sabato, settembre 28, 2019
Card. Newman: Steeves, “la santità è un modo di immaginarsi la realtà”
“Per Newman, la santità è un certo modo di immaginarsi la realtà”. Ad affermarlo è stato padre Nicolas Steeves, della Pontificia Università Gregoriana, intervenuto ieri sera alla conferenza dal titolo “John Henry Newman. Dall’ombra alla luce”, promossa dalla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Roma in vista della canonizzazione del porporato inglese, in programma il 13 ottobre. “In Newman, l’immaginazione consente lo scambio virtuoso tra opere buone e santa disposizione del cuore”, ha spiegato il gesuita, definendo la santità secondo Newman “un nuovo modo di immaginarsi il mondo”. “La fede che porta alla santità – ha spiegato Steeves – è un nuovo modo di guardare sé e intorno a sé, è una nuova immaginazione” da cui deriva “la consapevolezza della propria miseria e della misericordia di Dio verso di noi”. Dell’itinerario spirituale di Newman ha parlato Fortunato Morrone, dell’Istituto teologico calabro, facendo notare che “lo strappo dalla sua amata chiesa anglicana è stato inevitabile, anche se doloroso. La sua è la passione pastorale di tutti gli evangelizzatori, prima e dopo il Concilio, che è stata rilanciata con urgenza dagli ultimi pontefici”, all’insegna di “un confronto serrato e apologetico con la cultura del proprio tempo, ma dall’interno del corpo della Chiesa”.
venerdì, settembre 27, 2019
L’errore di una legge sul suicidio assistito
L’ipocrisia di credere che un diritto valga solo per i malati.
Meglio la zona grigia
Tutti i mezzi di informazione hanno dato grande rilievo alle parole di Marco Cappato che ha affermato che avrebbe agito per aiutare il suicidio solo per malati incurabili. Molti hanno interpretato queste parole come una delimitazione precisa della pratica dell’eutanasia, che si potrebbe applicare solo in casi estremi. Probabilmente questa è l’opinione sincera dell’esponente radicale, ma nasconde in realtà un’insidia assai pericolosa. Chi è ammalato? Chi è incurabile? Sembrano domande oziose ma non lo sono. Partire da casi estremi per poi trasformare un bisogno particolare e delimitato in un “diritto” generalizzato e incontrollabile è una tendenza tipica della società moderna. La malattia può essere anche una condizione di insoddisfazione profonda, di depressione o di sconforto, che se non viene certificata in modo serio da esperti può essere generalizzata. Anche la vecchiaia, la solitudine, la convinzione di inutilità a sé e agli altri sono, in un certo senso “incurabili”. Chi si trova in queste situazioni può facilmente convincersi di essere la causa delle tribolazioni dei suoi famigliari, sentirsi in colpa per la fatica provata da chi lo assiste, essere quindi spinto a cercare la via d’uscita più estrema. E’ un piano inclinato, nel quale, una volta messo tra parentesi il principio (il più laico dei princìpi) dell’intangibilità della vita, si può scivolare rapidamente in direzione di una pratica sociale di eutanasia come soluzione dei problemi della vecchiaia, della solitudine, dell’infelicità. Ai malati incurabili bisogna guardare come a un problema da affrontare con la solidarietà, l’aiuto, l’assistenza, la tutela sociale e l’impiego di tutti gli strumenti, dalle cure palliative alla vicinanza umana, che possono attenuare le loro sofferenze, prima che diventino casi estremi. E’ troppo comodo liberarsi la coscienza, cancellare il problema dell’esistenza dell’infelicità e della disperazione, spingendo chi vive queste condizioni a togliersi di mezzo. Questo dovrebbe saperlo anche chi sente una profonda solidarietà umana come Marco Cappato.
Il Foglio
Il Foglio
giovedì, settembre 26, 2019
Senza dignità
di Mario Adinolfi
Marco Cappato indossa i galloni del vincitore e lo è senza dubbio. Non c'è quotidiano che non gli dedichi almeno un articolo agiografico, dai toni epici. Repubblica chiude il suo citando la figlia "che si chiama Vittoria". Certo, è una vittoria netta. Ed è la sconfitta forse irreversibile di quell'ormai inconsistente schieramento prolife, che ha svolto per un anno una opposizione impalpabile salvo poche lodevoli eccezioni. Di sicuro non si contano tra questi i partiti o leader politici, tutti ben nascosti dietro la fontanella dell'acqua di Ponzio Pilato. Tanto, quid est veritas...
Marco Cappato porta con sé però anche una pesantissima responsabilità, è tutta sua, è personale. Gli riconosco di aver "mosso la storia", di aver dimostrato che anche un singolo che raccoglie pochissimi voti (da candidato presidente in Regione Lombardia per ben due volte non riuscì neanche a raccogliere le firme, alle politiche 2013 la lista pannelliana con cui era candidato prese lo 0,19%) può produrre un cambiamento radicale. Ha messo un gioco il suo corpo, ha agito contro una norma esplicita finendo in un processo la cui pena poteva arrivare a dodici anni di carcere, ha ottenuto ora dalla Corte Costituzionale una modifica epocale dell'intera struttura dell'ordinamento giuridico italiano, che prima considerava "bene non disponibile" la vita umana e ora invece ritiene costituzionalmente legittimo aiutare a sopprimerla. Di più, la Consulta ha connesso la sentenza Cappato alla legge 219/2017, invitando di fatto il Parlamento a proseguire su questo canovaccio nella direzione della legalizzazione dell'eutanasia. Questo è il sommovimento tellurico ottenuto dall'azione fisica e politica di Cappato legata alla morte di Dj Fabo.
