giovedì, dicembre 13, 2018

Michele Malatesta “amava ed era amato dalla gente umile”. Se ne va un “maestro” di fede e di cultura

Il ricordo di lui a poche ore dalla scomparsa, tocca da vicino molte persone e più comunità: quella di Piedimonte Matese, dove è nato e ha trascorso la prima giovinezza; il mondo accademico e culturale di Napoli e Roma dove ha lasciato il segno della sua saggezza, professionalità e integrità…; gli ambienti ecclesiali che in lui hanno, senza alcuna fatica, individuato un modello di uomo e di cristiano secondo il Vangelo…
Se n’è andato ieri, 11 dicembre, dopo alcuni mesi in cui la malattia pur provando il suo corpo non ha frenato o arretrato la spinta ad essere sempre un passo oltre, nella fede, nella conoscenza, nelle relazioni umane…
I funerali, celebrati dal vescovo di Alife-Caiazzo Mons. Valentino Di Cerbo, unito al professore Malatesta da vecchia amicizia, si terranno domani (13.12.2018) a Roma nella Basilica di San Saba all’Aventino alle 11.00.
Di lui, ci consegna un caro ricordo, l’amico di sempre Liberato Raccio.
Assalito da un tumulto di emozioni, pur consapevole della mia inadeguatezza, desidero ricordare il mio carissimo amico prof. Michele Malatesta, deceduto oggi in Roma.
Era nato a Piedimonte Matese in una famiglia molto cattolica, con la quale nell’anno 1963 si trasferì a Roma. Era l’ultimo di cinque figli.
Era un uomo di profonda e vasta cultura. Il suo curriculum è impressionante: consta di ventidue pagine. Sorvolo sui suoi libri, sulle pubblicazioni (un’ottantina), sulle recensioni (una settantina), sulle prefazioni, sulla collaborazione a enciclopedie, ecc.   
Mi limito a dire che: ha insegnato Logica nell’Università Federico II di Napoli per 35 anni, 28 dei quali come professore di ruolo, dopo aver insegnato 10 anni nei licei, 6 dei quali come professore di ruolo; ha partecipato, per invito, a numerosi congressi  internazionali, in trenta dei quali ha diretto la sessione di Logica ed in quello di Bechigne (allora Cecoslovacchia) del 1991 ha diretto la sessione inaugurale; 
era membro di accademie anche estere (Belgio, Canada);
il senato accademico dell’Università di Petrosani (Romania) gli conferì all’unanimità la laurea honoris causa in filosofia il 22 settembre 2004 per i suoi studi pioneristici sulla struttura logica delle lingue non indoeuropee;
il compianto prof. Dante Marrocco nella sua “Storia di Piedimonte” lo inserì nell’elenco dei personaggi illustri di questa città, definendolo appassionato agiografo e liturgista. Michele si arrabbiò non ritenendosi né agiografo né liturgista. Nel 2010 finì per dare ragione al generoso amico scomparso perché si improvvisò agiografo e liturgista,  scrivendo un volumetto sui martiri Marcellino e Pietro.
Non di rado gli uomini di cultura vengono meno al compito di rendere facile il difficile, e talvolta fanno addirittura il contrario. Egli intendeva la cultura come servizio. Era mosso dalla carità della cultura, sollecitata da papa Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate. Non è stato mai geloso del proprio sapere e si faceva capire da dotti e indotti.
Devotissimo a San Marcellino, quando il parroco don Vittorio Marra e alcuni amici circa un mese fa, siamo andati a fargli visita a Roma, pur essendo molto provato, non ha mancato di parlarci anche del grande Martire e Protettore. È stato il promotore del gemellaggio con la città tedesca di Selingstadt, dove si venerano i santi Marcellino e Pietro.
Amava ed era amato soprattutto dalla gente umile, che era affascinata dalla sua eloquenza catturante e travolgente, che all’occorrenza cresceva di tono e diventava torrentizia, per tornare poi calma, ma mai priva di pathos.
Non si è mai dimenticato degli amici e di telefonare per fare gli auguri di compleanno, di onomastico e per altre ricorrenze liete, come non si è mai dimenticato di far sentire la sua vicinanza nelle circostanze dolorose.
Per tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo era un amico premuroso, delicato e attento. Con gli amici non ha quasi mai parlato della sua attività accademica, se non per raccontare qualche aneddoto divertente. Sembrava che l’insegnamento fosse un hobby, preso com’era dai problemi di trascendenza e religiosi.
Uomo semplice e di fede granitica, fin da piccolo aveva imparato ad amare la Chiesa e a conoscere le cose di Dio, da cui era affascinato e di cui era assetato, ma era tutt’altro che bigotto.
In tutti gli ambienti (soprattutto nel mondo accademico) e in ogni circostanza ha difeso la Chiesa a viso aperto e con competenza indiscussa. Col suo fare  sornione, arguto e ironico, ma mai presuntuoso e arrogante, smontava le accuse, spesso preconcette.
Soprattutto per merito dei salesiani, di cui era stato allievo a Caserta, aveva le idee molto chiare sulla morte. Gli avevano insegnato l’ars moriendi, perché ogni mese facevano fare l’esercizio della buona morte, facendo pregare “per quello che di noi sarà il primo a morire”. Diceva che chi non ha mai pensato alla morte non ha mai apprezzato la vita.
Sostenuto dalla fede, dopo un serio problema di salute, che affrontò impavido, mi confidò che la vita era diventata più bella e l’assaporava come non mai.
Ha sofferto molto, ma se n’è andato sereno, insegnando a chi resta cosa è la buona morte. Provo a immaginare il festoso incontro con don Geppino Manzo, a cui era legatissimo; con mons. Francesco Piazza, suo primo educatore, di cui diceva che i destinatari della sua formazione potevano diventare atei, ma mai eretici; con mons. Giuseppe Della Cioppa, il Vescovo da lui più amato e stimato; con don Adolfo L’Arco, il suo grande maestro salesiano.
Questo illustre figlio della nostra terra lascia un vuoto incolmabile. Lo piangono la dilettissima moglie Silvia, le amate sorelle Carmen e Maria Cristina, i cari nipoti e pronipoti, i parenti e quanti l’anno conosciuto e gli hanno voluto bene.
Carissimo Michele, non ti dimenticheremo. 
Tu però non dimenticarti di pregare per noi.

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