lunedì, maggio 28, 2018


Abbiamo perso. Speravamo, temevamo, siamo stati a volte incerti, a volte più convinti ma nessuno si aspettava un risultato così netto. Due elettori su tre hanno scelto l’aborto. Hanno scelto di rimuovere ogni protezione costituzionale del nascituro. Hanno rimosso, forse caso unico al mondo, il diritto alla vita della madre e del suo figlio dalla sezione della Costituzione che elenca i diritti fondamentali, per sostituirlo con una licenza, a favore dei politici, di poter leggiferare sull’aborto, o come amano dire usando un eufemismo ipocrita, leggiferare sull’interruzione di gravidanza. Ma il parto termina una gravidanza, mentre l’aborto termina una vita. Questa semplice verità è stata rigettata, chiaramente e perciò tremendamente, da un Paese ora smarrito. I sondaggi ci davano in svantaggio ma i centinaia di volontari che bussavano alle porte o facevano propaganda per le strade, ci raccontavano di risposte incoraggianti. Nessuno, neppure i nostri oppositori, aveva previsto un risultato così netto, che però in qualche modo mostra che nessuna campagna avrebbe potuto cambiare un elettorato sostanzialmente schierato. La trasformazione sociale è profonda e non è avvenuta nelle ultime settimane e neppure negli ultimi mesi. È stato un lento ed inesorabile adeguarsi della società irlandese alle pressioni di una cultura della morte che ha dimensioni internazionali.
Per anni, i mezzi di comunicazione hanno corroso i tradizionali valori irlandesi con storie penose, casi estremi. Per anni, l’Ottavo Emendamento è stato presentato come la causa di tanti mali. La crisi che ha colpito la Chiesa cattolica locale ha sicuramente contribuito a minare l’autorevolezza morale dei vescovi e delle organizzazioni cattoliche ma quello che ha contato più di tutto è una cultura diffusa che si appella ad una concezione egoista dello scegliere, per cui una gravidanza non desiderata deve essere rigettata in nome della scelta e dell’autodeterminazione. A questo poi si sono aggiunti l’ostilità della classe polica ed in particolare di quanti erano prolife prima delle elezioni e poi hanno tradito, corrotti dal desiderio di potere ma anche dalle multinazionali del business abortista.
Il fronte del NO non ha nulla da rimproverarsi. Non sono stati fatti grandi errori. Le due maggiori organizzazioni prolife hanno avuto stili diversi, sperando di convincere settori differenti della popolazione.  “Love both” (ama entrambi) è stata una campagna più pacata, incentrata su storie positive, mentre “Save the 8th” (salva l’ottavo) ha usato toni più polemici, slogan diretti. Ma c’era poco da fare. È impossibile combattere con un’inesorabile e continua disinformazione che per anni, decenni, ha corroso un popolo una volta cristiano. Nel 1983, quando l’Ottavo Emendamento fu introdotto, già un terzo degli elettori si oppose. Oggi la proporzione tra le due parti è la stessa ma ribaltata. Un terzo dei votanti è passato da prolife a prochoice. Un terzo di votanti che corrisponde a circa il 20% della popolazione adulta. Si tratta di uno spostamento non radicale, se consideriamo che sono passati 35 anni, ma, nonostante questo, significativo. Significativo non solo per il risultato referendario ma anche per le consequenze a lunga durata, perché sappiamo che questo andamento non si invertirà presto.  Ora ci aspetta, subito, una nuova battaglia su eutanasia e suicidio assistito, poichè il desiderio di morte non si sazia mai.
Prima del referendum il ministro della Sanità, Simon Harris, aveva presentato una proposta di legge che prevedeva l’aborto su richiesta fino a 12 settimane e in caso di pericolo per la salute fisica o psichica della madre fino a sei mesi. A questa proposta, già di per sè terribile, ora pare che verranno aggiungiunti nuovi dettagli ancora più restrittivi per chi non la condivide. Ad esempio, il ministro vuole vietare assembramenti pubblici intorno agli ospedali, impedendo così un lavoro di dissuasione e di offerta di alternative a chi ha deciso di abortire. Un altro fronte in cui il ministro, forte del risultato, sta minando la posizione prolife riguarda l’obiezione di coscienza. Sarebbe prevista solo per i singoli, e non per le instituzioni, e obbligherebbe i medici di base a contribuire indirettamente all’aborto che non condividono, tramite il dovere di scrivere lettere di referenza. Se l’obiezione non dovessere essere estesa alle istituzioni, ci ritroveremo che gli ospedali cattolici, ad esempio, non potranno esimersi dall’offrire aborti se c’è qualche dottore pronto a praticarli. Il fronte politico prolife, che non è concentrato in un solo partito ma, invece, lavora come gruppo trasversale, è risultato decisamente indebolito dal risultato referendario e quindi le prospettive di fare approvare emendamenti a noi più favorevoli, sono molto limitate.
Cosa attende le organizzazioni prolife? Oltre alla battaglia politica, c’è da continuare quella culturale, in termini di informazione e formazione delle coscienze. Ci sarà da ampliare la rete di agenzie di supporto e counselling, offrendo anche aiuto pratico a chi è tentato di abortire. C’è anche da fare pressione perchè migliori la cura prenatale e postnatale, particolarmente per le gravidanze che hanno ricevuto una diagnosi di anomalia cromosomica letale. Le organizzazioni prolife irlandesi dovranno superare le divisioni del passato e continuare a lavorare insieme, anche se non necessariamente in un’unica formazione.
Non siamo riusciti a salvare l’Ottavo Emendamento ma almeno ci siamo salvati l’anima, facendo quello che era giusto. Non avremo morti sulla coscienza e non ci piegheremo alle pressioni sociali. Abbiamo perso, sì, ma abbiamo perso tutti perché la rimozione di un diritto fondamentale dalla Costituzione non può essere mai una vittoria.

Nessun commento: