Continuo con le mie personalissime classifiche.
Nel 2004 ho visto una trentina di rappresentazioni teatrali, gran parte delle quali realizzate dalla Drama Society del mio college.
Queste le migliori:
1) No Exit di Jean-Paul Sartre
2) All my sons di Arthur Miller
3) No man's land di Arnold Pinter
Mentre queste sono quelle che ho più apprezzato nei teatri in città:
1) Shining city di Conor McPherson, al Gate Theatre
2) I do not like thee doctor Fell di Bernard Farrell, all'Abbey Theatre
3) Tick my box delle Inis Theatre, al Bewley's Theatre
Passiamo ai film.
Al cinema:
1) 21 grams
2) Finding neverland
3) Buongiorno notte
4) The Passion of Christ
5) The Terminal
In dvd:
1) The pianist
2) About a boy
Migliori CD dell'anno
1) Green Day, American Idiot
2) The Shins, Chutes too narrow
3) Juliet Turner, Season of the Hurricane
Concerti
1) Juliet Turner, Olympia Theatre Dublin, 18 novembre
2) The Shins, Whelan's Dublin, 26 maggio
3) Damien Rice, Vicar Street Dublin, 2 febbraio
4) Ban Benefit Concert (Thyco Brahe, Bell X1, Damien Rice), Vicar Street Dublin, 28 gennaio
Parliamo ora di blog.
Il blog italiano dell'anno è senza dubbio Azioneparallela.
Lo leggo ogni giorno e lo trovo sempre interessante. Pieno di filofia, e non solo.
Meritano anche wxre e pescevivo.
Per quanto riguarda i blog stranieri ho qualche difficoltà. Ne seguo una cinquantina ma nessuno in questo momento mi esalta particolarmente.
Segnalerei, senza ordine di preferenza, Crooked Timber, multiblog accademico, Mirror of Justice, multiblog di giuristi di ispirazione cattolica, Cor ad cor loquitur, di apologetica e openbook della scrittrice Amy Wellborn. Sono tutti americani.
Approfitto per salutare alcuni lettori che durante l'anno mi hanno contattato privatamente: Alessandro S., Ele, Etty, Eva, Ste.
E un saluto anche a Giorgia Mu. :)
Auguri a tutti.
venerdì, dicembre 31, 2004
giovedì, dicembre 30, 2004
In memoria e rispetto delle decine di migliaia di vittime dello Sri Lanka, Maldive, Thailandia, Indonesia, India, colpite cose duramente dal terremoto del giorni di Sant Stefano, per la notte dell'ultimo dell'anno non sparare i soliti botti di festa.
Perché il tuo mondo non è in festa.
Restiamo in silenzio e spendiamo meno soldi per una notte che per milioni di persone sarà solo un'altra notte di silenzi e miseria.
Devolvi i tuoi soldi per l'ultimo dell'anno alle associazioni che li stanno aiutando... ....all'Unicef, alla caritas, alla croce rossa, alle iniziative dei TG e
giornali.
Proponiamo tutti un silenzio che urli piu forte di un milione di fuochi d'artificio.
Proponiamo di spendere meno in futilità mentre il mondo muore.
Perché noi possiamo scegliere di farlo.
Perché il tuo mondo non è in festa.
Restiamo in silenzio e spendiamo meno soldi per una notte che per milioni di persone sarà solo un'altra notte di silenzi e miseria.
Devolvi i tuoi soldi per l'ultimo dell'anno alle associazioni che li stanno aiutando... ....all'Unicef, alla caritas, alla croce rossa, alle iniziative dei TG e
giornali.
Proponiamo tutti un silenzio che urli piu forte di un milione di fuochi d'artificio.
Proponiamo di spendere meno in futilità mentre il mondo muore.
Perché noi possiamo scegliere di farlo.
Fine dell'anno, tempo di bilanci.
Ho la buona abitudine di registrare le mie letture.
Quest'anno ho letto oltre 60 libri, interamente o quasi. 15 in italiano ed il resto in inglese.
Solo due romanzi: Ulysses di Joyce, in originale ma non interamente, e Il quinto evangelio di Mario Pomilio.
12 i libri di o su Newman, 12 di filosofia varia, 7 di fenomenologia, 7 di traduttologia, 6 di etica, 4 riguardanti l'insegnamento universitario, 3 su Aristotele.
A questi andrebbero aggiunti una quindicina di volumi dei quali ho letto solo alcuni capitoli.
Oltre 50 invece gli articoli scientifici: 16 di filosofia varia, 14 su Newman, 4 su Aristotele.
Dopo i numeri passiamo ai giudizi.
Cominciamo dai peggiori. La più grande delusione dell'anno è stata senza dubbio Lessons of the Master (2003) di George Steiner, un libro che non mi insegnato nulla.
Anche Characters in Search of Their Author (2001) di Ralph McInerny mi è parsa una grande perdita di tempo, troppo divulgativo.
I lavori che invece mi sono piaciuti molto sono Good and Evil: an absolute conception, di Raimond Gaita (1982), per quel che riguarda l'etica, e The Closing of the American Mind di Allan Bloom (1988), un classico nei dibattiti sulle Culture Wars.
Per quanto riguarda gli studi su Newman, segnalo Paul Cullen, John Henry Newman and the Catholic University of Ireland (2004)di Colin Barr e Outside the Fold (1998) di Gauri Viswanathan. Il primo è il lavoro di uno storico, importantissimo per la mia ricerca, nel quale viene una tesi interpretativa originale per quel che riguarda l'Università fondata da Newman.
Il secondo invece è un lavoro ad ampio respiro sulla conversione come esperienza di dissenso culturale, con dei capitoli dedicati a Newman. Importante perché discute di Newman nella prospettiva dei Postcolonial Studies.
Ho letto quasi interamente Essere e Tempo di Heidegger e devo dire che è stata una sofferenza ma anche un grande godimento intellettuale.
A proposito di Heidegger, una particolare menzione va a Theodore Kisiel per The Genesis of Heidegger’s Being & Time (1995), una ricostruzione dettagliata della genesi dell'opera a partire dalle lezioni degli anni che l'hanno preceduta.
E' per specialisti, ed infatti mi sono limitato ad alcuni capitoli, ma aiuta molto nella comprensione del testo.
Il più bel lavoro di tranlastion studies è stato Across the Lines: Travel, Language, Translation (200) di Michael Cronin, sulla traduzione interlinguistica, intralinguistica e intersemiotica nei racconti di viaggio.
Passando alle letture non accademiche, Opus Dei (1994) di Vittorio Messori mi ha aiutato molto a comprendere una realtà ecclessiale tanto discussa quanto sconosciuta. Messori a volte è insopportabile, inutilmente polemico, ma riesce ad unire chiarezza e rigore senza essere difficile, da buon giornalista.
E voi, miei cari lettori, che libri mi segnalate?
Domani le mie personalissime classifiche riguardanti musica, cinema e blog.
Ho la buona abitudine di registrare le mie letture.
Quest'anno ho letto oltre 60 libri, interamente o quasi. 15 in italiano ed il resto in inglese.
Solo due romanzi: Ulysses di Joyce, in originale ma non interamente, e Il quinto evangelio di Mario Pomilio.
12 i libri di o su Newman, 12 di filosofia varia, 7 di fenomenologia, 7 di traduttologia, 6 di etica, 4 riguardanti l'insegnamento universitario, 3 su Aristotele.
A questi andrebbero aggiunti una quindicina di volumi dei quali ho letto solo alcuni capitoli.
Oltre 50 invece gli articoli scientifici: 16 di filosofia varia, 14 su Newman, 4 su Aristotele.
Dopo i numeri passiamo ai giudizi.
Cominciamo dai peggiori. La più grande delusione dell'anno è stata senza dubbio Lessons of the Master (2003) di George Steiner, un libro che non mi insegnato nulla.
Anche Characters in Search of Their Author (2001) di Ralph McInerny mi è parsa una grande perdita di tempo, troppo divulgativo.
I lavori che invece mi sono piaciuti molto sono Good and Evil: an absolute conception, di Raimond Gaita (1982), per quel che riguarda l'etica, e The Closing of the American Mind di Allan Bloom (1988), un classico nei dibattiti sulle Culture Wars.
Per quanto riguarda gli studi su Newman, segnalo Paul Cullen, John Henry Newman and the Catholic University of Ireland (2004)di Colin Barr e Outside the Fold (1998) di Gauri Viswanathan. Il primo è il lavoro di uno storico, importantissimo per la mia ricerca, nel quale viene una tesi interpretativa originale per quel che riguarda l'Università fondata da Newman.
Il secondo invece è un lavoro ad ampio respiro sulla conversione come esperienza di dissenso culturale, con dei capitoli dedicati a Newman. Importante perché discute di Newman nella prospettiva dei Postcolonial Studies.
Ho letto quasi interamente Essere e Tempo di Heidegger e devo dire che è stata una sofferenza ma anche un grande godimento intellettuale.
A proposito di Heidegger, una particolare menzione va a Theodore Kisiel per The Genesis of Heidegger’s Being & Time (1995), una ricostruzione dettagliata della genesi dell'opera a partire dalle lezioni degli anni che l'hanno preceduta.
E' per specialisti, ed infatti mi sono limitato ad alcuni capitoli, ma aiuta molto nella comprensione del testo.
Il più bel lavoro di tranlastion studies è stato Across the Lines: Travel, Language, Translation (200) di Michael Cronin, sulla traduzione interlinguistica, intralinguistica e intersemiotica nei racconti di viaggio.
Passando alle letture non accademiche, Opus Dei (1994) di Vittorio Messori mi ha aiutato molto a comprendere una realtà ecclessiale tanto discussa quanto sconosciuta. Messori a volte è insopportabile, inutilmente polemico, ma riesce ad unire chiarezza e rigore senza essere difficile, da buon giornalista.
E voi, miei cari lettori, che libri mi segnalate?
Domani le mie personalissime classifiche riguardanti musica, cinema e blog.
venerdì, dicembre 24, 2004
domenica, dicembre 19, 2004
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Se qualcuno vuol farmi un bel regalo di Natale, questa è la mia lista dei desideri su Amazon.com.
sabato, dicembre 18, 2004
Carlo Casini: la legge 40 sulla fecondazione assistita “va difesa con convinzione”
Carlo Casini: la legge 40 sulla fecondazione assistita “va difesa con convinzione”
Intervista al presidente del Movimento per la Vita italiano
ROMA, giovedì, 16 dicembre 2004 (ZENIT.org).- I referendum vogliono distruggere tutti i meriti della legge sulla fecondazione assistita, e per questa ragione essa “va difesa con convinzione”, ha affermato Carlo Casini, magistrato e presidente del Movimento per la Vita italiano (Mpv).
In questa intervista concessa a ZENIT, Casini ha espresso il suo parere nella querelle sollevatasi in vista dei possibili referendum sulla legge 40/2004 che regola la procreazione medicalmente assistita, rivelando “il tentativo di trasferire il dibattito dal tema della maternità-infertilità, a quello della scienza e della salute in generale”.
Il presidente dell'Mpv sostiene in particolare che l’operazione mediatica, spesso veicolo di false informazioni, messa in piedi per l’occasione, “rivela e produce una pericolosissima mentalità eugenetica, secondo la quale i malati non hanno diritto di vivere”.
Non le sembra paradossale che ci siano Paesi che pretendono il diritto di clonare essere umani?
Casini: Bisogna capire cosa sta dietro la distinzione tra clonazione terapeutica e clonazione riproduttiva. Entrambe implicano la generazione di un essere umano geneticamente identico ad un altro individuo umano, ma nella clonazione così detta terapeutica il nuovo uomo generato per clonazione viene ucciso precocemente, cioè entro i primi giorni della sua esistenza (che però possono diventane anni se l’embrione viene congelato) mentre nella clonazione così detta riproduttiva il concepito dovrebbe essere lasciato crescere fino a divenire un neonato. Ho detto “dovrebbe”, perché fortunatamente fino ad oggi pare che nessun tentativo sia riuscito.
Ad ogni modo, poiché l’embrione è un essere umano, la distinzione tra “terapeutica” e“riproduttiva” è falsa, perché anche la clonazione “terapeutica” genera cioè “riproduce” un essere umano. Perciò si potrebbe dire che eticamente è peggiore la clonazione terapeutica (che uccide precocemente un individuo umano) della clonazione riproduttiva, che almeno si propone di fare vivere il concepito.
Questa rapida spiegazione fa capire perché è così pesante a livello mondiale, e quindi anche in sede ONU, la pressione per impedire un divieto generale della clonazione embrionale. Dietro la distinzione clonazione terapeutica-clonazione riproduttiva vi è il presupposto ideologico, che non si ha sempre il coraggio di esprimere apertamente, secondo cui l’embrione nei primi giorni di vita è una “cosa” e non un “essere umano”.
Questo presupposto ideologico determina l’alleanza dell’abortismo internazionale, e degli interessi economici e professionali di gran parte della classe medica e dell’industria farmaceutica. Fortunatamente il protocollo aggiuntivo alla convenzione di bioetica di Oviedo (1997) non ha accettatola distinzione sopra detta e il Parlamento europeo per 4 volte l’ha rifiutata.
Mi risulta che una grande maggioranza dei paesi dell’ONU non è favorevole al bando di qualsiasi tipo di clonazione, ma, come è noto, nelle sedi internazionali si cerca sempre di raggiungere l’unanimità o la quasi unanimità e questo spiega il rinvio di ogni decisione al prossimo febbraio.
In merito a questa vicenda della clonazione ed anche nella discussione che riguarda la legge 40 sulla fecondazione assistita, si ha l’impressione che stia emergendo una mentalità eugenetica, le cui aberrazioni non vengono rilevate dall’opinione pubblica. Qual è il suo parere in proposito?
Casini: Va segnalato che uno dei referendum intende abolire anche il divieto di clonazione previsto dall’art. 13 della legge 40. Va anche smascherato il tentativo di trasferire il dibattito dal tema della maternità-infertilità, a quello della scienza e della salute in generale. E’ un tentativo che negli ultimi mesi si è sviluppato utilizzando anche informazioni non vere ampiamente diffuse dai mezzi di comunicazione.
L’intento è quello di coinvolgere nei referendum i molti cittadini, che non sono interessati alla questione della sterilità/infertilità, ma che, invece, sono emotivamente coinvolti quando si parla di mirabolanti (anche se false) prospettive prossime di guarigione da malattie gravi molto diffuse e fino ad oggi non curabili.
In realtà, a parte la incredibile falsità delle notizie diffuse circa gli asseriti (e ad oggi del tutto inesistenti) effetti terapeutici delle cellule staminali embrionali, l’operazione mediatica in atto rivela e produce una pericolosissima mentalità eugenetica, secondo la quale i malati non hanno diritto di vivere.
A parte l’atrocità della idea che le malattie si possono guarire sopprimendo i malati, l’estrema amplificazione del concetto di salute, fa prevedere che presto si pretenderà di scegliere anche le caratteristiche somatiche e psichiche influenzabili dal genoma.
Il principio di eguaglianza, che è corollario della dignità umana, tanto faticosamente conquistato nel corso dei secoli, è in pericolo. E’ quindi evidente che di fronte all’embrione in provetta si pone la questione globale antropologica di chi sia l’uomo e quale sia il senso della sua vita.
Conseguentemente non deve essere sottovalutata l’altezza dell’impegno che attende chiunque crede alla cultura dei diritti umani.
Sulla legge 40 e sui quasi certi referendum che la riguardano sono in atto diverse manovre. Qualcuno vorrebbe cambiare la legge per evitare i referendum, altri vorrebbero far scatenare su di essi una battaglia culturale per poi invitare la gente all’astensionismo, mentre altri ancora vorrebbero andare a votare. Qual è la posizione sua e quella del Movimento per la Vita?
Casini: La legge 40 può essere definita un grande “passo avanti” e contemporaneamente “la linea del Piave”. Come è stato ripetuto non si tratta di una norma “cattolica”, nel senso che essa non è coerente integralmente con la visione antropologica cristiana (che poi è semplicemente rafforzativa di ciò che è “umano”): basti pensare all’offuscamento della dignità della procreazione, all’accesso consentito anche alle coppie di fatto, alla rilevante perdita di embrioni anche se tutti quelli generati in vitro vengono trasferiti in utero.
Tuttavia rispetto al precedente Far West procreatico che l’ordinamento giuridico consentiva e proteggeva e che aveva il suo aspetto più drammatico nella premedita e concordata quotidiana uccisione di molti figli-embrioni, la legge è davvero uno straordinario avanzamento che toglie molto terreno al nemico della vita. Ma indietro non si può tornare, perché ciò significherebbe determinare positivamente un male grave.
Sbaglia chi guarda ai referendum (ricordiamo che sono 5) senza preoccupazione, ma non è possibile evitarli cambiando in Parlamento la legge. Infatti un referendum per il quale siano già state raccolte le 500.000 firme necessarie non viene effettuato solo se una nuova legge ne cambia il principio ispiratore e i singoli contenuti normativi andando nella direzione del referendum stesso.
Perciò dobbiamo augurarci che il Parlamento, non cambi affatto la legge a causa della “paura” del referendum. Non si tratterebbe mai di un “miglioramento”, ma al contrario di un grave peggioramento.
Certamente occorre avviare da subito, senza perdere nemmeno un istante una grande battaglia culturale per vincere l’ignoranza largamente presente anche nelle Comunità cristiane sia quanto al contenuto della legge, sia per smascherare le menzogne di chi la legge stessa denigra, sia soprattutto per ricostruire nella coscienza collettiva i valori della vita, della famiglia, della sessualità. In tal modo i referendum possono essere trasformati da “difficoltà” ad “opportunità”.
Naturalmente un discorso generale non deve evadere rispetto alla questione puntuale concretissima. La legge 40 va difesa. Sul modo di farlo bisogna prendere una decisione tutti insieme. Niente sarebbe più pernicioso che pervenire a scelte differenziate. Una sola cosa è certa: nessuno potrà votare SI nei referendum (chiedendo cioè l’abrogazione totale o parziale della legge). Su resto vedremo al momento giusto.
Ci spiegherebbe, in breve, quali sono i meriti della legge 40 e perché non è d’accordo con i referendum?
Casini: Ho scritto tre libri che segnalo a chi voglia approfondire l’argomento: I) “La legge sulla procreazione artificiale: un primo passo nella giusta direzione”. Ed. Cantagalli. 2004, pagg. 156 euro 9; II) “La legge sulla fecondazione artificiale”, introduzione. Ed. S. Paolo, pagg. 54, euro 3,5; III) “La legge 19 febraio 2004, n. 40 norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Commentario”. Ed. Giappichelli, pag. 408, euro 17 (in collaborazione con Marina Casini e M. Luisa Di Pietro). Oltre che in libreria queste pubblicazioni possono essere richieste alla Segreteria Nazionale del Movimento per la Vita, via Cattaro 28, 00198 Roma, tel. 06/8632.2060, fax 06/8632.1901, e-mail: mpv@mpv.org. Il Movimento per la Vita ha pubblicato anche uno speciale Dossier dal titolo “Una legge da difendere” (euro 0,20), che, anch’esso, può essere chiesto alla sede nazionale del Movimento come sopra indicato.
Il merito della legge è aver riconosciuto che l’uomo è sempre uomo fin dal concepimento e che perciò è sempre un soggetto titolare di diritto e, conseguentemente, di aver proibito ogni uccisione dell’embrione umano concordata e premeditata (selezione, sperimentazione, congelamento, produzione soprannumeraria, riduzione fetale) lasciando ad ogni embrione, pur generato in provetta, una qualche speranza di vita.
E’ meritorio anche aver deciso che ogni figlio ha diritto ad avere un padre e una madre veri in ogni senso, pienamente conoscibili e legati tra loro da uno stabile affetto. I limiti li ho già indicati rispondendo alle domande precedenti: a) la Procreazione Medicalmente Assistita così intesa viola comunque la dignità della procreazione; b) la legge accetta che essa sia effettuata in favore anche di una coppia di fatto; c) essendo le percentuali di successo (bambino in braccio) molto basse, si verifica una perdita (cioè morte) di embrioni pur trasferiti in utero, che valide ragioni fanno supporre superiore a quella che si verifica in caso di fecondazione naturale.
I referendum vogliono distruggere tutti i meriti della legge. Per questo la legge va difesa con convinzione: è un passo avanti ed è la linea del Piave.
Intervista al presidente del Movimento per la Vita italiano
ROMA, giovedì, 16 dicembre 2004 (ZENIT.org).- I referendum vogliono distruggere tutti i meriti della legge sulla fecondazione assistita, e per questa ragione essa “va difesa con convinzione”, ha affermato Carlo Casini, magistrato e presidente del Movimento per la Vita italiano (Mpv).