Dal punto di vista culturale l'unico contesto in cui si è potuto ascoltare qualche parola netta contro suicidio assistito e eutanasia è stato l'ambito della Chiesa cattolica. Da Papa Francesco al cardinale Bassetti con evidenza e chiarezza si è detto che l'orizzonte indicato da Cappato è pericoloso. Non un solo editorialista "laico", non un solo giornale di peso si è schierato contro Cappato, il coro a suo sostegno è stato unanime e senza eccezioni. Avrò letto cento volte che Cappato ha aiutato Dj Fabo a morire "con dignità", che la vita di Dj Fabo non era più "una vita degna di essere vissuta", evviva chi ha aiutato a porvi termine. Oggi tra gli infiniti articoli apologetici dei vari quotidiani ho trovato solo in un'intervista del cardinale Becciu l'atto di accusa che ogni persona di buonsenso dovrebbe rivolgere a Cappato: ha prodotto una svolta culturale che farà pensare a ogni sofferente che il suicidio è una scelta di dignità. Aggiungo io: questo è davvero imperdonabile. Questo è un insulto gravissimo a millenni di cultura giuridica, storica, religiosa, medica e popolare del nostro paese, in cui la dignità è nel sostegno del sano nei confronti del sofferente, mai nella costruzione di un contesto sociale in cui il sofferente si senta peso insostenibile.
In Italia c'è una associazione che sostiene 892 bambini sordi, ciechi e muti, inevitabilmente condannati a morire presto. Hanno una vita non degna di essere vissuta? In Italia 3.600 malati di Sla sono destinati a una condizione simile a quella vissuta da Dj Fabo, che facciamo, li sterminiamo con tanta dignità? In Italia decine di migliaia di persone sono tetraplegiche gravi, seicentomila sono affetti da Alzheimer e altre forme di demenza senile in stato avanzato, due milioni in stato iniziale e intermedio. Un malato di Alzheimer non ti riconosce, deve essere sostenuto in tutto, in ogni aspetto della sua vita, compresi i bisogni, come fosse un bambino di un anno. Secondo Cappato è una vita degna o meglio far loro scrivere un bel testamento biologico così li possiamo far passare tutti dal camino di una iniezione di pentobarbital?
Marco Cappato ha vinto, certo. Ma ha vinto rovinando questo Paese e consegnandolo a una dimensione infernale. Ha vinto senza dignità, facendo leva sul dolore di un sofferente. Non glielo dice nessuno oggi, l'Italia tende sempre a salire sul carro dei vincitori, ma voglio dirglielo io: Marco, la tua battaglia è orrenda, spaccia per libertà quel che sarà solo l'ennesimo condizionamento, il più infame perché farà sentire ancora più angosciati i sofferenti già angosciati dal loro male, li farà sentire un peso e liberi e dignitosi solo se si toglieranno di mezzo. Lo faranno in tanti, vivere nel dolore è faticoso, ma spiega tanto. Per millenni abbiamo visto i nostri genitori spirarci tra le braccia, spesso dopo lunghe malattie e la nostra cura nel tempo estremo era il modo per ripagare loro della cura nel tempo iniziale della nostra vita, quando eravamo noi a dipendere in tutto e per tutto da loro. In questo "circle of life", che ora il pentobarbital cappatiano spezza, c'era molto del senso stesso dell'esistenza.
Ora per via di una sentenza assurda, pronunciata in nome della "dignità", si apre una triste stagione i cui esiti sono pericolosamente immaginabili. Perché in un tempo in cui l'aspettativa di vita cresce e con essa crescono i costi della sanità, dando al sistema la possibilità di scegliere se curare l'incurabile con spese ingenti o sopprimerlo a spese zero, non credo sia difficile capire verso quale orizzonte si orienterà la libera scelta. Solo allora avremo chiaro quale orrore sia stato reso possibile da tutta questa supposta nuova libertà.
mercoledì, settembre 25, 2019
An important voice in favour of fathers speaks out
The French parliament is debating a new law which will extend assisted reproduction to single women and lesbian couples as well. What is interesting is the fact that no less a body than the National Academy of Medicine has objected to the proposed reform on the ground that will be permit the deliberate creation of children who will be raised without a father.
Currently French law only permit couples experiencing infertility to access IVF and other forms of assisted human reproduction – PMA (procréation médicalement assistée) in French. Under the proposed new law, where a single woman or lesbian couples avail of PMA, the name of the father will not appear on the birth certificate even if the donor is known, and, in the case of female couples, both women will be recorded as “mothers”. This is clearly a falsification and vital information will be hidden from the child.
