martedì, marzo 30, 2004

Meditazione su Gv 8,1-11 di Martino, monaco camaldolese


Nonostante l’attribuzione e la collocazione incerte, è impossibile dubitare della storicità del fatto narrato e non riconoscere il chiarore, l’intensità promananti da questo episodio che precede emblematicamente la dichiarazione di Gesù, al versetto 12, circa la propria identità di Messia: io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita. Solo la vera autentica luce può accogliere, ospitare ed infine vanificare ogni forza tenebrosa, di male.
E’ un racconto, il nostro, che viene a giusto titolo considerato una perla evangelica d’incomparabile bellezza e profondità dottrinale. Sant’Agostino lo esprime con una frase scultorea: “Relicti sunt duo, misera et misericordia” (PL 35,1650).
Nel suo attuale assetto, il testo sembra voler assumere il più scontato dei ruoli: collocandosi all’interno della diatriba di Gesù con gli scribi ed i farisei si fa testimonianza della volontà degli avversari di Gesù di porgli dinanzi dei problemi imbarazzanti mettendolo in contrasto con la legge del decalogo mosaico: nella Legge Mosé ci ha intimato di lapidare queste donne - asseriscono i farisei. E tu, cosa dici?
E noi, cosa diciamo? Concentriamoci su Gesù e sulla donna e cerchiamo di dare spessore a queste figure che vengono coinvolte drammaticamente nella situazione.
Gesù si chinò e cominciò a scrivere col dito sulla terra. Ad essere precisi, il testo greco usa un verbo, katagrapho, che non significa solo scrivo ma anche incido, traccio, disegno. Gesù, ci sentiamo di affermare, non faceva il conto dei peccati degli astanti, come asserivano alcuni moraleggianti commentatori. Di fatto, gli unici scritti di Gesù tramandati dai vangeli sono questi: disegni misteriosi, indecifrabili, tracciati sulla sabbia, facilmente cancellabili. Gesù si appella ad un’altra legge, non scritta, interiore, vergata sui cuori, alla quale si può obbedire senza appropriarsene.
Alcuni esegeti ipotizzano che Gesù si stia dedicando, in quel momento, ad un esercizio di meditazione tipicamente orientale. Ravvisano, nel suo gesto, come un assentarsi, uno spostarsi altrove, l’evadere dalla contesa per ritrarsi in un più profondo punto di concentrazione.
Gesù traccerebbe una sorta di mandala, una visione sincronica degli eventi, una riproduzione simbolica del cosmo e dell’accadere delle cose.
Incidendo sulla sabbia, ridipanerebbe a ritroso il filo di quanti lo hanno preceduto nella storia del suo popolo. Lo pensiamo allora mentre convoca a sé le donne della sua ascendenza e si inoltra nel loro mistero; Betzabea per prima, la madre di Salomone; Rut la moabita; la prostituta Rahab, la quale aveva facilitato agli ebrei la conquista di Gerico; Tamara, che audacemente inaugurava, attraverso la nascita del figlio Perez (Breccia), la dinastia davidica. Ciascuna con il proprio carico di ambiguità, trasgressione, spregiudicatezza e peccato, ma anche vittima del male e del cinismo degli uomini.
Maria infine, sua madre, probabilmente segnata a dito per quella sua gravidanza così soggetta a dubbi di legittimità.
Si delinea in questo modo un itinerario catartico, di illuminazione progressiva, che conduce Gesù a lasciare emergere il germe della redenzione nelle coscienze, facendo percorrere a tutti gli astanti il cammino della consapevolezza e della grazia.
La legge rimane scritta ma la salvezza è sommersa lì, nel profondo della memoria. Il problema è come farla affiorare con la sua potenza liberatoria... Ecco come: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei... Ma quelli, udito ciò, si dileguarono uno dopo l’altro, per primi gli anziani. Non necessariamente se ne saranno andati svergognati; incoraggiati,forse, a ricercare, nel profondo del proprio vissuto, sofferenza e gioia, peccato e grazia... il seme della redenzione seminato in loro.
La donna invece resta; per lei il seme della salvezza è già germogliato. Gesù l’ha già raggiunta; anch’essa si era chiusa a riccio perché stretta da un cerchio inesorabilmente serrato di sguardi curiosi e ostili che penetravano sotto il velo, indovinandone la carne e supponendo di conoscerne l’anima. Un sentimento di rabbia, di vergogna mista a dispetto la rendeva forse indifferente ed estranea a quella sceneggiata e preoccupata solo della sorte del suo uomo. Il desiderio, come principio delle passioni, induce a guardare molto più all’avvenire che non al presente o al passato (Cartesio, Le passioni dell’anima, § 57).
Era ovvio, Gesù lo avvertiva fortemente, che bisognava rompere il cerchio in cui la donna era confinata, altrimenti mai avrebbe trovato lo spazio per pensare a se stessa. Perciò Gesù evita di guardarla. Si mette a giocherellare, tracciando segni inutili o misteriosi sulla sabbia; la tentazione di alzare gli occhi forse è grande ma egli la respinge per creare un varco nel cerchio. Prioritario non era conoscere, nemmeno conoscere il pentimento della donna o la gradazione della sua consapevolezza ma spezzare l’assedio degli sguardi e delle accuse.
Non è la volontà di ignorare i fatti quella che muove Gesù. Egli acconsente alla liberazione della donna da una situazione in cui gli altri, accusatori o salvatori che fossero, le avrebbero assegnato una sentenza. Essa, invece, doveva essere messa in grado di giudicarsi da sé, di riesaminare anche dolorosamente la propria vita per trarne elementi preziosi, speranze di futuro, la riconciliazione con il proprio rimosso: un marito, un amante, una svolta nel tempo che scorre, ciò che spesso rimane sotto pelle e che anche noi non vogliamo o non possiamo riconoscere per le ragioni più disparate.
Solo che, rotto il cerchio, si frantuma, quasi per miracolo, anche la collocazione radiale dei presenti. E finalmente l’adultera è messa in grado di accorgersi che in quello spiazzo del tempio c’è un “tu”.
O donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Nessuno Signore. - Disse Gesù: “Nemmeno io ti condanno, va’ e d’ora innanzi non peccare più”.
Il passato immemorabile è ora in qualche modo sottoposto al presente della Rivelazione e al futuro dell’attesa del Regno (cf. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, p. 101). Mi pare che grazie a Gesù siano sovvertite anche le logiche del dono che, in qualche modo, rischia sempre di soggiacere al do ut des, l’aspettativa della reciprocità. Gesù non chiede nulla e sembra inaugurare, invece, l’ordine del dispendio, conferendo al dono fatto alla donna una misura folle! Ma nel rispetto della dignità dell’altra, senza schiacciarla sotto il peso insostenibile del dovere di corrispondere.

Poiché la pietra
è stata gettata
nello scosceso fiume
dell’eterno
posso alfine scordare.
Giungo al centro, alla chiave,
all’algebra,
allo specchio
.
Julia Lang

Un finale liberante ma anche impegnativo e per nulla banalmente risolutorio: ogni uomo, ogni donna, cor-risponde e scrive con la propria vita il finale della storia, perché ciascuno porta le contraddizioni del proprio vissuto, di innamoramenti e disinnamoramenti, dei fallimenti e delle aperture dei cerchi che ci regalano una nuova possibilità di ritorno a noi stessi:
Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, per dissetare il mio eletto (Is. 43,18-20).
Il Signore ci conceda la grazia di saper ri-pensare alla nostra storia, al nostro futuro, di poter comprendere l’infinita libertà che è il Suo amore e la Sua misericordia, l’oceano senza sponde della Sua pietà.

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