In questa intervista concessa a ZENIT, Casini ha espresso il suo parere nella querelle sollevatasi in vista dei possibili referendum sulla legge 40/2004 che regola la procreazione medicalmente assistita, rivelando “il tentativo di trasferire il dibattito dal tema della maternità-infertilità, a quello della scienza e della salute in generale”.
Il presidente dell'Mpv sostiene in particolare che l’operazione mediatica, spesso veicolo di false informazioni, messa in piedi per l’occasione, “rivela e produce una pericolosissima mentalità eugenetica, secondo la quale i malati non hanno diritto di vivere”.
Non le sembra paradossale che ci siano Paesi che pretendono il diritto di clonare essere umani?
Casini: Bisogna capire cosa sta dietro la distinzione tra clonazione terapeutica e clonazione riproduttiva. Entrambe implicano la generazione di un essere umano geneticamente identico ad un altro individuo umano, ma nella clonazione così detta terapeutica il nuovo uomo generato per clonazione viene ucciso precocemente, cioè entro i primi giorni della sua esistenza (che però possono diventane anni se l’embrione viene congelato) mentre nella clonazione così detta riproduttiva il concepito dovrebbe essere lasciato crescere fino a divenire un neonato. Ho detto “dovrebbe”, perché fortunatamente fino ad oggi pare che nessun tentativo sia riuscito.
Ad ogni modo, poiché l’embrione è un essere umano, la distinzione tra “terapeutica” e“riproduttiva” è falsa, perché anche la clonazione “terapeutica” genera cioè “riproduce” un essere umano. Perciò si potrebbe dire che eticamente è peggiore la clonazione terapeutica (che uccide precocemente un individuo umano) della clonazione riproduttiva, che almeno si propone di fare vivere il concepito.
Questa rapida spiegazione fa capire perché è così pesante a livello mondiale, e quindi anche in sede ONU, la pressione per impedire un divieto generale della clonazione embrionale. Dietro la distinzione clonazione terapeutica-clonazione riproduttiva vi è il presupposto ideologico, che non si ha sempre il coraggio di esprimere apertamente, secondo cui l’embrione nei primi giorni di vita è una “cosa” e non un “essere umano”.
Questo presupposto ideologico determina l’alleanza dell’abortismo internazionale, e degli interessi economici e professionali di gran parte della classe medica e dell’industria farmaceutica. Fortunatamente il protocollo aggiuntivo alla convenzione di bioetica di Oviedo (1997) non ha accettatola distinzione sopra detta e il Parlamento europeo per 4 volte l’ha rifiutata.
Mi risulta che una grande maggioranza dei paesi dell’ONU non è favorevole al bando di qualsiasi tipo di clonazione, ma, come è noto, nelle sedi internazionali si cerca sempre di raggiungere l’unanimità o la quasi unanimità e questo spiega il rinvio di ogni decisione al prossimo febbraio.
In merito a questa vicenda della clonazione ed anche nella discussione che riguarda la legge 40 sulla fecondazione assistita, si ha l’impressione che stia emergendo una mentalità eugenetica, le cui aberrazioni non vengono rilevate dall’opinione pubblica. Qual è il suo parere in proposito?
Casini: Va segnalato che uno dei referendum intende abolire anche il divieto di clonazione previsto dall’art. 13 della legge 40. Va anche smascherato il tentativo di trasferire il dibattito dal tema della maternità-infertilità, a quello della scienza e della salute in generale. E’ un tentativo che negli ultimi mesi si è sviluppato utilizzando anche informazioni non vere ampiamente diffuse dai mezzi di comunicazione.
L’intento è quello di coinvolgere nei referendum i molti cittadini, che non sono interessati alla questione della sterilità/infertilità, ma che, invece, sono emotivamente coinvolti quando si parla di mirabolanti (anche se false) prospettive prossime di guarigione da malattie gravi molto diffuse e fino ad oggi non curabili.
In realtà, a parte la incredibile falsità delle notizie diffuse circa gli asseriti (e ad oggi del tutto inesistenti) effetti terapeutici delle cellule staminali embrionali, l’operazione mediatica in atto rivela e produce una pericolosissima mentalità eugenetica, secondo la quale i malati non hanno diritto di vivere.
A parte l’atrocità della idea che le malattie si possono guarire sopprimendo i malati, l’estrema amplificazione del concetto di salute, fa prevedere che presto si pretenderà di scegliere anche le caratteristiche somatiche e psichiche influenzabili dal genoma.
Il principio di eguaglianza, che è corollario della dignità umana, tanto faticosamente conquistato nel corso dei secoli, è in pericolo. E’ quindi evidente che di fronte all’embrione in provetta si pone la questione globale antropologica di chi sia l’uomo e quale sia il senso della sua vita.
Conseguentemente non deve essere sottovalutata l’altezza dell’impegno che attende chiunque crede alla cultura dei diritti umani.
Sulla legge 40 e sui quasi certi referendum che la riguardano sono in atto diverse manovre. Qualcuno vorrebbe cambiare la legge per evitare i referendum, altri vorrebbero far scatenare su di essi una battaglia culturale per poi invitare la gente all’astensionismo, mentre altri ancora vorrebbero andare a votare. Qual è la posizione sua e quella del Movimento per la Vita?
Casini: La legge 40 può essere definita un grande “passo avanti” e contemporaneamente “la linea del Piave”. Come è stato ripetuto non si tratta di una norma “cattolica”, nel senso che essa non è coerente integralmente con la visione antropologica cristiana (che poi è semplicemente rafforzativa di ciò che è “umano”): basti pensare all’offuscamento della dignità della procreazione, all’accesso consentito anche alle coppie di fatto, alla rilevante perdita di embrioni anche se tutti quelli generati in vitro vengono trasferiti in utero.
Tuttavia rispetto al precedente Far West procreatico che l’ordinamento giuridico consentiva e proteggeva e che aveva il suo aspetto più drammatico nella premedita e concordata quotidiana uccisione di molti figli-embrioni, la legge è davvero uno straordinario avanzamento che toglie molto terreno al nemico della vita. Ma indietro non si può tornare, perché ciò significherebbe determinare positivamente un male grave.
Sbaglia chi guarda ai referendum (ricordiamo che sono 5) senza preoccupazione, ma non è possibile evitarli cambiando in Parlamento la legge. Infatti un referendum per il quale siano già state raccolte le 500.000 firme necessarie non viene effettuato solo se una nuova legge ne cambia il principio ispiratore e i singoli contenuti normativi andando nella direzione del referendum stesso.
Perciò dobbiamo augurarci che il Parlamento, non cambi affatto la legge a causa della “paura” del referendum. Non si tratterebbe mai di un “miglioramento”, ma al contrario di un grave peggioramento.
Certamente occorre avviare da subito, senza perdere nemmeno un istante una grande battaglia culturale per vincere l’ignoranza largamente presente anche nelle Comunità cristiane sia quanto al contenuto della legge, sia per smascherare le menzogne di chi la legge stessa denigra, sia soprattutto per ricostruire nella coscienza collettiva i valori della vita, della famiglia, della sessualità. In tal modo i referendum possono essere trasformati da “difficoltà” ad “opportunità”.
Naturalmente un discorso generale non deve evadere rispetto alla questione puntuale concretissima. La legge 40 va difesa. Sul modo di farlo bisogna prendere una decisione tutti insieme. Niente sarebbe più pernicioso che pervenire a scelte differenziate. Una sola cosa è certa: nessuno potrà votare SI nei referendum (chiedendo cioè l’abrogazione totale o parziale della legge). Su resto vedremo al momento giusto.
Ci spiegherebbe, in breve, quali sono i meriti della legge 40 e perché non è d’accordo con i referendum?
Casini: Ho scritto tre libri che segnalo a chi voglia approfondire l’argomento: I) “La legge sulla procreazione artificiale: un primo passo nella giusta direzione”. Ed. Cantagalli. 2004, pagg. 156 euro 9; II) “La legge sulla fecondazione artificiale”, introduzione. Ed. S. Paolo, pagg. 54, euro 3,5; III) “La legge 19 febraio 2004, n. 40 norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Commentario”. Ed. Giappichelli, pag. 408, euro 17 (in collaborazione con Marina Casini e M. Luisa Di Pietro). Oltre che in libreria queste pubblicazioni possono essere richieste alla Segreteria Nazionale del Movimento per la Vita, via Cattaro 28, 00198 Roma, tel. 06/8632.2060, fax 06/8632.1901, e-mail: mpv@mpv.org. Il Movimento per la Vita ha pubblicato anche uno speciale Dossier dal titolo “Una legge da difendere” (euro 0,20), che, anch’esso, può essere chiesto alla sede nazionale del Movimento come sopra indicato.
Il merito della legge è aver riconosciuto che l’uomo è sempre uomo fin dal concepimento e che perciò è sempre un soggetto titolare di diritto e, conseguentemente, di aver proibito ogni uccisione dell’embrione umano concordata e premeditata (selezione, sperimentazione, congelamento, produzione soprannumeraria, riduzione fetale) lasciando ad ogni embrione, pur generato in provetta, una qualche speranza di vita.
E’ meritorio anche aver deciso che ogni figlio ha diritto ad avere un padre e una madre veri in ogni senso, pienamente conoscibili e legati tra loro da uno stabile affetto. I limiti li ho già indicati rispondendo alle domande precedenti: a) la Procreazione Medicalmente Assistita così intesa viola comunque la dignità della procreazione; b) la legge accetta che essa sia effettuata in favore anche di una coppia di fatto; c) essendo le percentuali di successo (bambino in braccio) molto basse, si verifica una perdita (cioè morte) di embrioni pur trasferiti in utero, che valide ragioni fanno supporre superiore a quella che si verifica in caso di fecondazione naturale.
I referendum vogliono distruggere tutti i meriti della legge. Per questo la legge va difesa con convinzione: è un passo avanti ed è la linea del Piave.
giovedì, dicembre 16, 2004
Vacanze natalizie
Torno in Italia lunedì mattina e nel frattempo ho tantissimo da fare, quindi gli aggiornamenti nei prossimi giorni saranno esigui e minimali.
Sarò in patria fino al 9 gennaio.
Sarò in patria fino al 9 gennaio.
Su uomini ed embrioni.
Il 10 e 11 dicembre Massimo Adinolfi, su Azioneparallela, aveva scritto un lungo intervento, a puntate, su uomini ed embrioni.
Io gli ho risposto, nei commenti a Ricapitolo/4.
Oggi ha pubblicato le sue obiezioni e io, appena ne ho tempo, ne presenterò di mie.
Segnalo, su Avvenire, un nuovo botta e risposta tra Severino e Pessina.
Bellisimo l'esempio del panettone in potenza.
Io gli ho risposto, nei commenti a Ricapitolo/4.
Oggi ha pubblicato le sue obiezioni e io, appena ne ho tempo, ne presenterò di mie.
Segnalo, su Avvenire, un nuovo botta e risposta tra Severino e Pessina.
Bellisimo l'esempio del panettone in potenza.
martedì, dicembre 14, 2004
Citazioni
(Aggiornamento)
Da qualche giorno Google fornisce un nuovo servizio: Google Scholar, un motore di ricerca limitato alle pubblicazioni accademiche. Tra le altre cose segnala quante volte e dove un libro o un articolo vengono citati.
Allora mi sono preso la briga di vedere quali sono i filosofi italiani più citati nel mondo.
Il numero a fianco al nome si riferisce alla somma delle citazioni mentre quello tra parentesi al numero di occorrenze del nome esatto ('Umberto Eco', 'Antonio Negri', etc.)
Questa la classifica dei viventi:
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Pierdaniele Giaretta 288 (51)
7. Roberto Casati 263 (99)
8. Luciano Floridi 192 (125)
9. Massimiliano Carrara 107 (37)
10. Maurizio Viroli 81 (94)
11. Danilo Zolo 74 (77)
12. Luigi Ferraioli 62 (66)
13. Paolo Rossi 56 (374)
14. Ermanno Bencivenga 46 (28)
15. Giovanni Reale 40 (42)
16. Diego Marconi 39 (45)
17. Eugenio Garin 38 (70)
18. Vittorio Hoesle 34 (62)
19. Marcello Pera 32 (42)
20. Giuseppe O. Longo 25 (13)
21. Evandro Agazzi 22 (43)
22. Pietro Barcellona 21 (19)
23. Elio Sgreccia 21 (15)
24 Gemma Corradi Fiumara 19 (119
25. Carlo Penco 17 (45)
26. Maurizio Ferraris 17 (25)
27. Amedeo Conte 17 (10)
28. Giacomo Marramao 16 (26)
29. Augusto Ponzio 16 (24)
30. Massimo Cacciari 15 (72)
31. Stefano Rodotà 15 (48)
32. Umberto Galimberti 15 (21)
33. Mauro Dorato 13 (25)
34. Dario Antiseri 12 (17)
35. Ugo Volli 12 (13)
36. Franco Volpi 11 (32)
37. Carlo Sini 11 (13)
38. Pietro Rossi 10 (89)
39. Remo Bodei 8 (28)
40. Roberto Esposito 7 (30)
41. Eva Picardi 7 (28)
42. Emanuele Severino 7 (11)
43. Marco Buzzoni 7 (7)
44. Paolo Parrini 6 (29)
45. Aldo Gargani 6 (12)
46. Tullio Gregory 6 (9)
47. Donatella Di Cesare 6 (9)
48. Nadia Urbinati 5 (49)
49. Paolo Leonardi 5 (29)
50. Giovanni Boniolo 5 (19)
51. Massimo Ferrai 5 (17)
52. Stefano Gensini 5 (12)
53. Vincenzo Vitiello 5 (9)
54. Franca D'Agostini 5 (2)
55. Maurizio Mori 4 (26)
56. Enrico Berti 4 (25)
57. Salvatore Veca 4 (16)
58. Nicla Vassallo 4 (11)
59. Roberto Cordeschi 4 (11)
60. Salvatore Natoli 4 (7)
61. Vittorio Mathieu 4 (6)
62. Giorgio Penzo 4 (4)
Questa quella dei defunti, limitata al Novecento:
1. Antonio Gramsci 1420 (1880)
2. Norberto Bobbio 742 (594)
3. Nicola Abbagnano 114 (39)
4. Benedetto Croce 43 (403)
5. Alessandro Passerin D'Entreves 22 (9)
6. Luigi Pareyson 19 (19)
7. Ludovico Geymonat 15 (38)
8. Ernesto Grassi 12 (55)
9. Emilio Betti 11 (31)
10. Rosario Assunto 9 (9)
11. Galvano Della Volpe 8 (20)
12. Julius Evola 6 (46)
13. Cornelio Fabro 4 (8)
14. Giovanni Vailati 3 (14)
15. Guido Calogero 2 (21)
16. Cesare Luporini 2 (11)
17. Giovanni Gentile 0 (102)
Ditemi se ho dimenticato qualcuno.
I risultati si riferiscono ai primi giorni di dicembre e potrebbero essere diversi tra qualche tempo. E' chiaro che posso aver commesso qualche piccolo errore.
Di Umberto Eco, così pure di Giuseppe O. Longo, non ho conteggiato i romanzi ma solo opere teoretiche.
Non conosciamo i criteri di selezione di Google Scholar ma è evidente che privilegi le pubblicazioni in lingua inglese, sono quindi favoriti quanti insegnano all'estero ed in particolare pubblicano in inglese.
Mi piacerebbe conoscere i commenti di qualcuno del settore.
ps.
Ho inserito Massimiliano Carrara e Gemma Corradi Fiumara, che non avevo considerato.
Da qualche giorno Google fornisce un nuovo servizio: Google Scholar, un motore di ricerca limitato alle pubblicazioni accademiche. Tra le altre cose segnala quante volte e dove un libro o un articolo vengono citati.
Allora mi sono preso la briga di vedere quali sono i filosofi italiani più citati nel mondo.
Il numero a fianco al nome si riferisce alla somma delle citazioni mentre quello tra parentesi al numero di occorrenze del nome esatto ('Umberto Eco', 'Antonio Negri', etc.)
Questa la classifica dei viventi:
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Pierdaniele Giaretta 288 (51)
7. Roberto Casati 263 (99)
8. Luciano Floridi 192 (125)
9. Massimiliano Carrara 107 (37)
10. Maurizio Viroli 81 (94)
11. Danilo Zolo 74 (77)
12. Luigi Ferraioli 62 (66)
13. Paolo Rossi 56 (374)
14. Ermanno Bencivenga 46 (28)
15. Giovanni Reale 40 (42)
16. Diego Marconi 39 (45)
17. Eugenio Garin 38 (70)
18. Vittorio Hoesle 34 (62)
19. Marcello Pera 32 (42)
20. Giuseppe O. Longo 25 (13)
21. Evandro Agazzi 22 (43)
22. Pietro Barcellona 21 (19)
23. Elio Sgreccia 21 (15)
24 Gemma Corradi Fiumara 19 (119
25. Carlo Penco 17 (45)
26. Maurizio Ferraris 17 (25)
27. Amedeo Conte 17 (10)
28. Giacomo Marramao 16 (26)
29. Augusto Ponzio 16 (24)
30. Massimo Cacciari 15 (72)
31. Stefano Rodotà 15 (48)
32. Umberto Galimberti 15 (21)
33. Mauro Dorato 13 (25)
34. Dario Antiseri 12 (17)
35. Ugo Volli 12 (13)
36. Franco Volpi 11 (32)
37. Carlo Sini 11 (13)
38. Pietro Rossi 10 (89)
39. Remo Bodei 8 (28)
40. Roberto Esposito 7 (30)
41. Eva Picardi 7 (28)
42. Emanuele Severino 7 (11)
43. Marco Buzzoni 7 (7)
44. Paolo Parrini 6 (29)
45. Aldo Gargani 6 (12)
46. Tullio Gregory 6 (9)
47. Donatella Di Cesare 6 (9)
48. Nadia Urbinati 5 (49)
49. Paolo Leonardi 5 (29)
50. Giovanni Boniolo 5 (19)
51. Massimo Ferrai 5 (17)
52. Stefano Gensini 5 (12)
53. Vincenzo Vitiello 5 (9)
54. Franca D'Agostini 5 (2)
55. Maurizio Mori 4 (26)
56. Enrico Berti 4 (25)
57. Salvatore Veca 4 (16)
58. Nicla Vassallo 4 (11)
59. Roberto Cordeschi 4 (11)
60. Salvatore Natoli 4 (7)
61. Vittorio Mathieu 4 (6)
62. Giorgio Penzo 4 (4)
Questa quella dei defunti, limitata al Novecento:
1. Antonio Gramsci 1420 (1880)
2. Norberto Bobbio 742 (594)
3. Nicola Abbagnano 114 (39)
4. Benedetto Croce 43 (403)
5. Alessandro Passerin D'Entreves 22 (9)
6. Luigi Pareyson 19 (19)
7. Ludovico Geymonat 15 (38)
8. Ernesto Grassi 12 (55)
9. Emilio Betti 11 (31)
10. Rosario Assunto 9 (9)
11. Galvano Della Volpe 8 (20)
12. Julius Evola 6 (46)
13. Cornelio Fabro 4 (8)
14. Giovanni Vailati 3 (14)
15. Guido Calogero 2 (21)
16. Cesare Luporini 2 (11)
17. Giovanni Gentile 0 (102)
Ditemi se ho dimenticato qualcuno.
I risultati si riferiscono ai primi giorni di dicembre e potrebbero essere diversi tra qualche tempo. E' chiaro che posso aver commesso qualche piccolo errore.
Di Umberto Eco, così pure di Giuseppe O. Longo, non ho conteggiato i romanzi ma solo opere teoretiche.
Non conosciamo i criteri di selezione di Google Scholar ma è evidente che privilegi le pubblicazioni in lingua inglese, sono quindi favoriti quanti insegnano all'estero ed in particolare pubblicano in inglese.
Mi piacerebbe conoscere i commenti di qualcuno del settore.
ps.
Ho inserito Massimiliano Carrara e Gemma Corradi Fiumara, che non avevo considerato.
lunedì, dicembre 13, 2004
venerdì, dicembre 10, 2004
Segni d'intelligenza
Anthony Flew si è convertito!
Come annuncia la ABC 'Famous atheist now believes in God'.
Flew che ha insegnato ad Oxford, York e Toronto, è considerato nel mondo accademico di lingua inglese il più influente rappresentante dell'ateismo filosofico.
Suoi testi come God and Philosophers o New Essays in Philosophical Theology sono dei classici. Famosa la sua critica ai miracoli.