Single men and male couples are not included in the new legislation but many fear that this restriction is only temporary. The slippery slope is inexorable, and critics also believe that in time the new proposal will inevitably open up to surrogacy – currently banned in France – as men obviously need a woman to carry a baby for them. The current Government is already well disposed to the recognition of children born from surrogacy in a foreign country, which will make the domestic ban ineffective.
This proposal represents a substantial change as it means that some women will access PMA without suffering from infertility. (Same-sex couples and single women are not infertile per se).
The National Academy of Medicine (Académie Nationale de Médecine) has stated that “The deliberate conception of a child deprived of a father constitutes a major anthropological break, which is not without risks for the psychological development and the flourishing of the child.”
The Academy “believes that, increasingly mistreated by changes in society, the figure of the father is still foundational for the child’s personality as recalled by child psychiatrists, pediatricians and psychologists.” It recognises that the Academy’s role is not to “give an opinion” on a “social measure”, but it “considers it its duty to raise a number of reservations related to possible medical consequences“.
The desire for a child will become a right to a child by almost any means. And this new “right” will prevail over the legitimate right of a child to have a mother and a father, when possible.
The new proposal has been heavily criticised by many sectors of the French society, including members of Macron’s party. A national protest day will be held on October 6.
A survey found that 82% of respondents believe that a child has a right to a mother and a father. 77% believe that a father and a mother have different and complementary role, and 66% oppose that replacement of “mother” and “father” with “parent 1” and “parent 2” in school forms, which has already happened.
Minister Simon Harris has proposed legislation regulating human assisted reproduction that is much more extreme and liberal than even the proposed French reform and, still, no debate is taking place in Ireland. There is no real opposition to what the Government presents. Under Irish law, the need for a mother, never mind a father, is not considered.
In the Bill proposed by Harris the desire of the commissioning adults who want a child is paramount. Having a mother and a father does not matter anymore.
domenica, settembre 15, 2019
sabato, settembre 14, 2019
Pierre Duhem
Oggi è l'anniversario della morte di Pierre Duhem. Segue un estratto dalla sua biografia scritta da Stanley Jaki.
---
Obviously, Duhem did not long for a fashionable and easy Christian faith and life. His life had too many trials to let him entertain illusions, especially their spiritual kinds. At the center of his religious life stood the cross of Christ. A proof of this is his obvious identification with two crosses in the outskirts of Cabrespine, the subject of two exquisite drawings of his. Ultimately, they are the most genuine context for putting Duhem on the scene of his life and work.
One of the crosses, the Croix d'Estresse (the cross of distress), he drew on September 4, 1912. His drawing of it has its own value for students of the history of art, as the cross is a rare example of crosses with a Pietà carved on their reverse side. The cross, erected in 1632, has since attracted many pilgrims. They still keep going to the place where it stood until about six years ago when it mysteriously disappeared while a new road was constructed to the property acquired by some from abroad. (Perhaps through this reference the Department of Aude will take note and appropriate action). Let it be hoped that Duhem's drawing of that cross will not become its sole detailed evidence and a painful reminder of widespread illegal trafficking in art objects in the region. In any case, the drawing by Duhem remains a lasting evidence of his spontaneous recourse to the Virgin invoked as the mother of all afflicted. It should not be difficult to evoke Duhem's sentiments as he drew the figure which in a kneeling position under the Pietà raises his hands in supplicant prayer towards the One of whom it was never heard that anyone turning to Her would have had his prayers unanswered.
The other cross, erected in 1638, a plain one in the midst of the communal field, Duhem drew on August 21, 1916, less than a month before his death. He made that simple cross speak by emphasizing its size. He did so by letting it be seen from an angle whereby it appears equal in height to the mountain behind and thus dominates the field. A purely artistic technique, but hardly in the case of Duhem who never pretended to show what he was not convinced about. He let his whole life be dominated by the cross, the very act that alone makes a Christian for whom "every treasure of wisdom and knowledge is deposited in Christ" (Col.2:3). It was through identification with Christ that Duhem's vast knowledge of science, including its philosophical and historical dimensions, took on a prophetic character.
[S. L. Jaki, Scientist and Catholic: Pierre Duhem 109-10]
---
Obviously, Duhem did not long for a fashionable and easy Christian faith and life. His life had too many trials to let him entertain illusions, especially their spiritual kinds. At the center of his religious life stood the cross of Christ. A proof of this is his obvious identification with two crosses in the outskirts of Cabrespine, the subject of two exquisite drawings of his. Ultimately, they are the most genuine context for putting Duhem on the scene of his life and work.
One of the crosses, the Croix d'Estresse (the cross of distress), he drew on September 4, 1912. His drawing of it has its own value for students of the history of art, as the cross is a rare example of crosses with a Pietà carved on their reverse side. The cross, erected in 1632, has since attracted many pilgrims. They still keep going to the place where it stood until about six years ago when it mysteriously disappeared while a new road was constructed to the property acquired by some from abroad. (Perhaps through this reference the Department of Aude will take note and appropriate action). Let it be hoped that Duhem's drawing of that cross will not become its sole detailed evidence and a painful reminder of widespread illegal trafficking in art objects in the region. In any case, the drawing by Duhem remains a lasting evidence of his spontaneous recourse to the Virgin invoked as the mother of all afflicted. It should not be difficult to evoke Duhem's sentiments as he drew the figure which in a kneeling position under the Pietà raises his hands in supplicant prayer towards the One of whom it was never heard that anyone turning to Her would have had his prayers unanswered.
The other cross, erected in 1638, a plain one in the midst of the communal field, Duhem drew on August 21, 1916, less than a month before his death. He made that simple cross speak by emphasizing its size. He did so by letting it be seen from an angle whereby it appears equal in height to the mountain behind and thus dominates the field. A purely artistic technique, but hardly in the case of Duhem who never pretended to show what he was not convinced about. He let his whole life be dominated by the cross, the very act that alone makes a Christian for whom "every treasure of wisdom and knowledge is deposited in Christ" (Col.2:3). It was through identification with Christ that Duhem's vast knowledge of science, including its philosophical and historical dimensions, took on a prophetic character.
[S. L. Jaki, Scientist and Catholic: Pierre Duhem 109-10]
venerdì, settembre 13, 2019
Il biopotere. Padroni del corpo e dell'anima
di Roberto PECCHIOLI
La biopolitica, nel senso introdotto negli anni 70 del secolo passato da Michel Foucault, è l’insieme delle norme e delle pratiche adottate dal potere per regolare la vita biologica degli individui nei suoi molteplici ambiti, sessualità, salute, riproduzione, morte, scelte di consumo. E’ l’area dell’incontro tra il potere e la sfera della vita, pienamente realizzata, secondo Foucault, nell’epoca dell’esplosione del capitalismo. Siamo entrati a vele spiegate nella fase in cui il controllo sulle persone si determina attraverso la tecnica, per cui appare azzeccata la definizione dell’umanità contemporanea proposta da Marco Della Luna, tecnoschiavi.
I meccanismi vincenti più invasivi ed importanti sono quelli gestiti dai giganti tecnologici di Silicon Valley, in primis Facebook, Google, Microsoft, Apple. Google ci ascolta attraverso il microfono del telefono mobile, sa dove siamo, dove andiamo, quello che ci piace, conosce la nostra altezza, età, gusti, preferenze, colore degli occhi, sa se abbiamo figli e se i nostri genitori sono viventi. Facebook fa di più, poiché analizza i volti degli utenti attraverso la videocamera dei nostri apparati di telefonia e il computer. L’affare della vendita di dati a Cambridge Analytica ne è stato la prova. Gli utenti di Google sono almeno un miliardo e mezzo, come coloro che si collegano quotidianamente a Facebook.
Continua qui.
giovedì, settembre 12, 2019
mercoledì, settembre 11, 2019
Tik Tok
Se cercate l'hashtag #hongkong su Twitter otterrete centinaia di
migliaia di risultati sulle proteste per la democrazia che da oltre tre
mesi si tengono nella città cinese. Ma se fate la stessa ricerca su
TikTok, il popolarissimo social network di prorietà di una società
cinese, i risultati saranno zero. Forse c'è da preoccuparsi.
(Pro tip: provate a cercare #DonaldTrump su TikTok, e poi provate a cercare #XiJinping, e contate la differenza nel numero dei risultati).
(Pro tip: provate a cercare #DonaldTrump su TikTok, e poi provate a cercare #XiJinping, e contate la differenza nel numero dei risultati).
martedì, settembre 10, 2019
Medical Council’s Ethics Guide now less ethical
The Irish Medical Council has produced an updated version of the Guide to Professional Conduct and Ethics for Registered Medical Practitioners.
The most relevant changes follow the Ireland’s new abortion law.
Let’s consider them in detail.
Section 48 of the Guide was titled “Abortion” in the previous editions while now the euphemism “termination of pregnancy” is used. This expression is not accurate. For instance, in so called ‘reductive’ abortions, which is when only one of two or more fetuses is killed, abortion takes place, but the pregnancy continues, it is not terminated.
The expression “termination of pregnancy” is ideological more than factual. It tries to say that what is ended is not a human being but simply a pregnancy. It denies the humanity of the child involved. In changing the language of their guide, the Medical Council shows also a changed attitude towards those directly involved in every pregnancy, i.e. the mother and her child.
This is confirmed by the fact that paragraph 48.1 of the previous edition of the Guide, which said: “You have an ethical duty to make every reasonable effort to protect the life and health of pregnant women and their unborn babies”, has been now completely deleted.
One could easily argue that even where abortion is legal, doctors should still seek to protect the life and health of pregnant women and their unborn babies, as far as it is possible, while also respecting the choice of the mother. But the Medical Council withdrew any reference to the child in their updated ethical guidelines. The new version of paragraph 48.1 simply refers to the 2018 abortion Act.
Paragraph 49 is about conscientious objection. It contains no new formulation, apart from references to the 2018 abortion legislation and the introduction of the prohibition against providing false or misleading information.
