mercoledì, aprile 14, 2021

Eutanasia, il Quarto Reich dei Paesi Bassi




La pratica odierna dell’eutanasia nei Paesi Bassi è paragonabile a quanto avveniva nella Germania nazista: si sta infatti ricreando la categoria degli “indegni di vivere”. Così la pensa la dott.ssa Diane E. Meier, geriatra nella Icahn School of Medicine di New York, che lo scrive sul prestigioso periodico JAMA Internal Medicine dell’American Medical Association.

Per la Meier, sia l’aumento nel novero delle categorie di persone che possono accedere all’eutanasia, avvenuto nel corso degli anni, sia il fallimento dei limiti posti inizialmente a tale pratica per contenerla a un numero ridotto di casi, mostrano i danni sociali causati dalla legge. La legge evoca del resto l’eco del passato, perché consolida a livello sociale l’idea che alcune vite meritino più cura e investimenti di altre.

La specialista lo scrive commentando uno studio, pubblicato in dicembre sul medesimo periodico, che riguarda i pazienti neerlandesi con difficoltà geriatriche multiple che hanno fatto richiesta di eutanasia. Ora, dall’analisi è emerso che la sofferenza di quelle persone non era semplicemente fisica, bensì incentrata sul timore di subire un declino delle proprie condizioni di salute tale da costringerli a dipendere da altri o comunque a perdere il pieno controllo di sé. Nessuno dei pazienti si trovava del resto di condizioni potenzialmente letali, eppure hanno tutti richiesto e tutti ottenuto la morte indotta.

Nei Paesi Bassi i casi di eutanasia performata su pazienti affetti da demenza, malattie psichiatriche, o comunque in difficoltà geriatriche multiple sono aumentati, e questo, secondo la Meier, dovrebbe allarmare tutti. «Una volta legalizzata la morte assistita», scrive la dottoressa, «quand’è che un diritto diventa un obbligo, specialmente se le famiglie sono poste sotto pressione e la società nega ai pazienti e alle loro famiglie le risorse necessarie per cure sicure e affidabili?».

Se poi l’eutanasia diventa «la conferma sociale, supportata da scelte politiche, dell’idea che alcune vite non valgono più dell’investimento necessario per preservarle», «l’affermazione implicita è che sia l’individuo sia la società starebbero meglio se il paziente fosse morto». È qui che per la Meier scatta il paragone con le leggi naziste su eutanasia, eugenica e sterilizzazione forzata di quanti venivano considerati inadatti a procreare.

Com’era prevedibile, il paragone è stato giudicato inappropriato da due lettere firmate da alcuni medici neerlandesi, che il periodico ha subito pubblicato. Ma la geriatra ha replicato che la storia insegna che agire partendo dal presupposto che alcune vite non siano degne di essere vissute non è un evento unico ed irripetibile. «Occorre cautela estrema quando si dà ai medici il potere di uccidere».

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