All'età di 81 anni Flew ha annunciato un radicale cambiamento delle sue posizioni.
'Tutta la mia vita è stata guidata dal principio del Socrate platonico: segui le prove, dovunque ti conducano ... Le ricerche dei biologi hanno mostrato una così incredibile complessità nell'organizzazione necessaria alla produzione della vita che è straordinariamente difficile anche pensare di costruire una teoria naturalistica dell'evoluzione del primo organismo.'
Insomma, la natura non si spiega da sola ma richiama ad un'intelligenza superiore.
Si tratta non tanto di una conversione esistenziale quanto filosofica. Oggi Flew ammette di credere in un Dio vicino a quello di Thomas Jefferson, una mente intelligente che sta dietro l'universo ma lontano dagli uomini.
'Penso ad un Dio molto diverso da quello Cristiano e lontano da quello islamico, perchè entrambi sono descritti come dei despota orientali onnipotenti, dei Saddam Husseins cosmici. Potrebbe essere una persona nel senso che ha un'intelligenza ed uno scopo, credo.'
Posizioni questi vicine a quelle dei teorici del Disegno Intelligente che, pur accettando l'evoluzione darwiniana, dubitano che questa possa spiegare l'origine dell'universo.
Speriamo che Flew campi abbastanza per rendersi conto che un Dio capace di creare l'universo è anche capace di amare la Sua creazione e di rivelarsi alla Sua creatura preferita, l'uomo.
Questo è in fondo il senso del Natale.
Buon Natale anche a te, Anthony!
ps.
Qui una lunga ma molto interessante intervista con Anthony Flew.
Sarà pubblicata sul numero di gennaio 2005 di Philosophia Cristi, la rivista della Evangelical Philosophical Society.
Come annuncia la ABC 'Famous atheist now believes in God'.
Flew che ha insegnato ad Oxford, York e Toronto, è considerato nel mondo accademico di lingua inglese il più influente rappresentante dell'ateismo filosofico.
Suoi testi come God and Philosophers o New Essays in Philosophical Theology sono dei classici. Famosa la sua critica ai miracoli.
All'età di 81 anni Flew ha annunciato un radicale cambiamento delle sue posizioni.
'Tutta la mia vita è stata guidata dal principio del Socrate platonico: segui le prove, dovunque ti conducano ... Le ricerche dei biologi hanno mostrato una così incredibile complessità nell'organizzazione necessaria alla produzione della vita che è straordinariamente difficile anche pensare di costruire una teoria naturalistica dell'evoluzione del primo organismo.'
Insomma, la natura non si spiega da sola ma richiama ad un'intelligenza superiore.
Si tratta non tanto di una conversione esistenziale quanto filosofica. Oggi Flew ammette di credere in un Dio vicino a quello di Thomas Jefferson, una mente intelligente che sta dietro l'universo ma lontano dagli uomini.
'Penso ad un Dio molto diverso da quello Cristiano e lontano da quello islamico, perchè entrambi sono descritti come dei despota orientali onnipotenti, dei Saddam Husseins cosmici. Potrebbe essere una persona nel senso che ha un'intelligenza ed uno scopo, credo.'
Posizioni questi vicine a quelle dei teorici del Disegno Intelligente che, pur accettando l'evoluzione darwiniana, dubitano che questa possa spiegare l'origine dell'universo.
Speriamo che Flew campi abbastanza per rendersi conto che un Dio capace di creare l'universo è anche capace di amare la Sua creazione e di rivelarsi alla Sua creatura preferita, l'uomo.
Questo è in fondo il senso del Natale.
Buon Natale anche a te, Anthony!
ps.
Qui una lunga ma molto interessante intervista con Anthony Flew.
Sarà pubblicata sul numero di gennaio 2005 di Philosophia Cristi, la rivista della Evangelical Philosophical Society.
giovedì, dicembre 09, 2004
American Idiot
Non ho saputo resistere ed alla fine l'ho comprato.
Più l'ascolto e più ne sono convinto, American Idiot è un piccolo capolavoro.
Un concept album, una punk rock opera come non se ne sentivano da anni, con due suite di 9 minuti l'una indimenticabili: Jesus of Suburbia e Homecoming.
Leggo solo ora le recensioni che l'accompagnano e confermano i miei giudizi.
Bello, forse anche meglio di Dookie.
Intanto l'altro ieri i Green Day sono stati nominati per sette premmy Grammy: Album of the Year, Record of the Year, Producer of the year - Rob Cavallo, Best Rock Performance By A Duo Or Group With Vocal, Best Rock Song, Best Rock Album e Best Short Form Music Vid.
Il 31 gennaio saranno al The Point. Speriamo ...
Più l'ascolto e più ne sono convinto, American Idiot è un piccolo capolavoro.
Un concept album, una punk rock opera come non se ne sentivano da anni, con due suite di 9 minuti l'una indimenticabili: Jesus of Suburbia e Homecoming.
Leggo solo ora le recensioni che l'accompagnano e confermano i miei giudizi.
Bello, forse anche meglio di Dookie.
Intanto l'altro ieri i Green Day sono stati nominati per sette premmy Grammy: Album of the Year, Record of the Year, Producer of the year - Rob Cavallo, Best Rock Performance By A Duo Or Group With Vocal, Best Rock Song, Best Rock Album e Best Short Form Music Vid.
Il 31 gennaio saranno al The Point. Speriamo ...
La nonviolenza è in cammino
Riprendono il 9 dicembre le pubblicazioni del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino"
Per riceverlo occorre iscriversi alla mailing list
*
Dopo una interruzione di quasi un anno, giovedi' 9 dicembre riprendono le pubblicazioni del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" curato dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo.
Esso verra' diffuso attraverso una mailing list automatizzata. Coloro che vorranno ricevere il notiziario dovranno "abbonarsi" (gratuitamente, e' ovvio) alla mailing list.
Per iscriversi alla mailing list sono possibili due diverse procedure: una tramite e-mail, l'altra tramite web: ai fini pratici esse sono equivalenti, scelga il lettore di quale preferisce servirsi:
a) scrivere a nonviolenza-request@peacelink.it mettendo come soggetto "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione);
oppure
b) andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html , scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
Naturalmente le lettere, gli articoli e i materiali indirizzati alla redazione vanno inviati alla solita casella di posta elettronica:
nbawac@tin.it
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 8 dicembre 2004
Mittente: Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
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mercoledì, dicembre 08, 2004
Non solo carezze per Pechino
Non solo carezze per Pechino
di Bernardo Cervellera
Roma (AsiaNews) - Un vescovo cattolico cinese mi ha detto una volta: La Cina ha un governo pieno di arroganza. Se vuoi farti rispettare devi trattarli a pesci in faccia. Non appena li accarezzi, è come mostrarsi debole con loro, e non ti considerano.
È un vero peccato che questo consiglio non sia giunto alle orecchie della delegazione italiana in visita a Pechino, ricca della presenza sapiente del presidente Carlo Azelio Ciampi e del ministro degli Esteri Gianfranco Fini.
Con molta umiltà mi sembra di dover dire che questa visita stia solo accarezzando il gigante cinese e proprio negli aspetti e nei modi che alla Cina piacciono di più. E questo può non essere sbagliato, ma è parziale.
La visita del presidente Ciampi al tempio di Confucio è un "must" di tutte le visite ufficiali e non ufficiali. Ma perché non aggiungervi la visita al tempio dei Lama (a soli 200 metri da quello di Confucio) e una visita domenica a una chiesa cattolica a Pechino? Visitare solo il tempio di Confucio è, agli occhi dei cinesi, un appoggio senza condizioni alla politica del governo che esalta la figura e l'insegnamento dell'antico filosofo per un preciso progetto politico: frenare il cosiddetto "inquinamento spirituale" che viene dall'occidente (leggi: cristianesimo) e esaltare i nobili valori dell'obbedienza e del paternalismo, soprattutto il rispetto e l'ossequio all'autorità costituita. L'ex presidente Jiang Zemin e la leadership attuale continuano a investire miliardi di dollari per sostenere la rinascita del confucianesimo. Da un governo esplicitamente ateo, (che ha appena lanciato nuove direttive segrete contro le religioni) tutto questo impegno per una religione (o una moralità religiosa) è perlomeno sospetto. Il motivo di tanto zelo sta in questo: solo il confucianesimo giustifica l'autorità assoluta dell'imperatore (un tempo) e del potere politico (oggi); impregnare la società di confucianesimo significa farla retrocedere rispetto alla scoperta dei diritti dei lavoratori, delle petizioni contro le ingiustizie e contro le corruzioni ad opera proprio dei leader di Pechino.
Una visita al tempio dei Lama avrebbe dato un piccolo messaggio di solidarietà al mondo tibetano, oppresso come non mai; la partecipazione alla messa della Bei Tang o della Nan Tang avrebbe fatto comprendere ai capi cinesi che gli italiani sono attenti a quanto avviene sulla libertà religiosa verso i cattolici e i cristiani.
Anche le carezze del mondo imprenditoriale sembrano fuori luogo e forse improduttive. Nella misura in cui l'Italia si offre come partner per investimenti e richiesta di spazi di mercato, non si differenzia dalle decine di migliaia di imprenditori che ogni giorno arrivano nel Paese di Mezzo. La Cina più ancora che di nuovi investitori ha bisogno di qualcuno che l'aiuti a coniugare lo sviluppo economico e il profitto con la giustizia sociale, ad affrontare l'ira delle masse di disoccupati o di poveri, di migranti e di minatori (centinaia di milioni) che non ricevono nulla dall'incremento del Prodotto interno lordo. Offrire alla Cina anche gli strumenti per costruire un modello di sviluppo equilibrato ed etico avrebbe forse avuto più successo, visto che se c'è una cosa che il governo di Pechino teme è proprio la rivolta sociale. Ma l'occidente, con la sua voglia di investire e sfruttare manodopera a basso costo contribuisce ad acuirla
E infine l'embargo sulla vendita delle armi della UE alla Cina. Questo embargo vige dai tempi di Tiananmen, a ricordo del massacro compiuto dall'esercito cinese contro il suo popolo. Chirac e Prodi hanno fatto di tutto per levarlo. Ora ci si mette anche l'on. Fini. M cosa ci guadagnerà la Cina? Quando Chirac, in ottobre, ha fatto la proposta di cancellare l'embargo, Human Rights in China ha scritto che "il popolo cinese si vergogna di Chirac" perché vuole togliere l'embargo senza garanzie sui diritti umani verso il popolo cinese. Ora i cinesi si vergogneranno anche degli italiani?
Secondo alcune personalità al seguito della delegazione italiana, la proposta sulla fine dell'embargo è l'ultima carta che l'Italia ha cercato di giocare per "accarezzare" la Cina e ricevere appoggio in sede di riforma del Consiglio di sicurezza Onu Ma come suggerisce il vescovo cinese, ad accarezzare troppo non si riceve nulla. Forse l'Italia sarebbe più rispettata se ricordasse alla Cina che una vera grande nazione si vede dal modo in cui rispetta diritti umani e libertà religiosa.
di Bernardo Cervellera
Roma (AsiaNews) - Un vescovo cattolico cinese mi ha detto una volta: La Cina ha un governo pieno di arroganza. Se vuoi farti rispettare devi trattarli a pesci in faccia. Non appena li accarezzi, è come mostrarsi debole con loro, e non ti considerano.
È un vero peccato che questo consiglio non sia giunto alle orecchie della delegazione italiana in visita a Pechino, ricca della presenza sapiente del presidente Carlo Azelio Ciampi e del ministro degli Esteri Gianfranco Fini.
Con molta umiltà mi sembra di dover dire che questa visita stia solo accarezzando il gigante cinese e proprio negli aspetti e nei modi che alla Cina piacciono di più. E questo può non essere sbagliato, ma è parziale.
La visita del presidente Ciampi al tempio di Confucio è un "must" di tutte le visite ufficiali e non ufficiali. Ma perché non aggiungervi la visita al tempio dei Lama (a soli 200 metri da quello di Confucio) e una visita domenica a una chiesa cattolica a Pechino? Visitare solo il tempio di Confucio è, agli occhi dei cinesi, un appoggio senza condizioni alla politica del governo che esalta la figura e l'insegnamento dell'antico filosofo per un preciso progetto politico: frenare il cosiddetto "inquinamento spirituale" che viene dall'occidente (leggi: cristianesimo) e esaltare i nobili valori dell'obbedienza e del paternalismo, soprattutto il rispetto e l'ossequio all'autorità costituita. L'ex presidente Jiang Zemin e la leadership attuale continuano a investire miliardi di dollari per sostenere la rinascita del confucianesimo. Da un governo esplicitamente ateo, (che ha appena lanciato nuove direttive segrete contro le religioni) tutto questo impegno per una religione (o una moralità religiosa) è perlomeno sospetto. Il motivo di tanto zelo sta in questo: solo il confucianesimo giustifica l'autorità assoluta dell'imperatore (un tempo) e del potere politico (oggi); impregnare la società di confucianesimo significa farla retrocedere rispetto alla scoperta dei diritti dei lavoratori, delle petizioni contro le ingiustizie e contro le corruzioni ad opera proprio dei leader di Pechino.
Una visita al tempio dei Lama avrebbe dato un piccolo messaggio di solidarietà al mondo tibetano, oppresso come non mai; la partecipazione alla messa della Bei Tang o della Nan Tang avrebbe fatto comprendere ai capi cinesi che gli italiani sono attenti a quanto avviene sulla libertà religiosa verso i cattolici e i cristiani.
Anche le carezze del mondo imprenditoriale sembrano fuori luogo e forse improduttive. Nella misura in cui l'Italia si offre come partner per investimenti e richiesta di spazi di mercato, non si differenzia dalle decine di migliaia di imprenditori che ogni giorno arrivano nel Paese di Mezzo. La Cina più ancora che di nuovi investitori ha bisogno di qualcuno che l'aiuti a coniugare lo sviluppo economico e il profitto con la giustizia sociale, ad affrontare l'ira delle masse di disoccupati o di poveri, di migranti e di minatori (centinaia di milioni) che non ricevono nulla dall'incremento del Prodotto interno lordo. Offrire alla Cina anche gli strumenti per costruire un modello di sviluppo equilibrato ed etico avrebbe forse avuto più successo, visto che se c'è una cosa che il governo di Pechino teme è proprio la rivolta sociale. Ma l'occidente, con la sua voglia di investire e sfruttare manodopera a basso costo contribuisce ad acuirla
E infine l'embargo sulla vendita delle armi della UE alla Cina. Questo embargo vige dai tempi di Tiananmen, a ricordo del massacro compiuto dall'esercito cinese contro il suo popolo. Chirac e Prodi hanno fatto di tutto per levarlo. Ora ci si mette anche l'on. Fini. M cosa ci guadagnerà la Cina? Quando Chirac, in ottobre, ha fatto la proposta di cancellare l'embargo, Human Rights in China ha scritto che "il popolo cinese si vergogna di Chirac" perché vuole togliere l'embargo senza garanzie sui diritti umani verso il popolo cinese. Ora i cinesi si vergogneranno anche degli italiani?
Secondo alcune personalità al seguito della delegazione italiana, la proposta sulla fine dell'embargo è l'ultima carta che l'Italia ha cercato di giocare per "accarezzare" la Cina e ricevere appoggio in sede di riforma del Consiglio di sicurezza Onu Ma come suggerisce il vescovo cinese, ad accarezzare troppo non si riceve nulla. Forse l'Italia sarebbe più rispettata se ricordasse alla Cina che una vera grande nazione si vede dal modo in cui rispetta diritti umani e libertà religiosa.
Her saving grace
Oggi è la solennità dell'Immacolata Concezione ma si festeggiano anche i 150 anni dalla proclamazione di questo dogma da parte del beato Pio IX.
Un bel sunto della storia e del significato di questo dogma si trova, in inglese, su Godspy.
Io festeggerò stasera presso la University Church a St. Stephen's Green. Celebreremo anche i 150 anni dalla fondazione della Catholic University of Ireland, che successivamente è diventato University College Dublin, la mia università.
Un bel sunto della storia e del significato di questo dogma si trova, in inglese, su Godspy.
Io festeggerò stasera presso la University Church a St. Stephen's Green. Celebreremo anche i 150 anni dalla fondazione della Catholic University of Ireland, che successivamente è diventato University College Dublin, la mia università.
martedì, dicembre 07, 2004
Philosophy and Wine: Science and Subjectivity
Se non fossi astemio, venerdì quasi quasi me ne andrei a Londra; c'è una conferenza su Philosophy and Wine: Science and Subjectivity.
Sono sicuro che il buon Chesterton non sarebbe mancato.
Sono sicuro che il buon Chesterton non sarebbe mancato.
Left2right
Il miglior modo per battere il proprio avversario politico è imparare dalle sue critiche e persuadere i suoi stessi elettori a partire dai loro valori.
Da questa semplice idea, dopo le elezioni presidenziali di novembre, è nato Left2right un blog collettivo che coinvolge alcuni tra i migliori intellettuali americani di sinistra (Rorty, Dworkin).
Un sincero e appassionato esame di coscienza.
Da questa semplice idea, dopo le elezioni presidenziali di novembre, è nato Left2right un blog collettivo che coinvolge alcuni tra i migliori intellettuali americani di sinistra (Rorty, Dworkin).
Un sincero e appassionato esame di coscienza.
lunedì, dicembre 06, 2004
Stoppt Patente auf Leben
Foto dalla manifestazione del 3 dicembre contro le sperimentazioni su embrioni umani, davanti al Parlamento tedesco.
Ad organizzarla non erano i fondamentalisti evangelici americani. No, era Greenpeace.
Non c'è più religione!
Hanzi Smatter
Avete un tatuaggio o una maglietta con ideogrammi cinesi e non sapete cosa significano?
Ora potete chiedere aiuto a questo blog.
I don't care if you don't care
Dopo attenta valutazione, confermo il mio giudizio negativo sull'ultimo degli U2.
Niente di nuovo e niente di veramente emozionante.
Devo ancora considerare i testi; secondo Godspy "lyrically, Atomic Bomb seems the most conspicuously Christian record U2 has released since October". Sarà, ma dal punto di vista strettamente musicale non mi convince proprio.
E pensare che proprio ieri sera eravano in macchina dalle parti di Pearse Station, dietro i Windmill Studios, quando è partita I will follow. Da brividi. Altri tempi.
Sempre per rimanere sul mainstream, il nuovo degli Green Day merita, merita abbondantemente.
(A parte il singolo, che è veramente da idioti.)
Per chi invece ama la nicchia, consiglio Open all night di The Smooth Operator (Rock old school, ma proprio di nicchia).
I'm the son of rage and love,
The Jesus of suburbia,
From the bible of "none of the above",
On a steady diet of soda pop and ritalin,
No one ever died for my sins in hell,
As far as I can tell,
At least the ones I got away with
But there's nothing wrong with me,
This is how I'm supposed to be,
In a land of make believe,
That don't believe in me
Get my television fix,
Sitting on my crucifix,
The living room in my private womb,
While the Mom's and Brad's are away,
To fall in love and fall in debt,
To alcohol and cigarettes and Mary Jane,
To keep me insane and doing someone else's cocaine
Niente di nuovo e niente di veramente emozionante.
Devo ancora considerare i testi; secondo Godspy "lyrically, Atomic Bomb seems the most conspicuously Christian record U2 has released since October". Sarà, ma dal punto di vista strettamente musicale non mi convince proprio.
E pensare che proprio ieri sera eravano in macchina dalle parti di Pearse Station, dietro i Windmill Studios, quando è partita I will follow. Da brividi. Altri tempi.
Sempre per rimanere sul mainstream, il nuovo degli Green Day merita, merita abbondantemente.
(A parte il singolo, che è veramente da idioti.)
Per chi invece ama la nicchia, consiglio Open all night di The Smooth Operator (Rock old school, ma proprio di nicchia).
I'm the son of rage and love,
The Jesus of suburbia,
From the bible of "none of the above",
On a steady diet of soda pop and ritalin,
No one ever died for my sins in hell,
As far as I can tell,
At least the ones I got away with
But there's nothing wrong with me,
This is how I'm supposed to be,
In a land of make believe,
That don't believe in me
Get my television fix,
Sitting on my crucifix,
The living room in my private womb,
While the Mom's and Brad's are away,
To fall in love and fall in debt,
To alcohol and cigarettes and Mary Jane,
To keep me insane and doing someone else's cocaine
sabato, dicembre 04, 2004
Classifica aggiornata
Classifica aggiornata.