But the context for it is very different. Before, abortion was not legally available in Ireland and so a pro-life doctor did not have to refer a pregnant woman seeking an abortion to a pro-choice doctor. Now they must do that.
It was after the Protection of Life during Pregnancy Act 2013, and even more now with the new liberalised abortion regime, that whole paragraph 49 acquired a new distorted meaning.
Paragraph 49 also refers to ‘medical treatments’, but of course, abortion is not a treatment, least of all for the baby.
Not even the new abortion law defines abortion as a ‘treatment’ or a form or care, but rather as “a medical procedure which is intended to end the life of a foetus”.
Those who conscientiously object to abortion base their position precisely on the fact that it is not a treatment or a form of care, and so they do not have a professional or moral duty to take part in it.
The new ethical Guide of the Medical Council should have recognised their position but it doesn’t.
Overall, the new Guide simply follows the changes in law and assumes that there is no difference between law and ethics. What happens if, one day, we decide to legalise assisted suicide and euthanasia? Presumably the Medical Council will sheepishly follow suit.
Labels:
abortion,
bioethics,
conscientious objection,
ethics,
Iona Institute,
Ireland,
medicine
lunedì, settembre 09, 2019
Lo Sposo è con loro
Si ricordi l'anima: è lo Sposo che l'ha cercata per primo, l'ha
cercata e per primo l'ha amata; questa è la sorgente della sua ricerca e
del suo amore... |
|
"Ho cercato - dice la Sposa [del Cantico dei Cantici] - l'amato del
mio cuore" (3,1). Si', è proprio a questa ricerca che ti chiama la
tenerezza di colui che, per primo, ti ha cercata e amata. Tu non lo
cercheresti se prima lui non ti avesse cercata; non lo ameresti se prima
non ti avesse amata. |
|
Non una sola benedizione dello Sposo ti ha prevenuta, ma due: egli ti
ha amata, ti ha cercata. L'amore è la causa della sua ricerca; la sua
ricerca è frutto del suo amore, ne è anche il pegno sicuro. Sei amata da
lui in modo tale che non puoi pensare che ti cerchi per punirti. Sei
cercata da lui, in modo tale che non puoi lamentare di non essere
veramente amata. Questa doppia esperienza della sua tenerezza ti ha
riempita di audacia: ha cacciato ogni vergogna, ti ha persuasa di
tornare a lui, ha elevato il tuo slancio. Da cio' questo fervore, questo
ardore a "cercare l'amato del tuo cuore", poiché evidentemente non
l'avresti potuto cercare, se egli non ti avesse prima cercata; ed ora
che ti cerca, tu non puoi più non cercarlo.
|
domenica, settembre 08, 2019
sabato, settembre 07, 2019
venerdì, settembre 06, 2019
Una generazione di orfani alla ricerca dei suoi padri
Una generazione di orfani alla ricerca dei suoi padri: Dialogo con Michael Brendan Dougherty, che ha scritto un memoir sulla necessità del padre in un mondo fondato sul falso mito della liberazione
Il giornalista americano Michael Brendan Dougherty ha scritto un libretto importante e perciò largamente ignorato dagli augusti recensori delle redazioni che contano. S’intitola My Father Left Me Ireland: An American Son’s Search For Home, ed è un memoir, genere sfiancante o noiosamente nostalgico quando non viene interpretato come lettura in profondità del tempo presente. Dougherty riesce nella rara impresa, seguendo le orme dell’amico J.D. Vance, il quale raccontando la storia della sua famiglia ha colto la tragedia del popolo degli hillbilly che credeva di avere trovato in Donald Trump un interprete fedele. L’autore ha scelto la forma epistolare. Scrive lettere al padre irlandese, che ha abbandonato la famiglia in America e si è fatto un’altra vita nella vecchia Irlanda, diventando una presenza episodica, e tuttavia non insignificante, nella vita di Dougherty. Si trovano molte cose in questo libro: la madre single che va a lezione di irlandese, l’epica potente e tragica dell’indipendentismo, il Jersey Shore che s’affaccia sul porto di Galway, per chi ha occhi e immaginazione buone, il passaggio fra generazioni, la bruma, il suono dei violini, l’amore struggente per la patria, ideali solidi nei quali credere e per i quali combattere. Se lo si legge con Tinker’s Lullaby in sottofondo, anche chi non ha mai messo piede in Irlanda rischia di provare un moto di nostalgia per quella terra misteriosa. Ma poiché la vocazione dell’infaticabile redazione del “pensiero dominante” è fare carotaggi nella complessità alla ricerca di un’idea sintetica, ecco l’idea centrale dell’elegia epistolare di Dougherty: senza un padre non si può vivere. Tutte le altre riflessioni che l’autore offre, tutti i pensieri e i vivaci aneddoti, le osservazioni pregnanti di questo cultural critic della generazione millennial, sono conseguenze ed emanazioni di questa idea. L’ineludibile necessità del padre è il centro di gravità, tutto il resto circola in orbita.
