Chevalier del
nuovo scemenziario stile gauche-caviar. Bernard-Henry Levy sta
rilasciando interviste micidiali contro Trump: prevede il peggio,
disegna fantasmagoriche alleanze dei “testosteronici” Trump, Putin ed
Erdogan, rivela addirittura che è stato Assad a inventare l’ISIS,
rispolvera la storiella dell’”internazionale rosso-nera” (e non allude
al Milan).
Levy è sempre stato la mia stella
polare. Quando afferma qualcosa, punto immediatamente sul contrario: e
non sbaglio mai. Semmai, mi dà da pensare Trump: non riesco a
riconoscergli alcun merito, ma se Levy ne parla così male qualcuno ne
avrà pure.
Dicono che stia sul serio preparando
grosse espulsioni di migranti, che intenda mantenere le promesse sui
fantasmagorici sgravi fiscali, insomma che – fedele al principio
multidecennale dei governanti statunitensi e dei ceti che li appoggiano –
si appresti a rubare ai poveri dell’America e di tutto il mondo per
dare ancora di più ai ricchi. Non c’è da stupirsene: che i poveri lo
applaudano, questa sì che sarebbe una novità. Ma chi conosce un po’ di
storia statunitense ed europea sa che accade spesso per non dir sempre
che i poveri applaudano i ricchi e facciano la guerra agli altri poveri.
Ma davvero Trump è un modello di
“populismo”? E di che tipo di “populismo? Davvero rappresenta ed esprime
quel coagularsi della resistenza di differenti strati sociali che si
sentono esclusi che, comunque, del populismo è l’essenza, e cerca di dar
loro una voce e un indirizzo? Davvero si sente in qualche modo legato
al vecchio progetto “neoisolazionista” statunitense, tipico dei
repubblicani “storici” (quelli dell’Elefante) e risposta “di destra” al
programma di Monroe del 1823 (“l’America agli americani”) laddove
quella “di sinistra”, che la Clinton avrebbe abbracciato di nuovo,
sarebbe stata la ripresa del principio “USA gendarme del mondo”?
Comunque, se l’Europa non si sveglia,
qualcuno dovrà bene svegliarla. E se un contributo ce lo desse proprio
il Grande Matto dal Ciuffo Arancione? Sono decenni che io e altri
quattro sderenati, reduci patetici eppur a modo nostro inossidabili del
“Fuori-la-NATO-dall’Italia-Fuori-l’Italia-dalla-NATO”, offriamo ceri
alla Madonna Stella Maris augurandoci che liberi il Mediterraneo dalle
incomode presenze armate di chi sul nostro vecchio mare non ha alcuna
sponda e pertanto alcun diritto (diverso il caso della Russia: il Mar
Nero è un golfo mediterraneo) . L’amico Alessandro Bedini, un altro che
al pari di me scrive gratis libri che difendono cause perse, ha firmato
tre anni fa un saggio importante e documentato che naturalmente non ha
ricevuto né recensioni né passaggi televisivi, L’Italia “occupata”. La sovranità militare italiana e le basi USA-NATO (Rimini,
Il Cerchio 2013), nel quale dimostrava pulitamente a tutti quelli che
si preoccupano di recuperare la sovranità monetaria del nostro paese che
esso non ha soprattutto quella politica: e non ce l’ha, come non ha
quella diplomatica, in quanto non ha quella militare. E’ un paese
occupato. Obama, ricevendo Renzi alla grande quando ancora stava
fingendo di gioire dell’Immancabile Vittoria della signora Clinton
(ch’egli detesta, detestato a sua volta), non ha abbracciato un sicuro
alleato, ma un fedele capo ascaro: e spero che Matteo lo sapesse. Siamo
sempre stati ascari, ma almeno di quando in quando un Fanfani, un
Andreotti, un La Pira, un Craxi (quest’ultimo soprattutto) avevano dei
soprassalti di dignità. Perfino Berlusconi qualche volta sembrava
svegliarsi dal letargo, anche se ne uscivano amenità come “lettoni di
Putin” e travestimenti da inverno sovietico tipo l’incursione dei due
cafoni dello hinterland partenopeo a Milano in Totò, Peppino e la Malafemmina. Renzi
no: lui è allineato e coperto, fare l’ascaro gli piace e rimprovera
addirittura il suo ministro degli esteri Gentiloni di non esserlo sempre
e con sufficiente zelo…
E ora? Che cosa succederà se davvero
Trump applicasse alla lettera l’articolo 5 del Patto Atlantico siglato a
Washington il 4 aprile 1949, e negasse la copertura NATO a chi non
“adempie gli obblighi verso di noi”, a chi è indietro con i pagamenti
(perché la protezioni, come in tutti i sistemi mafiosi di questo mondo,
si pagano)? Il contributo minimo annuo alla comune difesa, indicato dai
vertici della NATO, è il 2% del PIL di ciascuno dei 28 paesi aderenti.
Gli Stati Uniti versano oggi il 3,62% del loro. L’Italia lo 0,95%
(penultima: la Spagna solo lo 0.89). Me ne compiaccio: abbiamo
risparmiato. E me ne dolgo: quello 0,95 poteva esser meglio impiegato
altrove. Rischiano di adempiersi i voti di noialtri dinosauri anti-Zio
Sam, ma in modo umiliante e inatteso: invece di andarcene noi sbattendo
la porta, sarà Zio Sam, ora che si è tagliato la barbetta caprina e
porta parrucca arancione, a cacciarci a pedate nel culo. Peraltro,
pedate che sarebbero accolte con ilare, quasi grata umiltà.
E allora, avanti con la European Defence Agency, anche
se la strada sarà difficile, lunga e costosa: perché l’autodifesa
costerebbe un bel po’ all’Italia e a tutti i paesi europei che ci
stessero, ma li ricondurrebbe alla realtà. Europa, svegliati.
Proclamiamolo a voce ben alta, una buona volta, che aveva ragione il
vecchio Schuman: che senza un libero esercito europeo non si fa né
un’Europa unita né un’Europa libera. Guardiamoci attorno, ricominciamo
da qui: smettiamola di far gli interessi d’una superpotenza lontana che
non è nemmeno una superpotenza. Ricominciamo a pensare concretamente a
noi, al nostro Mediterraneo, alla nostra Eurasiafrica. Che sia questa
una nuova possibile strada per rilanciare l’unità europea, al di là dei
fantasmi neomicronazionalisti e degli isterismi xenofobi?
Franco Cardini
dal blog dell'autore
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