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Pierdaniele Giaretta 288 (51)
7. Roberto Casati 263 (99)
8. Luciano Floridi 192 (125)
9. Maurizio Viroli 81 (94)
10. Luigi Ferraioli 62 (66)
11. Ermanno Bencivenga 46 (28)
12. Giovanni Reale 40 (42)
13. Diego Marconi 39 (45)
14. Eugenio Garin 38 (70)
15. Vittorio Hoesle 34 (62)
16. Marcello Pera 32 (42)
17. Evandro Agazzi 22 (43)
18. Pietro Barcellona 21 (19)
19. Carlo Penco 17 (45)
20. Maurizio Ferraris 17 (25)
21. Giacomo Marramao 16 (26)
22. Augusto Ponzio 16 (24)
23. Massimo Cacciari 15 (72)
24. Umberto Galimberti 15 (21)
25. Mauro Dorato 13 (25)
26. Dario Antiseri 12 (17)
27. Ugo Volli 12 (13)
28. Franco Volpi 11 (32)
29. Carlo Sini 11 (13)
30. Remo Bodei 8 (28)
31. Roberto Esposito 7 (30)
32. Eva Picardi 7 (28)
33. Emanuele Severino 7 (11)
34. Marco Buzzoni 7 (7)
35. Aldo Gargani 6 (12)
36. Tullio Gregory 6 (9)
37. Donatella Di Cesare 6 (9)
38. Paolo Leonardi 5 (29)
39. Giovanni Boniolo 5 (19)
40. Stefano Gensini 5 (12)
41. Vincenzo Vitiello 5 (9)
42. Franca D'Agostini 5 (2)
43. Maurizio Mori 4 (26)
44. Enrico Berti 4 (25)
45. Salvatore Veca 4 (16)
46. Nicla Vassallo 4 (11)
47. Salvatore Natoli 4 (7)
48. Giorgio Penzo 4 (4)
Qualche commento su Azioneparallela.
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Pierdaniele Giaretta 288 (51)
7. Roberto Casati 263 (99)
8. Luciano Floridi 192 (125)
9. Maurizio Viroli 81 (94)
10. Luigi Ferraioli 62 (66)
11. Ermanno Bencivenga 46 (28)
12. Giovanni Reale 40 (42)
13. Diego Marconi 39 (45)
14. Eugenio Garin 38 (70)
15. Vittorio Hoesle 34 (62)
16. Marcello Pera 32 (42)
17. Evandro Agazzi 22 (43)
18. Pietro Barcellona 21 (19)
19. Carlo Penco 17 (45)
20. Maurizio Ferraris 17 (25)
21. Giacomo Marramao 16 (26)
22. Augusto Ponzio 16 (24)
23. Massimo Cacciari 15 (72)
24. Umberto Galimberti 15 (21)
25. Mauro Dorato 13 (25)
26. Dario Antiseri 12 (17)
27. Ugo Volli 12 (13)
28. Franco Volpi 11 (32)
29. Carlo Sini 11 (13)
30. Remo Bodei 8 (28)
31. Roberto Esposito 7 (30)
32. Eva Picardi 7 (28)
33. Emanuele Severino 7 (11)
34. Marco Buzzoni 7 (7)
35. Aldo Gargani 6 (12)
36. Tullio Gregory 6 (9)
37. Donatella Di Cesare 6 (9)
38. Paolo Leonardi 5 (29)
39. Giovanni Boniolo 5 (19)
40. Stefano Gensini 5 (12)
41. Vincenzo Vitiello 5 (9)
42. Franca D'Agostini 5 (2)
43. Maurizio Mori 4 (26)
44. Enrico Berti 4 (25)
45. Salvatore Veca 4 (16)
46. Nicla Vassallo 4 (11)
47. Salvatore Natoli 4 (7)
48. Giorgio Penzo 4 (4)
Qualche commento su Azioneparallela.
Brushing
Doter vuole chiudere e cancellare tutto. Temo che lo farà.
La morte di un blog porta immensa tristezza.
Lei non lo sa ma tra le tante cose che ha scritto ce n'è una che mi ha cambiato un po' la vita e ogni volta che la rileggo mi commuovo:
toothbrush. (i was just thinking, merely thinking).
ieri ho guardato i miei spazzolini e mi sono accorta che dei sei spazzolini che ho accanto al lavandino solo uno appartiene a una persona che vive a napoli. il mio. quattro dei cinque restanti sono tutt'ora in attesa che i rispettivi proprietari facciano ritorno in patria. un po' come sono in attesa io. il quinto proprietario(/a) è attualmente domiciliato(/a) a roma. in suolo italico ci siamo rimaste solo io e tu, pina. gli altri hanno preso un aereo (o un autobus), ci hanno fatto ciaociao con la manina, e sono andati a cercare familiarità in un posto lontano da qui. europa o america che sia. e noi? io guardo i miei spazzolini. io il mio spazzolino non l'ho mai lasciato a casa di nessuno. intenzionalmente, intendo. non lo so com'è tornare da qualcuno e trovare custodito tra gli oggetti più familiari un proprio dettaglio. ma so cosa si prova a custodire. e aspettare.
vogliono farmi partire. vogliono farmi laureare a luglio e farmi partire subito dopo per new york, il professore e l'assistente che mi segue per la tesi.
in qualsiasi altro momento della mia vita avrei detto di sì.
Ecco, leggerti è come tornare in patria e il tuo blog è lo spazzolino che hai lasciato nelle case dei tuoi lettori. Quando ti incontrano trovi in loro custodito un dettaglio di te.
La morte di un blog porta immensa tristezza.
Lei non lo sa ma tra le tante cose che ha scritto ce n'è una che mi ha cambiato un po' la vita e ogni volta che la rileggo mi commuovo:
toothbrush. (i was just thinking, merely thinking).
ieri ho guardato i miei spazzolini e mi sono accorta che dei sei spazzolini che ho accanto al lavandino solo uno appartiene a una persona che vive a napoli. il mio. quattro dei cinque restanti sono tutt'ora in attesa che i rispettivi proprietari facciano ritorno in patria. un po' come sono in attesa io. il quinto proprietario(/a) è attualmente domiciliato(/a) a roma. in suolo italico ci siamo rimaste solo io e tu, pina. gli altri hanno preso un aereo (o un autobus), ci hanno fatto ciaociao con la manina, e sono andati a cercare familiarità in un posto lontano da qui. europa o america che sia. e noi? io guardo i miei spazzolini. io il mio spazzolino non l'ho mai lasciato a casa di nessuno. intenzionalmente, intendo. non lo so com'è tornare da qualcuno e trovare custodito tra gli oggetti più familiari un proprio dettaglio. ma so cosa si prova a custodire. e aspettare.
vogliono farmi partire. vogliono farmi laureare a luglio e farmi partire subito dopo per new york, il professore e l'assistente che mi segue per la tesi.
in qualsiasi altro momento della mia vita avrei detto di sì.
Ecco, leggerti è come tornare in patria e il tuo blog è lo spazzolino che hai lasciato nelle case dei tuoi lettori. Quando ti incontrano trovi in loro custodito un dettaglio di te.
Dove? Quando?
Ieri, per almeno 20 secondi, non riuscivo a ricordarmi quanti ho. Anche questo è segno del tempo che passa.
venerdì, dicembre 03, 2004
Buonanima
Questa la classifica dei filosofi italiani del Novecento defunti più citati.
Quella dei viventi la sto rivedendo, devo aggiungere una diecina di nomi.
1. Antonio Gramsci 1420 (1880)
2. Norberto Bobbio 742 (594)
3. Nicola Abbagnano 114 (39)
4. Benedetto Croce 43 (403)
5. Alessandro Passerin D'Entreves 22 (9)
6. Luigi Pareyson 19 (19)
7. Ludovico Geymonat 15 (38)
8. Ernesto Grassi 12 (55)
9. Emilio Betti 11 (31)
10. Rosario Assunto 9 (9)
11. Galvano Della Volpe 8 (20)
12. Julius Evola 6 (46)
13. Cornelio Fabro 4 (8)
14. Giovanni Vailati 3 (14)
15. Guido Calogero 2 (21)
16. Cesare Luporini 2 (11)
17. Giovanni Gentile 0 (102)
Quella dei viventi la sto rivedendo, devo aggiungere una diecina di nomi.
1. Antonio Gramsci 1420 (1880)
2. Norberto Bobbio 742 (594)
3. Nicola Abbagnano 114 (39)
4. Benedetto Croce 43 (403)
5. Alessandro Passerin D'Entreves 22 (9)
6. Luigi Pareyson 19 (19)
7. Ludovico Geymonat 15 (38)
8. Ernesto Grassi 12 (55)
9. Emilio Betti 11 (31)
10. Rosario Assunto 9 (9)
11. Galvano Della Volpe 8 (20)
12. Julius Evola 6 (46)
13. Cornelio Fabro 4 (8)
14. Giovanni Vailati 3 (14)
15. Guido Calogero 2 (21)
16. Cesare Luporini 2 (11)
17. Giovanni Gentile 0 (102)
giovedì, dicembre 02, 2004
Quali sono i filosofi italiani famosi all'estero?
Da qualche giorno Google fornisce un nuovo servizio: Google Scholar, un motore di ricerca limitato alle pubblicazioni accademiche. Tra le altre cose segnala quante volte e dove un libro o un articolo vengono citati.
Allora mi sono preso la briga di vedere quali sono i filosofi italiani più citati nel mondo. Il numero a fianco al nome si riferisce alla somma delle citazioni mentre quello tra parentesi al numero di occorrenze del nome esatto ('Umberto Eco', 'Antonio Negri', etc.)
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Roberto Casati 263 (99)
7. Luciano Floridi 192 (125)
8. Maurizio Viroli 81 (94)
9. Ermanno Bencivenga 46 (28)
10. Giovanni Reale 40 (42)
11. Diego Marconi 39 (45)
12. Eugenio Garin 38 (70)
13. Vittorio Hoesle 34 (62)
14. Marcello Pera 32 (42)
15. Evandro Agazzi 22 (43)
16. Pietro Barcellona 21 (19)
17. Carlo Penco 17 (45)
18. Maurizio Ferraris 17 (25)
19. Giacomo Marramao 16 (26)
20. Augusto Ponzio 16 (24)
21. Massimo Cacciari 15 (72)
22. Umberto Galimberti 15 (21)
23. Dario Antiseri 12 (17)
24. Ugo Volli 12 (13)
25. Franco Volpi 11 (32)
26. Carlo Sini 11 (13)
27. Remo Bodei 8 (28)
28. Roberto Esposito 7 (30)
29. Emanuele Severino 7 (11)
30. Tullio Gregory 6 (9)
31. Paolo Leonardi 5 (29)
32. Vincenzo Vitiello 5 (9)
33. Franca D'Agostini 5 (2)
34. Maurizio Mori 4 (26)
35. Enrico Berti 4 (25)
36. Salvatore Natoli 4 (7)
Ditemi se ho dimenticato qualcuno.
I risultati si riferiscono alla giornata di ieri, 1 dicembre, e potrebbero essere diversi tra qualche tempo. E' chiaro che posso aver commesso qualche piccolo errore.
Di Umberto Eco non ho conteggiato i romanzi ma solo opere teoretiche.
Google Scholar, come Google d'altronde, privilegia le pubblicazioni in lingua inglese, sono quindi evidentemente favoriti quelli che insegnano all'estero ed in particolare pubblicano in inglese.
Come volevasi dimostrare, alcuni mostri sacri nostrani, Cacciari, Severino, Vitiello, non se li fila quasi nessuno; la somma di tutte le citazioni delle loro opere è inferiore a quella di Marcello Pera da solo, che da noi non gode di particolare fama. Nessun lavoro di Buttiglione risulta citato.
Solo un risultato mi ha sorpreso, quello di Enrico Berti, che dalle mie parti (in Irlanda) è conosciuto e apprezzato. Ultimamente l'ho trovato citato spesso su libri in inglese ma la mia percezione è probabilmente falsata dal fatto che sto leggendo molta letteratura su Aristotele.
Mi sono limitato ai viventi, a presto anche la classifica dei filosofi italiani passati a miglior vita.
ps.
Ho aggiunto Natoli, Bodei e Galimberti. Grazie a (onq) per la segnalazione.
Allora mi sono preso la briga di vedere quali sono i filosofi italiani più citati nel mondo. Il numero a fianco al nome si riferisce alla somma delle citazioni mentre quello tra parentesi al numero di occorrenze del nome esatto ('Umberto Eco', 'Antonio Negri', etc.)
1. Umberto Eco 1957 (2250)
2. Antonio Negri 629 (659)
3. Achille Varzi 616 (80)
4. Gianni Vattimo 308 (328)
5. Giorgio Agamben 273 (346)
6. Roberto Casati 263 (99)
7. Luciano Floridi 192 (125)
8. Maurizio Viroli 81 (94)
9. Ermanno Bencivenga 46 (28)
10. Giovanni Reale 40 (42)
11. Diego Marconi 39 (45)
12. Eugenio Garin 38 (70)
13. Vittorio Hoesle 34 (62)
14. Marcello Pera 32 (42)
15. Evandro Agazzi 22 (43)
16. Pietro Barcellona 21 (19)
17. Carlo Penco 17 (45)
18. Maurizio Ferraris 17 (25)
19. Giacomo Marramao 16 (26)
20. Augusto Ponzio 16 (24)
21. Massimo Cacciari 15 (72)
22. Umberto Galimberti 15 (21)
23. Dario Antiseri 12 (17)
24. Ugo Volli 12 (13)
25. Franco Volpi 11 (32)
26. Carlo Sini 11 (13)
27. Remo Bodei 8 (28)
28. Roberto Esposito 7 (30)
29. Emanuele Severino 7 (11)
30. Tullio Gregory 6 (9)
31. Paolo Leonardi 5 (29)
32. Vincenzo Vitiello 5 (9)
33. Franca D'Agostini 5 (2)
34. Maurizio Mori 4 (26)
35. Enrico Berti 4 (25)
36. Salvatore Natoli 4 (7)
Ditemi se ho dimenticato qualcuno.
I risultati si riferiscono alla giornata di ieri, 1 dicembre, e potrebbero essere diversi tra qualche tempo. E' chiaro che posso aver commesso qualche piccolo errore.
Di Umberto Eco non ho conteggiato i romanzi ma solo opere teoretiche.
Google Scholar, come Google d'altronde, privilegia le pubblicazioni in lingua inglese, sono quindi evidentemente favoriti quelli che insegnano all'estero ed in particolare pubblicano in inglese.
Come volevasi dimostrare, alcuni mostri sacri nostrani, Cacciari, Severino, Vitiello, non se li fila quasi nessuno; la somma di tutte le citazioni delle loro opere è inferiore a quella di Marcello Pera da solo, che da noi non gode di particolare fama. Nessun lavoro di Buttiglione risulta citato.
Solo un risultato mi ha sorpreso, quello di Enrico Berti, che dalle mie parti (in Irlanda) è conosciuto e apprezzato. Ultimamente l'ho trovato citato spesso su libri in inglese ma la mia percezione è probabilmente falsata dal fatto che sto leggendo molta letteratura su Aristotele.
Mi sono limitato ai viventi, a presto anche la classifica dei filosofi italiani passati a miglior vita.
ps.
Ho aggiunto Natoli, Bodei e Galimberti. Grazie a (onq) per la segnalazione.
Religion, politics and Italy
Grazie a Mirror of Justice, l'articolo apparso sul New York Times di ieri su Religione e politica in Italia.
Nulla di straordinario ma esprime bene come siam visti dall'altra parte dell'oceano.
Non poteva mancare il riferimento a Buttiglione, che passa per un "almost liberal", quasi liberale!
Da notare anche i commenti sulla televisione: il 27% dei personaggi sono preti o suore, e per il resto, la maggior parte sono donne quasi nude. ahahah
Questa osservazione la sento spesso da queste parti. Noi italiani non ce ne accorgiamo ma la rappresentazione della donna sulle nostre TV è a dir poco umiliante.
Nulla di straordinario ma esprime bene come siam visti dall'altra parte dell'oceano.
Non poteva mancare il riferimento a Buttiglione, che passa per un "almost liberal", quasi liberale!
Da notare anche i commenti sulla televisione: il 27% dei personaggi sono preti o suore, e per il resto, la maggior parte sono donne quasi nude. ahahah
Questa osservazione la sento spesso da queste parti. Noi italiani non ce ne accorgiamo ma la rappresentazione della donna sulle nostre TV è a dir poco umiliante.
Agnes, Raimond ed io
Nei giorni scorsi si sono svolte nel mio dipartimento le Agnes Cumming Lectures.
Il relatore invitato quest'anno era Raimond Gaita, del King's College London e Catholic University of Australia. Un nome noto, certo, ma all'altezza di quanti lo hanno preceduto negli anni passati: Searle, Derrida, Ricoeur, Dennett, MacIntyre, Chomsky.
Non ha scritto molto ma in libreria il suo ultimo lavoro, The Philosopher's Dog, pare venda bene.
Di lui ho letto solo Good and Evil: an absolute conception, un ottimo libro di etica, molto ben argomentato, profondo.
Ha fatto due lezioni pubbliche, su tortura e patriottismo, e un seminario con i postgraduate. Mi ha un po' deluso ma c'è da dire che non sono riuscito a cogliere tutto il suo pensiero a causa del forte accento australiano.
Quanto a me, la traduzione di Newman sta per uscire, forse prima di Natale.
L'articolo su Newman e Wittgenstein apparirà sul primo numero del 2005 di New Blackfriars, ho corretto la bozza definitiva.
Il 12 novembre ho presentato il mio mio intervento alla conferenza dello IALIC. E' stato ben accolto, ora spero venga pubblicato su Language and Intercultural Communication.
Il mio semestre heideggeriano è quasi finito, il mio alunno medico mi ha detto che da gennaio dovrà leggere Voegelin e San Tommaso, due autori che conosco anche se non bene.
Probabilmente mi concentrerò sull'Aquinate, anche se quest'anno Brendan Purcell fa un corso proprio su Voegelin.
L'unico corso che ho intenzione di seguire è quello di Richard 'Miami Vice' Kearney su Fenomenologia e Religione.
Il relatore invitato quest'anno era Raimond Gaita, del King's College London e Catholic University of Australia. Un nome noto, certo, ma all'altezza di quanti lo hanno preceduto negli anni passati: Searle, Derrida, Ricoeur, Dennett, MacIntyre, Chomsky.
Non ha scritto molto ma in libreria il suo ultimo lavoro, The Philosopher's Dog, pare venda bene.
Di lui ho letto solo Good and Evil: an absolute conception, un ottimo libro di etica, molto ben argomentato, profondo.
Ha fatto due lezioni pubbliche, su tortura e patriottismo, e un seminario con i postgraduate. Mi ha un po' deluso ma c'è da dire che non sono riuscito a cogliere tutto il suo pensiero a causa del forte accento australiano.
Quanto a me, la traduzione di Newman sta per uscire, forse prima di Natale.
L'articolo su Newman e Wittgenstein apparirà sul primo numero del 2005 di New Blackfriars, ho corretto la bozza definitiva.
Il 12 novembre ho presentato il mio mio intervento alla conferenza dello IALIC. E' stato ben accolto, ora spero venga pubblicato su Language and Intercultural Communication.
Il mio semestre heideggeriano è quasi finito, il mio alunno medico mi ha detto che da gennaio dovrà leggere Voegelin e San Tommaso, due autori che conosco anche se non bene.
Probabilmente mi concentrerò sull'Aquinate, anche se quest'anno Brendan Purcell fa un corso proprio su Voegelin.
L'unico corso che ho intenzione di seguire è quello di Richard 'Miami Vice' Kearney su Fenomenologia e Religione.
mercoledì, dicembre 01, 2004
Severinate
Leggevo stamattina su Legnostorto un articolo , non firmato, su l'embrione e il paradosso di Aristotele. Confuso, molto confuso. Pensavo: se fosse un mio alunno questo qui non supererebbe l'esame di logica.
Alla fine mi e' sembrato di riconoscere lo stile. Sara' Emanuele Severino?
Era lui.
(E pensare che lo pagano pure)
Alla fine mi e' sembrato di riconoscere lo stile. Sara' Emanuele Severino?
Era lui.
(E pensare che lo pagano pure)
martedì, novembre 30, 2004
lunedì, novembre 29, 2004
Kluge Prize
Il Kluge Prize è un nuovo e cospicuo premio, 1 milione di dollari, che riguarda i campi del sapere non coperti dal più famoso premio Nobel.
Istituito lo scorso anno, ha visto come primo vincitore Leszek Kolakowski.
Quest'anno invece saranno premiati Paul Ricoeur e Jaroslav Pelikan.