Il giornalista americano Michael Brendan Dougherty ha scritto un libretto importante e perciò largamente ignorato dagli augusti recensori delle redazioni che contano. S’intitola My Father Left Me Ireland: An American Son’s Search For Home, ed è un memoir, genere sfiancante o noiosamente nostalgico quando non viene interpretato come lettura in profondità del tempo presente. Dougherty riesce nella rara impresa, seguendo le orme dell’amico J.D. Vance, il quale raccontando la storia della sua famiglia ha colto la tragedia del popolo degli hillbilly che credeva di avere trovato in Donald Trump un interprete fedele. L’autore ha scelto la forma epistolare. Scrive lettere al padre irlandese, che ha abbandonato la famiglia in America e si è fatto un’altra vita nella vecchia Irlanda, diventando una presenza episodica, e tuttavia non insignificante, nella vita di Dougherty. Si trovano molte cose in questo libro: la madre single che va a lezione di irlandese, l’epica potente e tragica dell’indipendentismo, il Jersey Shore che s’affaccia sul porto di Galway, per chi ha occhi e immaginazione buone, il passaggio fra generazioni, la bruma, il suono dei violini, l’amore struggente per la patria, ideali solidi nei quali credere e per i quali combattere. Se lo si legge con Tinker’s Lullaby in sottofondo, anche chi non ha mai messo piede in Irlanda rischia di provare un moto di nostalgia per quella terra misteriosa. Ma poiché la vocazione dell’infaticabile redazione del “pensiero dominante” è fare carotaggi nella complessità alla ricerca di un’idea sintetica, ecco l’idea centrale dell’elegia epistolare di Dougherty: senza un padre non si può vivere. Tutte le altre riflessioni che l’autore offre, tutti i pensieri e i vivaci aneddoti, le osservazioni pregnanti di questo cultural critic della generazione millennial, sono conseguenze ed emanazioni di questa idea. L’ineludibile necessità del padre è il centro di gravità, tutto il resto circola in orbita.
In un’intervista, Dougherty snocciola il ragionamento che nel libro svolge in forma narrativa, partendo dal “mito della liberazione”, una narrazione che è diventata il “principio organizzativo del mondo intorno a me” e ha reso la sua generazione – è nato nel mezzo degli anni Ottanta – una banda di “narcisisti impotenti”, dove “impotenti” è la parola chiave. La liberazione da ogni autorità prometteva esattamente potere, controllo, empowerment secondo la terminologia post-femminista. “Al centro di questo mito – dice Dougherty – c’è l’autocreazione, l’idea che sono libero di inventare me stesso, di determinare la mia identità. Il problema di questo mito è che nega se stesso, perché promette un obiettivo impossibile. La narrazione classica, se così la vogliamo chiamare, dice: accetta ciò che sei già e tenta di vivere all’altezza della tua natura, mettendo a frutto i talenti che ti sei trovato addosso. Il mito della liberazione invece ci invita a diventare ciò che vogliamo essere, ma questo ci imprigiona in un irrisolvibile conflitto con noi stessi. Così ci troviamo completamente assorbiti da noi stessi e incapaci di agire nella realtà, protagonisti di azioni inefficaci, perché gran parte della nostra energia creativa la spendiamo per rassicurarci che siamo liberi. L’uomo che si autocrea è fondamentalmente insicuro, quindi ha bisogno di continue conferme”.
L’origine di questa antropologia della liberazione, spiega Dougherty, è da cercare nei fondamenti stessi della modernità, ma si è imposta su larga scala con la generazione dei suoi genitori, i baby boomers: “E’ stata la prima generazione che in cui la persona media, il lavoratore normale, ha sentito che poteva esercitare la propria libertà in quel modo. Prima la coltivazione di sé era un lusso, mentre la prosperità diffusa del dopoguerra all’improvviso è apparsa come un diritto di nascita. Questo ha alimentato l’aspettativa di diventare completamente liberi come società, e così la nostra generazione si è illusa di potersi liberare dai propri padri. Ammiro l’indipendenza di pensiero, ma sono arrivato a dubitare di questo progetto di società basato sull’autocreazione. E’ una forma di autoterapia in fondo banale, noiosa”.
In uno dei passaggi più controintuitivi del suo libro, l’autore collega la liberazione – quella vera, non la sua ombra narcisistica – all’idea del sacrificio, al sacrificio: “La sola liberazione degna di essere perseguita è quella che si ottiene mediante il sacrificio” . Dougherty rispolvera un termine doppiamente obsoleto, ché evoca la fatica e il sacro, due dimensioni obliterate dell’esperienza: “Per me si tratta di una lotta quotidiana per affermare che uno ritrova se stesso soltanto quando si perde. Le liberazione intesa come autocompimento lascia spazio a un docile arrendersi alle circostanze e alle persone che incontriamo sulla nostra via”. E’ sullo sfondo di questa ingannevole liberazione, da redimere con il sacrificio, che si colloca la foga dell’eliminazione del padre. Raccontando della sua infanzia nell’ambiente suburbano, Dougherty parla di una “architettura della fatherlessness”: le case stesse sono concepite per ospitare famiglie in cui il padre è una figura assente o tirannica, con giardini di cui si prendono cura operai che a loro volta sono costretti a vivere lontano dai figli. La lotta aperta al patriarcato, origine di tutti i mali nella logica della liberazione femminista, partorisce così lo svuotamento della figura del padre, il grande assente della scena contemporanea. “Senza un padre è impossibile non vivere una vita affettivamente fragile e vulnerabile”, dice Dougherty, che ha scritto le missive a suo padre proprio quando lui stesso è diventato padre, in un atto di riconciliazione fra generazioni. “Una delle cose che ho sperimentato scrivendo il libro è che mi ha aiutato a capire di più la generazione dei miei genitori, e l’ossessione per la guerra al patriarcato, che nasceva in un contesto in cui effettivamente c’era un problema della tirannia del padre. Il padre ha sempre il potenziale di diventare un tiranno, e vivere con un padre del genere è la peggiore situazione immaginabile, è l’inferno. Per esorcizzare questa perversione si è però promosso l’ideale opposto, quello del padre assente, della società fatherless, che poi è la ragione profonda per cui stiamo edificando una società childless”, dice l’autore.
L’unico padre ammesso nell’ambito della decostruzione del patriarcato è il “padre-ingegnere sociale”, quello che legge ai figli favole per X ore al giorno perché gli studi di psichiatria infantile dicono che è la quantità ottimale per sviluppare le capacità cognitive, così da innalzare la possibilità che prenda voti alti nei test standardizzati, per poi accedere alle università d’elite, indirizzo STEM, e fare carriera, successo, soldi. Questo padre ha abdicato a ogni pretesa di autorevolezza “al di fuori delle verità dimostrate dalla scienza”, ed è dunque un'ancella del grande scienziato sociale che sovrasta il sistema educativo, è un funzionario di un invisibile ministero dell’educazione universale. Ma chi è dunque il padre senza il quale non si può vivere e con cui Dougherty, attraverso la sua vicenda, ci invita a riconciliarci? Un tentativo di risposta si trova nelle pagine del libro, dove l’autore ripercorre le gesta eroiche, e non prive di senso del tragico, dei protagonisti dell’indipendenza irlandese, che con “gloriosa follia” si sono consapevolmente gettati fra le braccia dei loro aguzzini. Dal loro sacrificio è nato il paese. Dougherty si domanda retoricamente: “Dei self-made men avrebbero potuto fare questo? Avrebbero potuto farlo uomini intelligenti, ma che in fondo credono che la nobiltà sia essa stessa una delusione? Avrebbero potuto farlo uomini che sospettano che questo mondo, e tutto ciò che facciamo, sia, in fondo, senza un senso?”. Forse il padre di cui Dougherty proclama la necessità è questo: colui che introduce le nuove generazioni all’idea che questo mondo abbia, in fondo, un senso.
giovedì, settembre 05, 2019
Bau bau
Come fa il cane, in diverse lingue:
Blaf blaf (Afrikaans)
Voff voff (Islandese) Lol lol (Tamil) Bup bup (Catalano) Ham ham (Albanese e Rumeno) Boj boj (Esperanto) Jaff jaff (Bulgaro) Wang wang (Mandarino)
Mong mong (Coreano) Ouaf ouaf (Francese) Woke woke (Burmese) Hav hav (Turco)
Zaunk zaunk (Basco) Guk Guk (Indonesiano) Bawf (Scozzese)
mercoledì, settembre 04, 2019
Lombardi di Sicilia
Forse in molti non sanno che in Sicilia, esiste una minoranza etnica e linguistica lombarda.
Un gruppo di persone insomma, che non parla la lingua siciliana, che vive in Sicilia, ma che ha una storia antichissima che proviene da altre regioni d’Italia.
Un gruppo di persone insomma, che non parla la lingua siciliana, che vive in Sicilia, ma che ha una storia antichissima che proviene da altre regioni d’Italia.
I Lombardi di Sicilia sono una minoranza originaria dell'Italia nord-occidentale, che vive ancora oggi in alcuni comuni della Sicilia centrale e della Sicilia orientale. Ci si riferisce alle loro comunità come ‘Lombardia siciliana’ o ‘Sicilia lombarda’.
Il termine lombardo non si riferisce alla regione Lombardia ma è da considerarsi come termine usato nel medio evo per indicare gli abitanti di un territorio molto più vasto dell'attuale regione Lombardia, che comprendeva, tutta l'Italia Settentrionale, esclusa forse la Romagna.
Il termine lombardo non si riferisce alla regione Lombardia ma è da considerarsi come termine usato nel medio evo per indicare gli abitanti di un territorio molto più vasto dell'attuale regione Lombardia, che comprendeva, tutta l'Italia Settentrionale, esclusa forse la Romagna.