Casualmente, sulla mia scrivania, proprio a fianco al computer ci sono 3 libri The Closing of the American Mind di Allan Bloom, The Idea of a University: a Reexamination di Jaroslav Pelikan e Sur la Traduction di Paul Ricoeur.
Ricoeur è molto noto in Italia, Pelikan invece non ancora. Peccato perchè merita.
Cristiano ortodosso, storico del cristianesimo, è professore emerito di storia alla Yale University ed è stato presidente dell'American Academy of Arts and Sciences,
Questi i suoi lavori pubblicati in italiano.
Istituito lo scorso anno, ha visto come primo vincitore Leszek Kolakowski.
Quest'anno invece saranno premiati Paul Ricoeur e Jaroslav Pelikan.
Casualmente, sulla mia scrivania, proprio a fianco al computer ci sono 3 libri The Closing of the American Mind di Allan Bloom, The Idea of a University: a Reexamination di Jaroslav Pelikan e Sur la Traduction di Paul Ricoeur.
Ricoeur è molto noto in Italia, Pelikan invece non ancora. Peccato perchè merita.
Cristiano ortodosso, storico del cristianesimo, è professore emerito di storia alla Yale University ed è stato presidente dell'American Academy of Arts and Sciences,
Questi i suoi lavori pubblicati in italiano.
sabato, novembre 27, 2004
Cosenza
Oggi pomeriggio a Cosenza si svolgerà una manifestazione nazionale a sostegno degli imputati nel processo contro la rete no-global "Sud Ribelle".
La voce della Chiesa di Cosenza si fece sentire già due anni fa, ora ritorna con un comunicato dell'arcivescovo.
So che domani, nella nostra città di Cosenza, si svolgerà una manifestazione, con una particolare presenza di giovani, che vuol essere un "grido sociale".
Ritengo che tutti, senza moralismi, abbiamo il dovere di capire chi sogna un mondo nuovo.
Intendo dire ai manifestanti: non fermatevi ai cortei, ma agite, nei fatti, per la giustizia e la pace. Manifestate nel rispetto della legge che è la custodia di uno Stato democratico.
Ai cittadini di Cosenza dico: non siate solamente osservatori, ma operatori per una redenzione sociale, nella quale la persona sia al centro di tutto e dove i poveri, gli ultimi, partecipino alla comune mensa dei beni della terra.
Per questo devono essere superati tutti gli ostacoli che derivano da forti manipolazioni di potentati economico-finanziari che, soprattutto in un tempo
di globalizzazione, impediscono una vera solidarietà fondata sulla giustizia.
Mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo di Cosenza-Bisignano
La voce della Chiesa di Cosenza si fece sentire già due anni fa, ora ritorna con un comunicato dell'arcivescovo.
So che domani, nella nostra città di Cosenza, si svolgerà una manifestazione, con una particolare presenza di giovani, che vuol essere un "grido sociale".
Ritengo che tutti, senza moralismi, abbiamo il dovere di capire chi sogna un mondo nuovo.
Intendo dire ai manifestanti: non fermatevi ai cortei, ma agite, nei fatti, per la giustizia e la pace. Manifestate nel rispetto della legge che è la custodia di uno Stato democratico.
Ai cittadini di Cosenza dico: non siate solamente osservatori, ma operatori per una redenzione sociale, nella quale la persona sia al centro di tutto e dove i poveri, gli ultimi, partecipino alla comune mensa dei beni della terra.
Per questo devono essere superati tutti gli ostacoli che derivano da forti manipolazioni di potentati economico-finanziari che, soprattutto in un tempo
di globalizzazione, impediscono una vera solidarietà fondata sulla giustizia.
Mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo di Cosenza-Bisignano
venerdì, novembre 26, 2004
Dalla newsletter, molto interessante, di Stefano Borselli.
(...)
La Regione Toscana, disciplinando una materia delicata quale quella delle discriminazioni in casi di transessualismo, coglie l'occasione - in forma strettamente ideologica - per enunciati antropologici generali che non sono di competenza né di un'istanza regionale né lo sarebbero di uno stato. Per essere più netti: la legge si satura di enunciati che (volendosi antitetici ad antiche legislazioni discriminatorie sugli omosessuali di alcuni stati autoritari) si muovono sullo stesso inaccettabile terreno di uno stato etico. Essa si protende a (s)regolare integralmente la condotta umana, sotto il segno rovesciato di una legittimante libertà di, al posto del divieto.
In effetti, per tutelare la (ovvero confermare la tutela costituzionale della) «libera espressione e manifestazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere» (art. 1, comma 1), e di «assicurare percorsi di formazione e di riqualificazione alle persone che hanno mutato identità di genere» (nel successivo art. 3, comma 1), non era richiesto alcun enunciato del tipo esibito subito dopo (art. 1, comma 2): «La Regione garantisce il diritto all'autodeterminazione di ogni persona in ordine al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere». Proteggere la «libera espressione» di è, infatti, altro dal postulare (inevitabilmente sui terreni antropologici e psicologici) una vera e propria autodeterminazione in ordine a.
So che l'enunciato del comma 2 può (e forse, per una parte di coloro che hanno votato la legge, si limita a) avere una accezione 'minore' e tecnica, rispetto a quanto balza agli occhi alla prima lettura. L'art.1 può significare semplicemente che, dato un orientamento e/o un'identità dei tipi indicati, il loro portatore può autodeterminarsi; resta, cioè, sovrano quanto ai conseguenti comportamenti (leciti) relazionali, relativi alla sfera sessuale e all'apparire pubblico. Ma nessuno toglie al lettore (a quello critico non meno che a quello interessato al tasso di libertà che la legge sembra promuovere) l’effetto della prima lettura, quando ritiene di cogliere un'antropologia della Regione Toscana, per cui l'orientamento sessuale sarebbe il risultato di una "autodeterminazione". D’altronde, che questa tesi esista e faccia parte delle più scontate teorie artificialiste o costruzionistiche dell'identità sessuale e di genere, è noto. Che abbia serio fondamento scientifico in qualche sede (da quelle biologiche alle psicologiche e antropologiche alle sociologiche) è francamente contestabile; né è facoltà di un'assemblea regionale sancirlo, anche se i suoi consulenti lo sostenessero. Al contrario, che l'orientamento sessuale in particolare non sia frutto di autodeterminazione (se l'espressione ha un qualche significato rigoroso) pare un'evidenza. Frutto in parte di autodeterminazione, nelle forme e limiti in cui "autodeterminazione" esiste nella condizione umana, potrà essere, eventualmente, la complessa (ri)costruzione di genere. Anche se la lettera delle Norme regionali, attentamente esplorata, può far propendere per la lettura minor, i passaggi esaminati restano ambigui e allusivi; e non si può escludere che l'intentio del legislatore abbia coltivato questa ambiguità per attirare il consenso di subculture influenti e di moda (com'è subito avvenuto).
Ma, rispetto a Giannozzo Pucci, ho prestato più attenzione all'art. 10. L'art. 10, intanto, dispone al comma 1 che le aziende USL assicurino «interventi di informazione, consulenza e sostegno per rimuovere gli ostacoli alla libertà di scelta della persona circa il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere». Quali siano gli ostacoli a tale «libertà di scelta» che possano essere di competenza di un'azienda sanitaria non è perspicuo; si tratta probabilmente di una perifrasi per evitare di affermare che gli stessi enti dovranno favorire con informazione e ogni altro sostegno le richieste di mutare chirurgicamente la morfologia genitale, non certo la "identità di genere" (un dato profondo il cui mutamento non può essere competenza del servizio sanitario né di alcun altro "servizio").
Ma il colmo della equivocità e un rischioso mascheramento di intenzioni e valenze è nel comma 2. Aziende USL e altre amministrazioni pubbliche opereranno per «favorire, senza pregiudizio delle diverse identità e dei diversi orientamenti sessuali, l'eguaglianza di opportunità di ogni genitore nell'assunzione di compiti di cura ed educazione dei propri figli nel rispetto dei diritti dei minori». Ora, l'enunciato principale (incisi a parte) affermerebbe in sé l'eguaglianza di opportunità dei genitori nei compiti di cura ed educazione; e potrebbe intendersi rivolto a favorire ad es. la genitorialità dei padri single. Ma l'inciso «senza pregiudizio ecc.» ha senso solo se si vuole copertamente alludere a coppie anomale rispetto a quelle propriamente eterosessuali. La legge implica, dunque, che «il confronto culturale sulle tematiche familiari» da promuovere da parte di un'amministrazione pubblica sia o possa essere quello volto a preparare l'opinione e il costume a qualsiasi "genitorialità", tipicamente quella della coppia omosessuale.
Non conosco (e non riesco ad immaginare) la discussione nei gruppi di specialisti, amministratori e politici, dove si è prodotto questo capolavoro. Certo la mia lettura deve essere stata anche di altri, se qualcuno ha ottenuto quel finale «nel rispetto dei diritti dei minori». Un enunciato di cui non si vedrebbe la necessità se si trattasse solo di sancire l'uguaglianza di opportunità dei genitori nella cura parentale, uguaglianza che è in larga misura richiesta proprio dai diritti dei minori (specialmente in caso di separazione o divorzio). Solleva invece, e costitutivamente, problemi di tutela nell'intero arco della socializzazione il caso di "genitorialità" di una coppia o "famiglia" omosessuale.
Per terminare l'esame sommario, segnalo un piccolo capolavoro anche nel comma 5 dell'art. 7. Vi si prospetta «un trattamento sanitario» destinato alla modificazione dell'«orientamento sessuale o dell'identità di genere». Che, a fronte di un trattamento sanitario, «modificazione dell’orientamento sessuale» valga qui linguisticamente da foglia di fico (chiedo perdono ai redattori) per indicare l’intervento di riassegnazione chirurgica dei caratteri genitali primari, che sarebbe stato politicamente scorretto indicare come tale, è evidente. Ma è altresì possibile che gli estensori o i loro periti abbiano voluto ignorare la distinzione/articolazione tra sessualità biologica e sessualità storico-sociale (o altra formula analoga) e considerare l'apparato genitale come un corredo variabile, un optional, della sessualità.
Aggiungo, terminando. La sola idea che, in un testo normativo, si possa attribuire al servizio sanitario l'onere quindi la capacità/facoltà di dibattere, promuovere e realizzare anche mutazioni profonde nell'identità di genere, non fa solo sorridere sui deliri di onnipotenza di un governo regionale e della sua retorica politico-amministrativa. Preoccupa, per la potenziale e temibile effettività delle disposizioni. Il testo delle Norme, già problematico per la fusione di legittime istanze di tutela dei transessuali e di non necessarie (in questa forma sistematica e solenne) «disposizioni in materia di sanità e assistenza», è stato usato infatti e, probabilmente, progettato come vettore di anticipazioni istituzionali ambiziose, che hanno ancora una volta un sicuro, e palese, bersaglio polemico nella coppia umana (come universalmente concepita) e nella famiglia (l'unica esistente). Come si è visto, infatti, nelle Norme si saldano passaggi in cui si adombra (a) l'autodeterminazione di (e non solo dato un) orientamento di genere, con altri in cui si sottintende (b) la genitorialità di ogni e qualsiasi coppia (corollario della prima affermazione di arbitrarietà e artificialità).
Mi è già avvenuto di sottolineare (su Avvenire del 5 agosto 2004) l’efficacia generatrice di ethos che una amministrazione pressoché onnipotente, perché incontrastata (anche da chi lo potrebbe: l'autorità e l'opinione cattolica, nonché la cultura laica più affinata e consapevole), ha sulle popolazioni direttamente e sulle coscienze indirettamente amministrate. Sia concesso di ripetere, di fronte a questo nuovo aborto normativo, la critica e l'allarme.
Pietro De Marco
(...)
La Regione Toscana, disciplinando una materia delicata quale quella delle discriminazioni in casi di transessualismo, coglie l'occasione - in forma strettamente ideologica - per enunciati antropologici generali che non sono di competenza né di un'istanza regionale né lo sarebbero di uno stato. Per essere più netti: la legge si satura di enunciati che (volendosi antitetici ad antiche legislazioni discriminatorie sugli omosessuali di alcuni stati autoritari) si muovono sullo stesso inaccettabile terreno di uno stato etico. Essa si protende a (s)regolare integralmente la condotta umana, sotto il segno rovesciato di una legittimante libertà di, al posto del divieto.
In effetti, per tutelare la (ovvero confermare la tutela costituzionale della) «libera espressione e manifestazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere» (art. 1, comma 1), e di «assicurare percorsi di formazione e di riqualificazione alle persone che hanno mutato identità di genere» (nel successivo art. 3, comma 1), non era richiesto alcun enunciato del tipo esibito subito dopo (art. 1, comma 2): «La Regione garantisce il diritto all'autodeterminazione di ogni persona in ordine al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere». Proteggere la «libera espressione» di è, infatti, altro dal postulare (inevitabilmente sui terreni antropologici e psicologici) una vera e propria autodeterminazione in ordine a.
So che l'enunciato del comma 2 può (e forse, per una parte di coloro che hanno votato la legge, si limita a) avere una accezione 'minore' e tecnica, rispetto a quanto balza agli occhi alla prima lettura. L'art.1 può significare semplicemente che, dato un orientamento e/o un'identità dei tipi indicati, il loro portatore può autodeterminarsi; resta, cioè, sovrano quanto ai conseguenti comportamenti (leciti) relazionali, relativi alla sfera sessuale e all'apparire pubblico. Ma nessuno toglie al lettore (a quello critico non meno che a quello interessato al tasso di libertà che la legge sembra promuovere) l’effetto della prima lettura, quando ritiene di cogliere un'antropologia della Regione Toscana, per cui l'orientamento sessuale sarebbe il risultato di una "autodeterminazione". D’altronde, che questa tesi esista e faccia parte delle più scontate teorie artificialiste o costruzionistiche dell'identità sessuale e di genere, è noto. Che abbia serio fondamento scientifico in qualche sede (da quelle biologiche alle psicologiche e antropologiche alle sociologiche) è francamente contestabile; né è facoltà di un'assemblea regionale sancirlo, anche se i suoi consulenti lo sostenessero. Al contrario, che l'orientamento sessuale in particolare non sia frutto di autodeterminazione (se l'espressione ha un qualche significato rigoroso) pare un'evidenza. Frutto in parte di autodeterminazione, nelle forme e limiti in cui "autodeterminazione" esiste nella condizione umana, potrà essere, eventualmente, la complessa (ri)costruzione di genere. Anche se la lettera delle Norme regionali, attentamente esplorata, può far propendere per la lettura minor, i passaggi esaminati restano ambigui e allusivi; e non si può escludere che l'intentio del legislatore abbia coltivato questa ambiguità per attirare il consenso di subculture influenti e di moda (com'è subito avvenuto).
Ma, rispetto a Giannozzo Pucci, ho prestato più attenzione all'art. 10. L'art. 10, intanto, dispone al comma 1 che le aziende USL assicurino «interventi di informazione, consulenza e sostegno per rimuovere gli ostacoli alla libertà di scelta della persona circa il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere». Quali siano gli ostacoli a tale «libertà di scelta» che possano essere di competenza di un'azienda sanitaria non è perspicuo; si tratta probabilmente di una perifrasi per evitare di affermare che gli stessi enti dovranno favorire con informazione e ogni altro sostegno le richieste di mutare chirurgicamente la morfologia genitale, non certo la "identità di genere" (un dato profondo il cui mutamento non può essere competenza del servizio sanitario né di alcun altro "servizio").
Ma il colmo della equivocità e un rischioso mascheramento di intenzioni e valenze è nel comma 2. Aziende USL e altre amministrazioni pubbliche opereranno per «favorire, senza pregiudizio delle diverse identità e dei diversi orientamenti sessuali, l'eguaglianza di opportunità di ogni genitore nell'assunzione di compiti di cura ed educazione dei propri figli nel rispetto dei diritti dei minori». Ora, l'enunciato principale (incisi a parte) affermerebbe in sé l'eguaglianza di opportunità dei genitori nei compiti di cura ed educazione; e potrebbe intendersi rivolto a favorire ad es. la genitorialità dei padri single. Ma l'inciso «senza pregiudizio ecc.» ha senso solo se si vuole copertamente alludere a coppie anomale rispetto a quelle propriamente eterosessuali. La legge implica, dunque, che «il confronto culturale sulle tematiche familiari» da promuovere da parte di un'amministrazione pubblica sia o possa essere quello volto a preparare l'opinione e il costume a qualsiasi "genitorialità", tipicamente quella della coppia omosessuale.
Non conosco (e non riesco ad immaginare) la discussione nei gruppi di specialisti, amministratori e politici, dove si è prodotto questo capolavoro. Certo la mia lettura deve essere stata anche di altri, se qualcuno ha ottenuto quel finale «nel rispetto dei diritti dei minori». Un enunciato di cui non si vedrebbe la necessità se si trattasse solo di sancire l'uguaglianza di opportunità dei genitori nella cura parentale, uguaglianza che è in larga misura richiesta proprio dai diritti dei minori (specialmente in caso di separazione o divorzio). Solleva invece, e costitutivamente, problemi di tutela nell'intero arco della socializzazione il caso di "genitorialità" di una coppia o "famiglia" omosessuale.
Per terminare l'esame sommario, segnalo un piccolo capolavoro anche nel comma 5 dell'art. 7. Vi si prospetta «un trattamento sanitario» destinato alla modificazione dell'«orientamento sessuale o dell'identità di genere». Che, a fronte di un trattamento sanitario, «modificazione dell’orientamento sessuale» valga qui linguisticamente da foglia di fico (chiedo perdono ai redattori) per indicare l’intervento di riassegnazione chirurgica dei caratteri genitali primari, che sarebbe stato politicamente scorretto indicare come tale, è evidente. Ma è altresì possibile che gli estensori o i loro periti abbiano voluto ignorare la distinzione/articolazione tra sessualità biologica e sessualità storico-sociale (o altra formula analoga) e considerare l'apparato genitale come un corredo variabile, un optional, della sessualità.
Aggiungo, terminando. La sola idea che, in un testo normativo, si possa attribuire al servizio sanitario l'onere quindi la capacità/facoltà di dibattere, promuovere e realizzare anche mutazioni profonde nell'identità di genere, non fa solo sorridere sui deliri di onnipotenza di un governo regionale e della sua retorica politico-amministrativa. Preoccupa, per la potenziale e temibile effettività delle disposizioni. Il testo delle Norme, già problematico per la fusione di legittime istanze di tutela dei transessuali e di non necessarie (in questa forma sistematica e solenne) «disposizioni in materia di sanità e assistenza», è stato usato infatti e, probabilmente, progettato come vettore di anticipazioni istituzionali ambiziose, che hanno ancora una volta un sicuro, e palese, bersaglio polemico nella coppia umana (come universalmente concepita) e nella famiglia (l'unica esistente). Come si è visto, infatti, nelle Norme si saldano passaggi in cui si adombra (a) l'autodeterminazione di (e non solo dato un) orientamento di genere, con altri in cui si sottintende (b) la genitorialità di ogni e qualsiasi coppia (corollario della prima affermazione di arbitrarietà e artificialità).
Mi è già avvenuto di sottolineare (su Avvenire del 5 agosto 2004) l’efficacia generatrice di ethos che una amministrazione pressoché onnipotente, perché incontrastata (anche da chi lo potrebbe: l'autorità e l'opinione cattolica, nonché la cultura laica più affinata e consapevole), ha sulle popolazioni direttamente e sulle coscienze indirettamente amministrate. Sia concesso di ripetere, di fronte a questo nuovo aborto normativo, la critica e l'allarme.
Pietro De Marco
Questo silenzio è peccato
Su Nigrizia un appello ai vescovi italiani perché ribadiscano la condanna della guerra in Iraq e ritirino i cappellani.
giovedì, novembre 25, 2004
Video
Su Launch la nuova versione del video di Blower's Daughter di Damien Rice che fa da colonna sonora a Closer, il nuovo film di Julia Roberts.
In realtà l'unico buon motivo per guardare la nuova versione non è la presenza di Julia Roberts, figuriamoci, ma quella di Lisa Hannigan, come sempre bellisima.
Sempre su Launch 4 video degli Shins.
Manca ancora, stranamente, Know your Onions, mentre c'è una nuova versione di New Slang.
Gli Shins hanno anche un nuovissimo sito web.
E visto che parliamo di musica, non posso non segnalare Duke Special, che ho visto qualche settimana fa fare da spalla a Juliet Turner.
E' un incrocio tra Badly Drawn Boy e Michael Buble.
In realtà l'unico buon motivo per guardare la nuova versione non è la presenza di Julia Roberts, figuriamoci, ma quella di Lisa Hannigan, come sempre bellisima.