L’origine della presenza di abitanti originari dell’Italia settentrionale in Sicilia risale all’XI° secolo. Prima che fosse conquistata dai Normanni
Nel quadro etnico, linguistico e religioso della Sicilia musulmana, i latini rappresentavano ormai una minoranza: dal punto di vista linguistico a farla da padroni erano il greco e l’arabo, mentre dal punto di vista religioso la Chiesa romana era praticamente scomparsa sull’isola già da prima della conquista islamica, a seguito della decisione dell’imperatore bizantino Costantino V (741-775) di spostare le diocesi calabro-sicule dalla giurisdizione ecclesiastica del Papa di Roma a quella del Patriarca di Costantinopoli..
Nel quadro etnico, linguistico e religioso della Sicilia musulmana, i latini rappresentavano ormai una minoranza: dal punto di vista linguistico a farla da padroni erano il greco e l’arabo, mentre dal punto di vista religioso la Chiesa romana era praticamente scomparsa sull’isola già da prima della conquista islamica, a seguito della decisione dell’imperatore bizantino Costantino V (741-775) di spostare le diocesi calabro-sicule dalla giurisdizione ecclesiastica del Papa di Roma a quella del Patriarca di Costantinopoli..
Quando i normanni cominciarono ad espandersi in Italia meridionale a partire dalla prima metà dell’XI° secolo , in cambio dell'aiuto del papa , promisero che se avessero conquistato la Calabria bizantina e la Sicilia islamica, si sarebbero impegnati a ristabilire il rito latino e l'egemonia di Roma sulle diocesi del sud Italia.
In questo contesto si inserisce l’insediamento di genti provenienti dal Nord Italia voluto dal papato e dai normanni.
L’arrivo di questi nuclei implementavano i primi nuclei “lombardi” precedenti, risalenti al 1040 circa e giunti in Sicilia come mercenari , rafforzando la chiesa di Roma e il governo normanno con genti di specchiata fedeltà.
In questo contesto si inserisce l’insediamento di genti provenienti dal Nord Italia voluto dal papato e dai normanni.
L’arrivo di questi nuclei implementavano i primi nuclei “lombardi” precedenti, risalenti al 1040 circa e giunti in Sicilia come mercenari , rafforzando la chiesa di Roma e il governo normanno con genti di specchiata fedeltà.
I comuni dove è maggiormente riscontrabile ancora oggi una forte eredità lombarda sono Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina e Aidone in provincia di Enna, San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina, in provincia di Messina.
Tuttavia i sei principali e più conservati centri della minoranza linguistica Gallo Italico restano Piazza Armerina, Nicosia, Aidone, Sperlinga, San Fratello e Novara di Sicilia, che pertanto rientrano per la loro parlata alloglotta gallo italico .
La parlata Gallo Italico viene ancora usata nei rapporti interpersonali a Sperlinga, Nicosia, San Fratello e Novara di Sicilia.
Tuttavia i sei principali e più conservati centri della minoranza linguistica Gallo Italico restano Piazza Armerina, Nicosia, Aidone, Sperlinga, San Fratello e Novara di Sicilia, che pertanto rientrano per la loro parlata alloglotta gallo italico .
La parlata Gallo Italico viene ancora usata nei rapporti interpersonali a Sperlinga, Nicosia, San Fratello e Novara di Sicilia.
Continua qui.
martedì, settembre 03, 2019
Bando del IV Concorso Chesterton
Bando del IV Concorso Chesterton
Destinatari
Il concorso è rivolto a tutti gli studenti delle Scuole Statali e Paritarie, Primarie e Secondarie di I grado d’istruzione.
I perché dell’iniziativa:
•
sostenere nella scuola la passione di tutti quei docenti che vivono il
loro impegno professionale come un’avventura per sé e per i propri
studenti;
•
condividere questa esperienza, facendone un punto di forza per
facilitare il tentativo di rinnovamento dell’azione
didattico-educativa;
• accrescere l’interesse e la curiosità degli studenti nella scoperta della realtà;
• facilitare un incontro reale e un dialogo con l’autore;
• promuovere e valorizzare la creatività degli studenti e la loro capacità espressiva.
Modalità e tempi di consegna
Fase 1
La scheda di adesione (modulo di iscrizione + scheda per il trattamento dei dati personali) deve essere inviata entro e non oltre il 29 novembre 2019, al seguente indirizzo:
Società Chestertoniana Italiana
c/o Cooperativa Sociale Capitani Coraggiosi
Via Valtellina, snc
63074 San Benedetto del Tronto (AP)
E all’indirizzo di posta elettronica: societachestertoniana@gmail.com
Fase 2
I prodotti conclusivi, o gli elaborati,
dovranno essere inviati anch’essi al suddetto indirizzo di posta
elettronica e all’indirizzo postale sopraindicato, entro e non oltre il 28 febbraio 2020.
lunedì, settembre 02, 2019
#NOEUTANASIA - Campagna per la Vita contro l’Eutanasia e Suicidio assistito
Forte ed efficace la campagna di Provita & Famiglia contro l'eutanasia ed il suicidio assistito.
domenica, settembre 01, 2019
Family Solidarity
Family Solidarity è un'associazione prolife e profamily. Da poco ha rinnovato il sito e sulla pagina delle notizie trovate anche articoli miei.
Iscriviti a:
Post (Atom)