Sempre su Launch 4 video degli Shins.
Manca ancora, stranamente, Know your Onions, mentre c'è una nuova versione di New Slang.
Gli Shins hanno anche un nuovissimo sito web.
E visto che parliamo di musica, non posso non segnalare Duke Special, che ho visto qualche settimana fa fare da spalla a Juliet Turner.
E' un incrocio tra Badly Drawn Boy e Michael Buble.
Bríd Óg Ní Mháille
Bríd Óg Ní Mháille
'Sa Bhríd Óg Ní Mháille, 's tú d'fhág
mo chroí cráite,
'S chuir tú arraingeach' an bháis
trí cheart-lár mo chroí;
Tá na céadta fear i ngrá le d'éadan
ciúin náireach,
Is go dtug tú barr breáthacht' ar
Thír Oirghiall' más fíor.
Níl ní ar bith is áille ná'n ghealach
os cionn a' tsáile,
Ná bláth bán na n-airní a' fás ar an
draighean;
Ó siúd mar 'bhíonn mo ghrása níos
trilsí le breáthacht,
Béilín meala na háilleacht' nach
ndearna riamh claon.
Is buachaill deas óg mé 'tá 'triall
chun mo phósta,
'S ní buan i bhfad beo mé mura
bhfaighidh mé mo mhian;
A chuisle 's a stóirín, déan réidh
agus bí romhamsa
Ceann deireanach den Domhnach
ar Bhóithrín Dhroim Sliabh.
Is tuirseach 's is brónach a
chaithimse an Domhnach -
Mo hata 'mo dhorn 's mé ag osnaíl
go trom -
'S mé ag amharc ar an mbóthar a
mbíonn mo ghrása ag g(ó)il ann,
'S í anois ag fear eil' pósta agus
gan í bheith liom.
'Sa Bhríd Óg Ní Mháille, 's tú d'fhág
mo chroí cráite,
'S chuir tú arraingeach' an bháis
trí cheart-lár mo chroí;
Tá na céadta fear i ngrá le d'éadan
ciúin náireach,
Is go dtug tú barr breáthacht' ar
Thír Oirghiall' más fíor.
Níl ní ar bith is áille ná'n ghealach
os cionn a' tsáile,
Ná bláth bán na n-airní a' fás ar an
draighean;
Ó siúd mar 'bhíonn mo ghrása níos
trilsí le breáthacht,
Béilín meala na háilleacht' nach
ndearna riamh claon.
Is buachaill deas óg mé 'tá 'triall
chun mo phósta,
'S ní buan i bhfad beo mé mura
bhfaighidh mé mo mhian;
A chuisle 's a stóirín, déan réidh
agus bí romhamsa
Ceann deireanach den Domhnach
ar Bhóithrín Dhroim Sliabh.
Is tuirseach 's is brónach a
chaithimse an Domhnach -
Mo hata 'mo dhorn 's mé ag osnaíl
go trom -
'S mé ag amharc ar an mbóthar a
mbíonn mo ghrása ag g(ó)il ann,
'S í anois ag fear eil' pósta agus
gan í bheith liom.
mercoledì, novembre 24, 2004
Irish news
Cosa succede da queste parti.
Cominciamo con le brutte notizie.
Ieri poteva essere una giornata storica per l'Irlanda del Nord ed invece l'accordo è saltato. Tutti sembrano però ottimisti, è ormai solo una questione di tempo. La situazione deve maturare.
Chiunque abbia visitato Dublino ricorderà il Bewley's Cafè in Grafton Street, storico locale, tra l'altro molto amato da Ludwig Wittgenstein. Bene, l'hanno chiuso il 30 novembre nonostante proteste ed appelli. Grafton Street è diventata la quarta strada più cara del mondo e per la società Bewley il cafè era una spesa esosa.
Pare che solo di affitto pagasserò 4.000 euro al metroquadro all'anno.
L'unica cosa che è rimasta è il negozio a pian terreno.
Non potete immaginare la tristezza dei dublinesi.
Passiamo alle notizie un po' più allegre.
Oggi per la prima volta ho riascoltato Fairytale in New York, segno che il periodo di Natale si avvicina.
Nonostante qui tutti si lamentino, secondo un'inchiesta l'Irlanda è il paese al mondo con la più alta qualità di vita.
La famiglia ha ancora una struttura solida (hanno introdotto il divorzio meno di dieci anni fa), l'economia va benissimo, il reddito medio pro capite è il quarto al mondo, ha la più alta frequentazione religiosa d'Europa, l'aborto volontario è reato (per cui una volta concepiti non si rischia di fare una brutta fine) e, è bene ricordarlo, sull'isola non ci sono serpenti. L'unica cosa sgradevole è il tempo ma a quello ci si abitua.
L'irlandese sarà la ventunesima lingua dell'Unione Europea?
Sembra di sì.
Quando, nel 1973, la Repubblica d'Irlanda entrò nell'Unione, scelse l'inglese come lingua ufficiale, lasciando l'irlandese solo per i trattati.
Il governo è ora intenzionato a chiedere il riconoscimento ufficiale anche per quella che è la prima lingua della Repubblica.
I parlamentari europei potranno esprimersi in irlandese, si potrà scrivere ad un'istituzione europea utilizzando questa lingua, sicuri di ricevere anche la risposta.
Tale decisione comporterà una spesa di 10 miliardi l'anno per l'UE e l'impiego di 110 traduttori.
Tra i 732 deputati del Parlamento Europeo c'è solo uno madrelingua irlandese, dello Sein Fein.
Anche se l'inglese prevale come lingua parlata, nella Repubblica l'irlandese è la prima lingua ufficiale e tutte le iscrizioni pubbliche sono bilingue.
Tutti devono impararla a scuola e 260.000 persone la parlano correttamente mentre 40.000 sono i madrelingua che la usano quotidianamente.
Nel mio campus ci sono degli appartamenti a prezzo ridotto per chi sceglie di parlare irlandese.
Io ho fatto qualche lezione ma ricordo ben poco.
Una cosa però la so dire: quando ci si incontra, il saluto è Dia Duit, che significa, Dio sia con te. E si risponde: Dia's Muire duit, che significa Dio e la Madonna siano con te.
Le radici cristiane dell'Europa, dimenticate dai politicanti, riappaiono continuamente nella vita quotidiana, quando uno meno se l'aspetta.
Cominciamo con le brutte notizie.
Ieri poteva essere una giornata storica per l'Irlanda del Nord ed invece l'accordo è saltato. Tutti sembrano però ottimisti, è ormai solo una questione di tempo. La situazione deve maturare.
Chiunque abbia visitato Dublino ricorderà il Bewley's Cafè in Grafton Street, storico locale, tra l'altro molto amato da Ludwig Wittgenstein. Bene, l'hanno chiuso il 30 novembre nonostante proteste ed appelli. Grafton Street è diventata la quarta strada più cara del mondo e per la società Bewley il cafè era una spesa esosa.
Pare che solo di affitto pagasserò 4.000 euro al metroquadro all'anno.
L'unica cosa che è rimasta è il negozio a pian terreno.
Non potete immaginare la tristezza dei dublinesi.
Passiamo alle notizie un po' più allegre.
Oggi per la prima volta ho riascoltato Fairytale in New York, segno che il periodo di Natale si avvicina.
Nonostante qui tutti si lamentino, secondo un'inchiesta l'Irlanda è il paese al mondo con la più alta qualità di vita.
La famiglia ha ancora una struttura solida (hanno introdotto il divorzio meno di dieci anni fa), l'economia va benissimo, il reddito medio pro capite è il quarto al mondo, ha la più alta frequentazione religiosa d'Europa, l'aborto volontario è reato (per cui una volta concepiti non si rischia di fare una brutta fine) e, è bene ricordarlo, sull'isola non ci sono serpenti. L'unica cosa sgradevole è il tempo ma a quello ci si abitua.
L'irlandese sarà la ventunesima lingua dell'Unione Europea?
Sembra di sì.
Quando, nel 1973, la Repubblica d'Irlanda entrò nell'Unione, scelse l'inglese come lingua ufficiale, lasciando l'irlandese solo per i trattati.
Il governo è ora intenzionato a chiedere il riconoscimento ufficiale anche per quella che è la prima lingua della Repubblica.
I parlamentari europei potranno esprimersi in irlandese, si potrà scrivere ad un'istituzione europea utilizzando questa lingua, sicuri di ricevere anche la risposta.
Tale decisione comporterà una spesa di 10 miliardi l'anno per l'UE e l'impiego di 110 traduttori.
Tra i 732 deputati del Parlamento Europeo c'è solo uno madrelingua irlandese, dello Sein Fein.
Anche se l'inglese prevale come lingua parlata, nella Repubblica l'irlandese è la prima lingua ufficiale e tutte le iscrizioni pubbliche sono bilingue.
Tutti devono impararla a scuola e 260.000 persone la parlano correttamente mentre 40.000 sono i madrelingua che la usano quotidianamente.
Nel mio campus ci sono degli appartamenti a prezzo ridotto per chi sceglie di parlare irlandese.
Io ho fatto qualche lezione ma ricordo ben poco.
Una cosa però la so dire: quando ci si incontra, il saluto è Dia Duit, che significa, Dio sia con te. E si risponde: Dia's Muire duit, che significa Dio e la Madonna siano con te.
Le radici cristiane dell'Europa, dimenticate dai politicanti, riappaiono continuamente nella vita quotidiana, quando uno meno se l'aspetta.
Un foro alla nuca
Finalmente, per la prima volta trovo un articolo in italiano sul Partial Birth Abortion, l'aborto a nascita parziale che è stato da poco vietato da Bush.
Aggiungo solo un dato: non solo secondo i sondaggi la maggioranza degli americani approvava il bando ma nella fascia 18-29 anni i contrari erano il 77%.
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Roma. In che cosa consiste la legge che in America proibisce il cosiddetto “aborto a nascita parziale”, cioè effettuato a uno stadio avanzato di gravidanza (nel secondo e nel terzo trimestre, praticamente fino all’ottavo mese)? Firmata da Bush il 5 novembre del 2003 e definita “estremista” e nociva per la salute della donna dai suoi avversari (con il plauso di “Liberazione” di domenica scorsa), nonché prova del furore liberticida del presidente, quella legge stabilisce semplicemente che una pratica estrema e ai limiti dell’infanticidio, come è la “partial birth abortion”, possa essere effettuata solo in presenza di gravi e comprovati pericoli per la salute della madre.
Da una breve descrizione della procedura è facile capire il perché di quel limite. In un primo tempo, guidato da ultrasuoni, il medico mette il feto in posizione podalica, afferra i piedi con una pinza, porta le gambe fuori dell’utero e provoca il parto, estraendo la totalità del corpo del feto, tranne la testa. Si esegue quindi un’incisione alla base del cranio del feto, attraverso cui si fa passare la punta di un paio di forbici. Nel foro così praticato si fa passare un catetere, attraverso il quale viene aspirato il cervello e il contenuto della scatola cranica del feto. Per portare a termine l’aborto non resterà che estrarne la testa. Tutto questo ha un suo macabro “senso” e testimonia di un raccapricciante paradosso: il feto deve uscire già morto dal ventre materno (così si può parlare di “aborto”) perché ora sappiamo che, grazie agli immensi progressi della neonatologia, anche prematuri di quattro mesi e mezzo (per non parlare di quelli di sei o sette mesi) possono sopravvivere, se opportunamente assistiti, fuori dal corpo della madre.
Contro l’aborto a nascita parziale il Congresso americano aveva votato già in due occasioni, nel 1996 e nel 1997, incontrando ogni volta il veto dell’allora presidente Clinton. George W. Bush, un anno fa (appoggiato, secondo i sondaggi, da due americani su tre) riuscì a rendere operativo il divieto. Uniche eccezioni ammesse, i casi comprovati di pericolo per la vita e la salute della madre. Nell’ordinanza successiva all’approvazione della legge, si richiedeva agli ospedali il rilascio dei registri relativi agli aborti a nascita parziale, allo scopo di verificare il reale pericolo per la madre richiedente, e si stabiliva che i medici che avessero praticato aborti “tardivi” fuori da quei comprovati casi, avrebbero rischiato fino a due anni di carcere. Com’era prevedibile, sono fioccate le opposizioni, e già in tre Stati (New York, Nebraska e California), la messa al bando della “partial birth abortion” è stata nel frattempo dichiarata incostituzionale.
Ma ai nostri occhi (forse anche agli occhi di “Liberazione”) dovrebbero sembrare assurde le proteste contro quella proibizione. La legge fortemente voluta da Bush non fa altro che riprodurre un principio cardine della nostra legge 194 sull’interruzione di gravidanza, lo stesso principio condiviso dalla stragrande maggioranza delle legislazioni europee in materia. Dopo il terzo mese, l’interruzione volontaria di gravidanza può realizzarsi solo, dice la 194, “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”, oppure “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La legge aggiunge poi che se il feto ha la possibilità di vivere autonomamente, il medico deve adottare ogni misura per salvaguardarlo: dopo il sesto mese, in particolare, si può interrompere la gravidanza solo predisponendo ogni cura per la salvaguardia del bambino.
Questo e non altro ha stabilito la “liberticida” legge di Bush, che ha semplicemente introdotto un limite alla totale libertà di aborto entro il sesto mese (ma in realtà anche oltre) garantita in America per oltre trent’anni. La tolleranza per l’aborto tardivo negli Stati Uniti è stata a lungo giustificata per ragioni sociali. L’intervento di interruzione di gravidanza è a pagamento, e le donne meno abbienti, se non potevano permetterselo subito, arrivavano ad avere il denaro sufficiente magari al sesto o settimo mese. Ma proprio la prospettiva di evitare molti aborti tardivi è stato uno degli argomenti usati dai sostenitori della pillola abortiva RU486, regolarmente venduta e usata. La nuova e illimitata possibilità di accesso a un aborto precoce non giustifica più, oggi, quello tardivo, e anche per questo la decisione di Bush ha ottenuto il favore della stragrande maggioranza di americani, liberal compresi.
Il Foglio
Aggiungo solo un dato: non solo secondo i sondaggi la maggioranza degli americani approvava il bando ma nella fascia 18-29 anni i contrari erano il 77%.
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Roma. In che cosa consiste la legge che in America proibisce il cosiddetto “aborto a nascita parziale”, cioè effettuato a uno stadio avanzato di gravidanza (nel secondo e nel terzo trimestre, praticamente fino all’ottavo mese)? Firmata da Bush il 5 novembre del 2003 e definita “estremista” e nociva per la salute della donna dai suoi avversari (con il plauso di “Liberazione” di domenica scorsa), nonché prova del furore liberticida del presidente, quella legge stabilisce semplicemente che una pratica estrema e ai limiti dell’infanticidio, come è la “partial birth abortion”, possa essere effettuata solo in presenza di gravi e comprovati pericoli per la salute della madre.
Da una breve descrizione della procedura è facile capire il perché di quel limite. In un primo tempo, guidato da ultrasuoni, il medico mette il feto in posizione podalica, afferra i piedi con una pinza, porta le gambe fuori dell’utero e provoca il parto, estraendo la totalità del corpo del feto, tranne la testa. Si esegue quindi un’incisione alla base del cranio del feto, attraverso cui si fa passare la punta di un paio di forbici. Nel foro così praticato si fa passare un catetere, attraverso il quale viene aspirato il cervello e il contenuto della scatola cranica del feto. Per portare a termine l’aborto non resterà che estrarne la testa. Tutto questo ha un suo macabro “senso” e testimonia di un raccapricciante paradosso: il feto deve uscire già morto dal ventre materno (così si può parlare di “aborto”) perché ora sappiamo che, grazie agli immensi progressi della neonatologia, anche prematuri di quattro mesi e mezzo (per non parlare di quelli di sei o sette mesi) possono sopravvivere, se opportunamente assistiti, fuori dal corpo della madre.
Contro l’aborto a nascita parziale il Congresso americano aveva votato già in due occasioni, nel 1996 e nel 1997, incontrando ogni volta il veto dell’allora presidente Clinton. George W. Bush, un anno fa (appoggiato, secondo i sondaggi, da due americani su tre) riuscì a rendere operativo il divieto. Uniche eccezioni ammesse, i casi comprovati di pericolo per la vita e la salute della madre. Nell’ordinanza successiva all’approvazione della legge, si richiedeva agli ospedali il rilascio dei registri relativi agli aborti a nascita parziale, allo scopo di verificare il reale pericolo per la madre richiedente, e si stabiliva che i medici che avessero praticato aborti “tardivi” fuori da quei comprovati casi, avrebbero rischiato fino a due anni di carcere. Com’era prevedibile, sono fioccate le opposizioni, e già in tre Stati (New York, Nebraska e California), la messa al bando della “partial birth abortion” è stata nel frattempo dichiarata incostituzionale.
Ma ai nostri occhi (forse anche agli occhi di “Liberazione”) dovrebbero sembrare assurde le proteste contro quella proibizione. La legge fortemente voluta da Bush non fa altro che riprodurre un principio cardine della nostra legge 194 sull’interruzione di gravidanza, lo stesso principio condiviso dalla stragrande maggioranza delle legislazioni europee in materia. Dopo il terzo mese, l’interruzione volontaria di gravidanza può realizzarsi solo, dice la 194, “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”, oppure “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La legge aggiunge poi che se il feto ha la possibilità di vivere autonomamente, il medico deve adottare ogni misura per salvaguardarlo: dopo il sesto mese, in particolare, si può interrompere la gravidanza solo predisponendo ogni cura per la salvaguardia del bambino.
Questo e non altro ha stabilito la “liberticida” legge di Bush, che ha semplicemente introdotto un limite alla totale libertà di aborto entro il sesto mese (ma in realtà anche oltre) garantita in America per oltre trent’anni. La tolleranza per l’aborto tardivo negli Stati Uniti è stata a lungo giustificata per ragioni sociali. L’intervento di interruzione di gravidanza è a pagamento, e le donne meno abbienti, se non potevano permetterselo subito, arrivavano ad avere il denaro sufficiente magari al sesto o settimo mese. Ma proprio la prospettiva di evitare molti aborti tardivi è stato uno degli argomenti usati dai sostenitori della pillola abortiva RU486, regolarmente venduta e usata. La nuova e illimitata possibilità di accesso a un aborto precoce non giustifica più, oggi, quello tardivo, e anche per questo la decisione di Bush ha ottenuto il favore della stragrande maggioranza di americani, liberal compresi.
Il Foglio
lunedì, novembre 22, 2004
:)
Dopo una settimana di sofferenze, il mio laptop è di nuovo qui tra le mie braccia, perfettamente funzionante.
Gli amici che erano in attesa di miei notizie saranno presto soddisfatti.
Gli amici che erano in attesa di miei notizie saranno presto soddisfatti.
domenica, novembre 21, 2004
sabato, novembre 20, 2004
Cristo Re
Domani e' la solennita' di Cristo Re e sul web si festeggia.
Io, nel mio piccolo, lo faccio riportando un brano dalla Storia di Cristo, opera con la quale nel 1921 Giovanni Papini annuncio' la sua clamorosa conversione al cattolicesimo.
Come lo scrittore sia giunto a ritrovare Cristo, da sé, camminando per molte strade che alla fine sboccavano tutte ai piedi della Montagna dell'Evangelo, sarebbe un discorso troppo lungo e anche difficile. Ma il suo esempio - cioe' quello d'un uomo che ebbe sempre, fin da bambino, una repulsione per tutte le fedi riconosciute e per tutte le chiese, e per tutte le forme di vassallaggio spirituale, e poi passo', con delusioni tanto profonde quanto erano stati potenti gli entusiasmi, attraverso molte esperienze, le piu' diverse e le piu' nuove che poteva trovare - l'esempio di quest'uomo, dico, che ha consumato in se stesso le ambizioni d'un'epoca instabile e irrequieta come poche ve ne furono; l'esempio di un uomo che dopo tanto scavallare, motteggiare e vaneggiare torna vicino a Cristo, non ha, forse, un significato soltanto privato e personale.
Non v'e' tornato per stanchezza perche', anzi, comincia per lui una vita piu' difficile e un obbligo piu' faticoso; non per le paure della senilita' perche' ancora si puo' chiamare giovane; non per voglia del perche', nel clima di questi anni, gli varrebbe meglio esser lusingatore che giudice. Ma quest'uomo, tornato a Cristo, ha veduto che Cristo e' tradito e, piu' grave d'ogni offesa, dimenticato. E ha sentito l'impulso di ricordarlo e difenderlo.
Perche' non soltanto i suoi nemici l'hanno lasciato e guastato. Ma quelli stessi che furono i suoi discepoli, lui vivente, e lo compresero a mezzo e alla fine l'abbandonarono; e molti di quelli che son nati nella sua Chiesa e fanno il contrario di quel che comando' e hanno piu' dilezione per le sue immagini dipinte che per il suo esempio vivo e quando hanno consumato labbri e ginocchi in qualche materiale divozione credono d'essere in pari con lui e d'aver fatto quanto chiedeva, quanto chiede, disperatamente, e quasi sempre invano, insieme ai suoi Santi, da mille e novecent'anni.
Una storia di Cristo, scritta oggi, e' una risposta, una replica necessaria, una conclusione inevitabile: il peso che si mette sul piatto vuoto della bilancia, perche' dall'eterna guerra tra odio e amore esca, almeno, l'equilibrio della giustizia. E se diranno, a chi la scrisse, ch'e' un ritardatario non lo toccano. Ritardatario, spesso, sembra colui ch'e' nato troppo presto. Il sole che tramonta e' lo stesso che, nello stesso momento, tinge la mattina nuova d'un paese lontano. Il Cristianesimo non e' un'anticaglia ormai assimilata, in quel che aveva di buono, dalla stupenda e imperfettibile coscienza moderna, ma e', per moltissimi, tanto nuovo che non e' neppure cominciato. Il mondo, oggi, cerca Pace piu' che Liberta' e non v'e' pace che sotto il giogo di Cristo.
Dicono che Cristo e' il profeta dei deboli e invece venne a dar forza ai languenti e a fare i calpestati piu' alti dei re. Dicono che la sua e' religione di malati e moribondi eppure guarisce gl'infermi e risuscita i dormienti. Ch'e' il Dio della tristezza mentre esorta i suoi a rallegrarsi e promette un eterno banchetto di gioia ai suoi amici. Dicono che ha introdotto la tristezza e la mortificazione nel mondo e invece, quand'era vivo, mangiava e beveva, e si lasciava profumare i piedi e i capelli, e aveva in uggia i digiuni ipocriti e le vanitose penitenze. Molti l'hanno lasciato perche' non l'hanno mai conosciuto. A codesti, specialmente, vorrebbe giovare questo libro.
Il qual libro e' scritto, si perdoni il richiamo, da un fiorentino, cioe' sortito da quella nazione che, sola fra tutte, scelse Cristo come proprio Re. La prima idea l'ebbe Girolamo Savonarola nel 1495 ma non pote' portarla a buono. Fu ripresa, nelle distrette del minacciato assedio, nel 1527, e approvata a gran maggioranza. Sulla porta maggiore del Palazzo Vecchio, che s'apre tra il David di Buonarroti e l'Ercole del Bandinelli, fu murata una lastra di marmo con queste parole:
JESUS CHRISTUS REX FLORENTINI
POPULI P. DECRETO ELECTUS
Codesta iscrizione, benche' mutata da Cosimo, c'e' sempre; quel decreto non fu mai formalmente abrogato e disdetto e lo scrittore di quest'opera e' fiero di riconoscersi, anche oggi, dopo quattrocent'anni di usurpazioni, suddito e soldato di Cristo Re.
Io, nel mio piccolo, lo faccio riportando un brano dalla Storia di Cristo, opera con la quale nel 1921 Giovanni Papini annuncio' la sua clamorosa conversione al cattolicesimo.
Come lo scrittore sia giunto a ritrovare Cristo, da sé, camminando per molte strade che alla fine sboccavano tutte ai piedi della Montagna dell'Evangelo, sarebbe un discorso troppo lungo e anche difficile. Ma il suo esempio - cioe' quello d'un uomo che ebbe sempre, fin da bambino, una repulsione per tutte le fedi riconosciute e per tutte le chiese, e per tutte le forme di vassallaggio spirituale, e poi passo', con delusioni tanto profonde quanto erano stati potenti gli entusiasmi, attraverso molte esperienze, le piu' diverse e le piu' nuove che poteva trovare - l'esempio di quest'uomo, dico, che ha consumato in se stesso le ambizioni d'un'epoca instabile e irrequieta come poche ve ne furono; l'esempio di un uomo che dopo tanto scavallare, motteggiare e vaneggiare torna vicino a Cristo, non ha, forse, un significato soltanto privato e personale.
Non v'e' tornato per stanchezza perche', anzi, comincia per lui una vita piu' difficile e un obbligo piu' faticoso; non per le paure della senilita' perche' ancora si puo' chiamare giovane; non per voglia del
Perche' non soltanto i suoi nemici l'hanno lasciato e guastato. Ma quelli stessi che furono i suoi discepoli, lui vivente, e lo compresero a mezzo e alla fine l'abbandonarono; e molti di quelli che son nati nella sua Chiesa e fanno il contrario di quel che comando' e hanno piu' dilezione per le sue immagini dipinte che per il suo esempio vivo e quando hanno consumato labbri e ginocchi in qualche materiale divozione credono d'essere in pari con lui e d'aver fatto quanto chiedeva, quanto chiede, disperatamente, e quasi sempre invano, insieme ai suoi Santi, da mille e novecent'anni.
Una storia di Cristo, scritta oggi, e' una risposta, una replica necessaria, una conclusione inevitabile: il peso che si mette sul piatto vuoto della bilancia, perche' dall'eterna guerra tra odio e amore esca, almeno, l'equilibrio della giustizia. E se diranno, a chi la scrisse, ch'e' un ritardatario non lo toccano. Ritardatario, spesso, sembra colui ch'e' nato troppo presto. Il sole che tramonta e' lo stesso che, nello stesso momento, tinge la mattina nuova d'un paese lontano. Il Cristianesimo non e' un'anticaglia ormai assimilata, in quel che aveva di buono, dalla stupenda e imperfettibile coscienza moderna, ma e', per moltissimi, tanto nuovo che non e' neppure cominciato. Il mondo, oggi, cerca Pace piu' che Liberta' e non v'e' pace che sotto il giogo di Cristo.
Dicono che Cristo e' il profeta dei deboli e invece venne a dar forza ai languenti e a fare i calpestati piu' alti dei re. Dicono che la sua e' religione di malati e moribondi eppure guarisce gl'infermi e risuscita i dormienti. Ch'e' il Dio della tristezza mentre esorta i suoi a rallegrarsi e promette un eterno banchetto di gioia ai suoi amici. Dicono che ha introdotto la tristezza e la mortificazione nel mondo e invece, quand'era vivo, mangiava e beveva, e si lasciava profumare i piedi e i capelli, e aveva in uggia i digiuni ipocriti e le vanitose penitenze. Molti l'hanno lasciato perche' non l'hanno mai conosciuto. A codesti, specialmente, vorrebbe giovare questo libro.
Il qual libro e' scritto, si perdoni il richiamo, da un fiorentino, cioe' sortito da quella nazione che, sola fra tutte, scelse Cristo come proprio Re. La prima idea l'ebbe Girolamo Savonarola nel 1495 ma non pote' portarla a buono. Fu ripresa, nelle distrette del minacciato assedio, nel 1527, e approvata a gran maggioranza. Sulla porta maggiore del Palazzo Vecchio, che s'apre tra il David di Buonarroti e l'Ercole del Bandinelli, fu murata una lastra di marmo con queste parole:
JESUS CHRISTUS REX FLORENTINI
POPULI P. DECRETO ELECTUS
Codesta iscrizione, benche' mutata da Cosimo, c'e' sempre; quel decreto non fu mai formalmente abrogato e disdetto e lo scrittore di quest'opera e' fiero di riconoscersi, anche oggi, dopo quattrocent'anni di usurpazioni, suddito e soldato di Cristo Re.
Il caso Buttiglione sembra ormai acqua passata ma emergono pian piano aspetti a dir poco inquientanti riguardanti la lobby che ha promosso la bocciatura del rappresentante italiano.
Ce n'e' uno che ho scoperto da solo e che non ho visto riportato da nessuna parte.
La ILGA, la cui sezione europea ha preparato il dossier contro Buttiglione,
nel 1994 è stata riconosciuta come 'observer' dall'ONU ma l'anno successivo ha
perso questo status perché aveva connessioni con alcune
associazioni pedofile. Da allora, nonostante numerosi tentativi, non è
stata più ufficialmennte riconosciuta dall'ONU come Organizzazione Non Governativa.
Non mi sorprende invece il fatto che sia un'ONG riconosciuta dall'Unione Europea.
Credo sia un aspetto importante da sottolineare.
Ecco un po' di link, per chi vuole verificare:
htt//www.datalounge.com/datalounge/news/record.html?record=19804p:
http://www.brainyencyclopedia.com/encyclopedia/i/in/international_lesbian_an
d_gay_association.html
http://www.globalpolicy.org/finance/chronol/hist.htm
Questa invece e' una notizia riguardante il coinvolgimento di Noi siamo Chiesa nella vicenda.
----
La campagna pubblica contro l'insediamento dell'on. Rocco Buttiglione alla Commissione europea a causa dei suoi convincimenti di coscienza, sembra abbia avuto origine da un'azione di lobbying promossa dalla ILGA-Europe, la branca europea della Federazione che riunisce le sigle omosessualiste di tutto il mondo. Fulcro di questa azione una lettera, definita "dossier", inviata agli eurodeputati allo scopo di convincerli della inadeguatezza del candidato cattolico all'alta carica istituzionale a causa della sua impostazione religiosa, che comporterebbe anche il rischio di presunta dipendenza dallo "Stato" Vaticano.
Meno noto il fatto che questo documento sia stato formalmente redatto da "Catholics for a free choice" una emanazione del movimento progressista nordamericano "We are Church".
Le "argomentazioni" della lettera (alcuni dati anagrafici, qualche breve frase di Buttiglione tratta da organi di stampa, e l'elenco delle sue "colpe") sono disponibili sul sito "www.catholicsforchoice.org" alla considerazione di tutti.
Riteniamo invece più interessante offrire alla riflessione dei nostri lettori un altro spunto: le dichiarazioni con cui la Sinistra europea ha voluto giustificare la discriminazione nei confronti di Buttiglione, sono state motivate dalla difesa della laicità e dell'indipendenza delle istituzioni europee.
Se veramente così fosse, rimaniamo in attesa di una prossima "levata di scudi" contro l' "ingerenza" nella composizione della Conmmissione europea di una organizzazione di ispirazione religiosa, e per di più nordamericana, come "We are Church". Aspetteremo a lungo? (Corrismpondenza Romana 877/03 del 8/11/04)
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Ce n'e' uno che ho scoperto da solo e che non ho visto riportato da nessuna parte.
La ILGA, la cui sezione europea ha preparato il dossier contro Buttiglione,
nel 1994 è stata riconosciuta come 'observer' dall'ONU ma l'anno successivo ha
perso questo status perché aveva connessioni con alcune
associazioni pedofile. Da allora, nonostante numerosi tentativi, non è
stata più ufficialmennte riconosciuta dall'ONU come Organizzazione Non Governativa.
Non mi sorprende invece il fatto che sia un'ONG riconosciuta dall'Unione Europea.
Credo sia un aspetto importante da sottolineare.
Ecco un po' di link, per chi vuole verificare:
htt//www.datalounge.com/datalounge/news/record.html?record=19804p:
http://www.brainyencyclopedia.com/encyclopedia/i/in/international_lesbian_an
d_gay_association.html
http://www.globalpolicy.org/finance/chronol/hist.htm
Questa invece e' una notizia riguardante il coinvolgimento di Noi siamo Chiesa nella vicenda.
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La campagna pubblica contro l'insediamento dell'on. Rocco Buttiglione alla Commissione europea a causa dei suoi convincimenti di coscienza, sembra abbia avuto origine da un'azione di lobbying promossa dalla ILGA-Europe, la branca europea della Federazione che riunisce le sigle omosessualiste di tutto il mondo. Fulcro di questa azione una lettera, definita "dossier", inviata agli eurodeputati allo scopo di convincerli della inadeguatezza del candidato cattolico all'alta carica istituzionale a causa della sua impostazione religiosa, che comporterebbe anche il rischio di presunta dipendenza dallo "Stato" Vaticano.
Meno noto il fatto che questo documento sia stato formalmente redatto da "Catholics for a free choice" una emanazione del movimento progressista nordamericano "We are Church".
Le "argomentazioni" della lettera (alcuni dati anagrafici, qualche breve frase di Buttiglione tratta da organi di stampa, e l'elenco delle sue "colpe") sono disponibili sul sito "www.catholicsforchoice.org" alla considerazione di tutti.
Riteniamo invece più interessante offrire alla riflessione dei nostri lettori un altro spunto: le dichiarazioni con cui la Sinistra europea ha voluto giustificare la discriminazione nei confronti di Buttiglione, sono state motivate dalla difesa della laicità e dell'indipendenza delle istituzioni europee.
Se veramente così fosse, rimaniamo in attesa di una prossima "levata di scudi" contro l' "ingerenza" nella composizione della Conmmissione europea di una organizzazione di ispirazione religiosa, e per di più nordamericana, come "We are Church". Aspetteremo a lungo? (Corrismpondenza Romana 877/03 del 8/11/04)
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venerdì, novembre 19, 2004
Filosofia on-line
Il nuovo Gourmet Report 2004 e' pronto. Il mio dipartimento e' citato, come la scorsa volta, nella sezione Filosofia Continentale del 20esimo secolo.
Google ha appena lanciato Google Scholar, un nuovo motore di ricerca specializzato.
Si concentra su libri, tesi, riviste di ogni area di studi.
Intanto, grazie ad una donazione fatta dalla Science Foundation of Ireland alla mia biblioteca, posso accedere a tutte le riviste dalla Kluwer on-line.
Queste quelle filosofiche:
Erkenntnis
Synthese
Topoi
Philosophical Studies
Continental Philosophy Review
Husserl Studies
Human Studies
Phenomenology and the Cognitive Sciences
Axiomathes
Linguistics and Philosophy
Minds and Machines
Brains and Minds
The Journal of Ethics
The Journal of Value Inquiry
International Journal of the Philosophy of Religion
Theoretical Medicine and Bioethics
Se qualcuno ha bisogno di qualche articolo puo' scrivermi.
Google ha appena lanciato Google Scholar, un nuovo motore di ricerca specializzato.
Si concentra su libri, tesi, riviste di ogni area di studi.
Intanto, grazie ad una donazione fatta dalla Science Foundation of Ireland alla mia biblioteca, posso accedere a tutte le riviste dalla Kluwer on-line.
Queste quelle filosofiche:
Erkenntnis
Synthese
Topoi
Philosophical Studies
Continental Philosophy Review
Husserl Studies
Human Studies
Phenomenology and the Cognitive Sciences
Axiomathes
Linguistics and Philosophy
Minds and Machines
Brains and Minds
The Journal of Ethics
The Journal of Value Inquiry
International Journal of the Philosophy of Religion
Theoretical Medicine and Bioethics
Se qualcuno ha bisogno di qualche articolo puo' scrivermi.
giovedì, novembre 18, 2004
Might as well jump!
Questa e' probabilmente al notizia piu' incredibile che ho letto questa settimana: David Lee Roth sta svolgendo un tirocinio per diventare infermiere.
Gia' me lo immagino che appena gli arriva un paziente moribondo gli grida: JUMP!
ahahahah
Com'era due anni fa, agli MTV Video Music Award, con Sammy Hagar:
E com'e' ora:
Gia' me lo immagino che appena gli arriva un paziente moribondo gli grida: JUMP!
ahahahah
Com'era due anni fa, agli MTV Video Music Award, con Sammy Hagar:
E com'e' ora:
mercoledì, novembre 17, 2004
Democrazia e fede religiosa
Vicinanza o estraneità il problema di giusta distanza
Un vivace dibattito è in corso in Europa sul fattore religioso. Sino a che punto questo può (o deve) avere una sua "visibilità" e dunque un pubblico riconoscimento; e sino a che punto deve rimanere un fatto privato.
I termini del problema si stanno, in questo inizio di ventunesimo secolo, radicalmente spostando rispetto al vecchio ed ormai logoro dibattito sulla laicità. Allora si trattava di definire i rapporti fra "Stato" e "Chiesa" (o "chiese") e di delimitare gli spazi della reciproca autonomia, attraverso la stipulazione di accordi espressi, come nel caso dei concordati dell’Europa continentali, oppure taciti, come è avvenuto nell’area anglo-sassone; oggi occorre invece ripensare quale sia un possibile "statuto pubblico" della religione, al di là di quello "statuto privato" che tutti gli Stati di diritto hanno ormai riconosciuto, sulla base del principio della libertà religiosa.
Il mutamento di prospettiva non è di poco conto, perché il dibattito – come attestano il caso francese, le polemiche brussellesi, la vicenda spagnola – va registrando un vistoso spostamento del suo baricentro, appunto dal piano dello Stato a quello della società civile. Il problema non è più quello di valutare quale "peso" del religioso lo Stato debba "sopportare", ma quale è il ruolo del fattore religioso nella costruzione, e nel mantenimento, di una società che intenda essere automaticamente democratica.
Usi strumentali della religione si sono registrati in passato, si delineano nel presente, si prospetteranno in futuro, dato che una sorta di "male oscuro" che ricorrentemente inquina la politica è la tendenza a riaddurre tutto a se stessa; ma proprio per questo la coscienza religiosa deve costantemente vigilare per non farsi assorbire dalla politica.
Mantenere le distanze è dunque necessario, se si vuole evitare tanto l’uso politico della religione quanto la riduzione di essa a fatto intimistico e privatistico. Ma, negli attuali scenari europei, è appunto la delimitazione di questa giusta "distanza" - perché non diventi inquietante vicinanza al potere, ma nemmeno estraneità dei cristiani alla vita della città - che fa problema.
Alla più matura coscienza cristiana ripugnano ormai battaglie politiche, ed ancor più guerre, che si proclamano condotte in nome di Dio, con una ripresa di quel "Dio lo vuole" che nel Medio evo, quasi come oggi, era comune a cristiani e musulmani, anche se il nome di Dio era pronunziato e declinato in lingue diverse. Ma a questa stessa coscienza cristiana è del tutto estranea l’idea del confinamento del fatto religioso nel solo segreto delle coscienze o, al più, fra gli ammuffiti armadi delle sacrestie (come avrebbe voluto il vecchio laicismo ottocentesco). L’autentica laicità non è separatezza ma distinzione; e di distinzione si avverte un gran bisogno in questa Europa che sta incamminandosi sulla via di una nuova identità, tutta da costruire, ma che non potrà essere definita senza confrontarsi sino in fondo con quel fattore religioso che tanta parte ha avuto nella sua storia, lo si voglia o non lo si voglia riconoscere nei "sacri testi" costituzionali.
Spetta soprattutto ai credenti – a coloro, cioè, ai quali si deve se solo nella vecchia Europa cristiana, solo in questa piccola e periferica area del mondo, si è definita la distinzione fra "regno di Dio" e "regno di Cesare" – impegnarsi per edificare questa nuova laicità, fondata sul reciproco rispetto e sul comune amore per la città. È questa la più preziosa eredità che il Vecchio Continente può trasmettere ad un vastissimo "resto del mondo", quello non occidentale, ancora alla ricerca di un corretto rapporto fra religione e potere, senza commistioni e senza separatezze.
Giorgio Campanini, Avvenire 16 novembre.
Un vivace dibattito è in corso in Europa sul fattore religioso. Sino a che punto questo può (o deve) avere una sua "visibilità" e dunque un pubblico riconoscimento; e sino a che punto deve rimanere un fatto privato.
I termini del problema si stanno, in questo inizio di ventunesimo secolo, radicalmente spostando rispetto al vecchio ed ormai logoro dibattito sulla laicità. Allora si trattava di definire i rapporti fra "Stato" e "Chiesa" (o "chiese") e di delimitare gli spazi della reciproca autonomia, attraverso la stipulazione di accordi espressi, come nel caso dei concordati dell’Europa continentali, oppure taciti, come è avvenuto nell’area anglo-sassone; oggi occorre invece ripensare quale sia un possibile "statuto pubblico" della religione, al di là di quello "statuto privato" che tutti gli Stati di diritto hanno ormai riconosciuto, sulla base del principio della libertà religiosa.
Il mutamento di prospettiva non è di poco conto, perché il dibattito – come attestano il caso francese, le polemiche brussellesi, la vicenda spagnola – va registrando un vistoso spostamento del suo baricentro, appunto dal piano dello Stato a quello della società civile. Il problema non è più quello di valutare quale "peso" del religioso lo Stato debba "sopportare", ma quale è il ruolo del fattore religioso nella costruzione, e nel mantenimento, di una società che intenda essere automaticamente democratica.
Usi strumentali della religione si sono registrati in passato, si delineano nel presente, si prospetteranno in futuro, dato che una sorta di "male oscuro" che ricorrentemente inquina la politica è la tendenza a riaddurre tutto a se stessa; ma proprio per questo la coscienza religiosa deve costantemente vigilare per non farsi assorbire dalla politica.
Mantenere le distanze è dunque necessario, se si vuole evitare tanto l’uso politico della religione quanto la riduzione di essa a fatto intimistico e privatistico. Ma, negli attuali scenari europei, è appunto la delimitazione di questa giusta "distanza" - perché non diventi inquietante vicinanza al potere, ma nemmeno estraneità dei cristiani alla vita della città - che fa problema.
Alla più matura coscienza cristiana ripugnano ormai battaglie politiche, ed ancor più guerre, che si proclamano condotte in nome di Dio, con una ripresa di quel "Dio lo vuole" che nel Medio evo, quasi come oggi, era comune a cristiani e musulmani, anche se il nome di Dio era pronunziato e declinato in lingue diverse. Ma a questa stessa coscienza cristiana è del tutto estranea l’idea del confinamento del fatto religioso nel solo segreto delle coscienze o, al più, fra gli ammuffiti armadi delle sacrestie (come avrebbe voluto il vecchio laicismo ottocentesco). L’autentica laicità non è separatezza ma distinzione; e di distinzione si avverte un gran bisogno in questa Europa che sta incamminandosi sulla via di una nuova identità, tutta da costruire, ma che non potrà essere definita senza confrontarsi sino in fondo con quel fattore religioso che tanta parte ha avuto nella sua storia, lo si voglia o non lo si voglia riconoscere nei "sacri testi" costituzionali.
Spetta soprattutto ai credenti – a coloro, cioè, ai quali si deve se solo nella vecchia Europa cristiana, solo in questa piccola e periferica area del mondo, si è definita la distinzione fra "regno di Dio" e "regno di Cesare" – impegnarsi per edificare questa nuova laicità, fondata sul reciproco rispetto e sul comune amore per la città. È questa la più preziosa eredità che il Vecchio Continente può trasmettere ad un vastissimo "resto del mondo", quello non occidentale, ancora alla ricerca di un corretto rapporto fra religione e potere, senza commistioni e senza separatezze.
Giorgio Campanini, Avvenire 16 novembre.
martedì, novembre 16, 2004
Non piangete per Arafat
Ci dispiace, ma proprio non ce la sentiamo di unirci al coro funebre che canta le lodi di Yasser Arafat. Dei morti non si dovrebbe dire che bene, ma in un momento politico così delicato bisogna anche evitare di dire bugie.
Non è vero che con Arafat scompare il padre del popolo della Palestina. Se il popolo palestinese dei Territori resta uno dei più poveri del mondo, la colpa è in buona parte di Arafat e della sua avida famiglia. Secondo la Cnn gli Arafat - negozianti e piccoli impiegati quando comincia l'ascesa di Yasser - sono tra le venti famiglie più ricche del mondo. Arafat e una quarantina di familiari - moderna versione di Alì Babà e dei quaranta ladroni - sono più ricchi di molte dinastie imprenditoriali europee. Personalmente, Yasser Arafat era il sesto capo di Stato o di governo più ricco del pianeta secondo la rivista Forbes: subito dopo la regina Elisabetta ma molto più avanti di Silvio Berlusconi. Da dove vengono questi soldi? Non più dall'Arabia Saudita, che da tempo ha tagliato i fondi ad Arafat e preferisce sostenere Hamas. Il grosso viene dall'Unione Europea, che negli anni 2000 ha versato in media all'Autorità Nazionale Palestinese 232 milioni di Euro all'anno, senza contare i contributi indiretti passati tramite l'Onu. Un autentico fiume di denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti europei, italiani compresi, che si è disperso per conti bancari di tutto il mondo e ha permesso al “padre del popolo” di diventare uno dei grandi miliardari internazionali mentre i suoi “figli” continuano a vivere di stenti. Si comprende come, quando si parla di lotta per l'eredità di Arafat in corso senza esclusione di colpi tra collaboratori e familiari, non si tratti solo di un'eredità politica.
Non è vero che Arafat era un uomo di pace. Certo, si può affermare che non utilizzava il grosso dei fondi europei per finanziare il terrorismo, visto che la parte più cospicua rimaneva nelle tasche sue, della moglie e di una variopinta corte dei miracoli. E tuttavia rimaneva abbastanza per sostenere gli attentati. Due avvocati che rappresentano i i familiari dei morti di nazionalità francese negli attentati suicidi in Israele in una causa davanti al Tribunale di Parigi dove chiedono che si accertino le responsabilità personali del leader palestinese nel terrorismo hanno appena pubblicato presso la casa editrice Albin Michel Le dossier Arafat, un'impressionante compilazione di documenti che attestano pagamenti sistematici da parte del raìs e dei suoi più diretti collaboratori a terroristi delle Brigate dei Martiri al-Aqsa (la branca laico-nazionalista del terrorismo palestinese, concorrente di quella religiosa di Hamas) e alle loro famiglie. Emergono anche documenti politici, secondo cui Arafat incoraggiava consapevolmente gli attentati per rendere più difficile una pace che, favorendo una Palestina democratica, avrebbe permesso ai palestinesi di spazzare via il suo regime di corruzione. Non manca neppure qualche sordida storia di coltivazione e commercio di droga, in aggiunta al contrabbando e ai contatti con la criminalità organizzata di mezzo mondo.
Infine, non è vero che Arafat garantisse la Palestina dal caos. Ormai non controllava più gran che. Il caos era già scoppiato non perché gli ultra-fondamentalisti islamici fossero migliori di lui sul piano morale o politico, ma perché gli infiniti scheletri nell'armadio del raìs gli impedivano di condannarli, e tra le sue stesse truppe era scoppiata la guerra per dividersi il tesoro dei quaranta ladroni.
Massimo Introvigne (il Giornale, 11 novembre 2004)
Non è vero che con Arafat scompare il padre del popolo della Palestina. Se il popolo palestinese dei Territori resta uno dei più poveri del mondo, la colpa è in buona parte di Arafat e della sua avida famiglia. Secondo la Cnn gli Arafat - negozianti e piccoli impiegati quando comincia l'ascesa di Yasser - sono tra le venti famiglie più ricche del mondo. Arafat e una quarantina di familiari - moderna versione di Alì Babà e dei quaranta ladroni - sono più ricchi di molte dinastie imprenditoriali europee. Personalmente, Yasser Arafat era il sesto capo di Stato o di governo più ricco del pianeta secondo la rivista Forbes: subito dopo la regina Elisabetta ma molto più avanti di Silvio Berlusconi. Da dove vengono questi soldi? Non più dall'Arabia Saudita, che da tempo ha tagliato i fondi ad Arafat e preferisce sostenere Hamas. Il grosso viene dall'Unione Europea, che negli anni 2000 ha versato in media all'Autorità Nazionale Palestinese 232 milioni di Euro all'anno, senza contare i contributi indiretti passati tramite l'Onu. Un autentico fiume di denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti europei, italiani compresi, che si è disperso per conti bancari di tutto il mondo e ha permesso al “padre del popolo” di diventare uno dei grandi miliardari internazionali mentre i suoi “figli” continuano a vivere di stenti. Si comprende come, quando si parla di lotta per l'eredità di Arafat in corso senza esclusione di colpi tra collaboratori e familiari, non si tratti solo di un'eredità politica.
Non è vero che Arafat era un uomo di pace. Certo, si può affermare che non utilizzava il grosso dei fondi europei per finanziare il terrorismo, visto che la parte più cospicua rimaneva nelle tasche sue, della moglie e di una variopinta corte dei miracoli. E tuttavia rimaneva abbastanza per sostenere gli attentati. Due avvocati che rappresentano i i familiari dei morti di nazionalità francese negli attentati suicidi in Israele in una causa davanti al Tribunale di Parigi dove chiedono che si accertino le responsabilità personali del leader palestinese nel terrorismo hanno appena pubblicato presso la casa editrice Albin Michel Le dossier Arafat, un'impressionante compilazione di documenti che attestano pagamenti sistematici da parte del raìs e dei suoi più diretti collaboratori a terroristi delle Brigate dei Martiri al-Aqsa (la branca laico-nazionalista del terrorismo palestinese, concorrente di quella religiosa di Hamas) e alle loro famiglie. Emergono anche documenti politici, secondo cui Arafat incoraggiava consapevolmente gli attentati per rendere più difficile una pace che, favorendo una Palestina democratica, avrebbe permesso ai palestinesi di spazzare via il suo regime di corruzione. Non manca neppure qualche sordida storia di coltivazione e commercio di droga, in aggiunta al contrabbando e ai contatti con la criminalità organizzata di mezzo mondo.
Infine, non è vero che Arafat garantisse la Palestina dal caos. Ormai non controllava più gran che. Il caos era già scoppiato non perché gli ultra-fondamentalisti islamici fossero migliori di lui sul piano morale o politico, ma perché gli infiniti scheletri nell'armadio del raìs gli impedivano di condannarli, e tra le sue stesse truppe era scoppiata la guerra per dividersi il tesoro dei quaranta ladroni.
Massimo Introvigne (il Giornale, 11 novembre 2004)
lunedì, novembre 15, 2004
Boulevard of broken dreams
Anche se Billie Joe con il trucco mi sembra veramente un idiota, i Green Day rimangono uno dei miei gruppi preferiti.
Oggi ho visto Boulevard of Broken Dreams, il loro ultimo video. Notevole.
Non chiedetemi perche', ma l'ho trovato la perfetta colonna sonora per questo articolo di Cornelio Fabro.
(...)
Nietzsche ha sentito il problema di Dio e di Cristo forse con un'intensità maggiore di qualsiasi filosofo moderno, la sua negazione e la sua denuncia ne sono la misura, come il dramma della sua malattia è stato l'indice di supremo dolore della sua sincerità: la coerenza del pensiero non può essere sottratta alle sue responsabilità e tocca al filosofo per primo pagarne lo scotto di persona. L'ateismo (nichilismo) di Nietzsche non è quindi, e Heidegger non manca di notarlo, un evento fortuito: non è un fatto o atteggiamento personale ma è la cadenza essenziale e perciò inevitabile del pensiero moderno sistematico e di quel tipo in genere di pensiero che, a cominciare da Platone, ha preteso di «pensare» Dio. È la dichiarazione esplicita di Heidegger: «Il nichilismo, pensato nella sua essenza, è il movimento fondamentale della storia dell'Occidente. Esso rivela un corso così profondamente sotterraneo che il suo sviluppo non potrà determinare che catastrofi mondiali». E precisa: «Il nichilismo non prende inizio soltanto là dove il Dio cristiano è negato, il cristianesimo combattuto o dove è predicato un ateismo volgare su basi di libero pensiero» (p. 200). La espressione allora «Dio è morto» non è una semplice formula di miscredenza accanto alle altre che accomuna Nietzsche a Prodico di Ceo o a D'Holbach e a Lamettrie… essa esprime piuttosto il «destino dell'Occidente» nella perdita del Sacro e del Trascendente che il cogito stesso si è dato col proposito di far emergere l'homo faber sull'homo sapiens, di affermare il primato della scienza e della tecnica sulla sapienza della filosofia e l'impeto dell'arte e della poesia. La sua negazione è protesta e sofferenza per un mondo che sprofonda in se stesso e si pasce di oblio dello spirito e d'ignoranza delle sue negazioni.
Nell'interpretazione di Heidegger, discutibile ma sempre illuminante, il nichilismo di Nietzsche non coincide neppure con la «non-credenza nel Dio cristiano nella rivelazione biblica», poiché ciò che Nietzsche intendeva combattere non era «…la vita cristiana quale sussistente per breve tempo prima della composizione degli Evangeli e della propaganda missionaria di Paolo», ma piuttosto il Cristianesimo come «…l'apparizione storica e politico-mondana della Chiesa e delle sue pretese di potenza nella formazione dell'umanità occidentale e della sua civiltà moderna». Ed è sintomatico il commento di Heidegger: «Il Cristianesimo in questo senso e la cristianità della fede non sono la medesima cosa. Anche una vita non cristiana può aderire al Cristianesimo e utilizzarlo come fattore di potenza; come, al contrario, una vita cristiana non richiede necessariamente il Cristianesimo» (p. 201). Interpretazione certamente stravagante e giudizio troppo sommario, questi di Heidegger per quanti vivono la fede cristiana dall'interno del suo messaggio di misericordia e di salvezza: interpretazione però coerente e inevitabile per quanti accettano con Heidegger stesso il fondamento del cogito moderno e pongono la soggettività umana ovvero la libertà ch'è legge a se stessa al fondo della verità. Non a caso l'ultima formula citata sembra anticipare, perfino nell'espressione letterale, le formule della nuova teologia protestante ancorata allo etsi Deus non daretur di Bonhoeffer: una teologia la quale rifiuta ogni struttura semantica che è tacciata per «ellenismo» e quindi è portata a negare ogni distinzione di natura e sovrannatura, di empietà e fede, di virtù e peccato… per approfondirsi nella negazione – non per superarla – ma per vivere di essa. Avrebbe così ragione Hegel quando dichiara (nell'Introduzione alla Filosofia del diritto) di aver voluto portare a termine l'affermazione della soggettività iniziata da Lutero? Ma com'è possibile allora un Cristianesimo come dono soprannaturale e rivelazione della salvezza, quando il peccato è ridotto a mera negatività dialettica? E come può un siffatto indirizzo di secolarizzazione radicale, di storicismo teologico, di una teologia dell'immanenza, che fila dritta verso la negazione-superamento radicale dei dogmi e della morale tradizionale, attirare nella sua orbita – sotto il facile pretesto di ecumenismo teologico – anche vaste sfere della teologia cattolica contemporanea? Non è questo piuttosto un sintomo che la protesta di Nietzsche deve avere oggi una risposta decisiva anche da parte cattolica?
La lezione di Heidegger può ben essere riconosciuta, anche sotto quest'aspetto, la più esemplare nella diagnosi del pensiero moderno per avvertire l'equivoco di fondo che si profila in ampi settori della coscienza cristiana contemporanea.
(1968)
I'm walking down the line
That divides me somewhere in my mind
On the border line of the edge
And where I walk alone
Read between the lines of what's
Fucked up and everything's alright,
Check my vital signs to know I'm still alive,
And I walk alone
My shadow's the only one that walks beside me,
My shallow heart's the only thing that's beating,
Sometimes I wish someone out there will find me,
'Til then I walk alone
I walk this empty street
On the Blvd. of broken dreams
Where the city sleeps
And I'm the only one and I walk alone
Oggi ho visto Boulevard of Broken Dreams, il loro ultimo video. Notevole.
Non chiedetemi perche', ma l'ho trovato la perfetta colonna sonora per questo articolo di Cornelio Fabro.
(...)
Nietzsche ha sentito il problema di Dio e di Cristo forse con un'intensità maggiore di qualsiasi filosofo moderno, la sua negazione e la sua denuncia ne sono la misura, come il dramma della sua malattia è stato l'indice di supremo dolore della sua sincerità: la coerenza del pensiero non può essere sottratta alle sue responsabilità e tocca al filosofo per primo pagarne lo scotto di persona. L'ateismo (nichilismo) di Nietzsche non è quindi, e Heidegger non manca di notarlo, un evento fortuito: non è un fatto o atteggiamento personale ma è la cadenza essenziale e perciò inevitabile del pensiero moderno sistematico e di quel tipo in genere di pensiero che, a cominciare da Platone, ha preteso di «pensare» Dio. È la dichiarazione esplicita di Heidegger: «Il nichilismo, pensato nella sua essenza, è il movimento fondamentale della storia dell'Occidente. Esso rivela un corso così profondamente sotterraneo che il suo sviluppo non potrà determinare che catastrofi mondiali». E precisa: «Il nichilismo non prende inizio soltanto là dove il Dio cristiano è negato, il cristianesimo combattuto o dove è predicato un ateismo volgare su basi di libero pensiero» (p. 200). La espressione allora «Dio è morto» non è una semplice formula di miscredenza accanto alle altre che accomuna Nietzsche a Prodico di Ceo o a D'Holbach e a Lamettrie… essa esprime piuttosto il «destino dell'Occidente» nella perdita del Sacro e del Trascendente che il cogito stesso si è dato col proposito di far emergere l'homo faber sull'homo sapiens, di affermare il primato della scienza e della tecnica sulla sapienza della filosofia e l'impeto dell'arte e della poesia. La sua negazione è protesta e sofferenza per un mondo che sprofonda in se stesso e si pasce di oblio dello spirito e d'ignoranza delle sue negazioni.
Nell'interpretazione di Heidegger, discutibile ma sempre illuminante, il nichilismo di Nietzsche non coincide neppure con la «non-credenza nel Dio cristiano nella rivelazione biblica», poiché ciò che Nietzsche intendeva combattere non era «…la vita cristiana quale sussistente per breve tempo prima della composizione degli Evangeli e della propaganda missionaria di Paolo», ma piuttosto il Cristianesimo come «…l'apparizione storica e politico-mondana della Chiesa e delle sue pretese di potenza nella formazione dell'umanità occidentale e della sua civiltà moderna». Ed è sintomatico il commento di Heidegger: «Il Cristianesimo in questo senso e la cristianità della fede non sono la medesima cosa. Anche una vita non cristiana può aderire al Cristianesimo e utilizzarlo come fattore di potenza; come, al contrario, una vita cristiana non richiede necessariamente il Cristianesimo» (p. 201). Interpretazione certamente stravagante e giudizio troppo sommario, questi di Heidegger per quanti vivono la fede cristiana dall'interno del suo messaggio di misericordia e di salvezza: interpretazione però coerente e inevitabile per quanti accettano con Heidegger stesso il fondamento del cogito moderno e pongono la soggettività umana ovvero la libertà ch'è legge a se stessa al fondo della verità. Non a caso l'ultima formula citata sembra anticipare, perfino nell'espressione letterale, le formule della nuova teologia protestante ancorata allo etsi Deus non daretur di Bonhoeffer: una teologia la quale rifiuta ogni struttura semantica che è tacciata per «ellenismo» e quindi è portata a negare ogni distinzione di natura e sovrannatura, di empietà e fede, di virtù e peccato… per approfondirsi nella negazione – non per superarla – ma per vivere di essa. Avrebbe così ragione Hegel quando dichiara (nell'Introduzione alla Filosofia del diritto) di aver voluto portare a termine l'affermazione della soggettività iniziata da Lutero? Ma com'è possibile allora un Cristianesimo come dono soprannaturale e rivelazione della salvezza, quando il peccato è ridotto a mera negatività dialettica? E come può un siffatto indirizzo di secolarizzazione radicale, di storicismo teologico, di una teologia dell'immanenza, che fila dritta verso la negazione-superamento radicale dei dogmi e della morale tradizionale, attirare nella sua orbita – sotto il facile pretesto di ecumenismo teologico – anche vaste sfere della teologia cattolica contemporanea? Non è questo piuttosto un sintomo che la protesta di Nietzsche deve avere oggi una risposta decisiva anche da parte cattolica?
La lezione di Heidegger può ben essere riconosciuta, anche sotto quest'aspetto, la più esemplare nella diagnosi del pensiero moderno per avvertire l'equivoco di fondo che si profila in ampi settori della coscienza cristiana contemporanea.
(1968)
I'm walking down the line
That divides me somewhere in my mind
On the border line of the edge
And where I walk alone
Read between the lines of what's
Fucked up and everything's alright,
Check my vital signs to know I'm still alive,
And I walk alone
My shadow's the only one that walks beside me,
My shallow heart's the only thing that's beating,
Sometimes I wish someone out there will find me,
'Til then I walk alone
I walk this empty street
On the Blvd. of broken dreams
Where the city sleeps
And I'm the only one and I walk alone
Avviso agli amici
Per un po' di giorni non potro' utilizzare il mio computer portatile, dove ho la posta.
Chi mi ha scritto ultimamente e sta aspettando una mia risposta, deve avere un po' di pazienza.
Chi mi ha scritto ultimamente e sta aspettando una mia risposta, deve avere un po' di pazienza.
Scritti fucini
Per chi si trova a Milano e dintorni.
Martedì 23 novembre 2004, alle ore 15.30, in sala Negri da Oleggio
(Università Cattolica, Largo A. Gemelli, 1 – Milano)
Luciano Pazzaglia e Luigi Franco Pizzolato presentano il volume:
Giovanni Battista Montini, Scritti fucini (1925-1933), Studium, Roma 2004.
Sarà presente Massimo Marcocchi, curatore del volume.
Per informazioni:
Gruppo F.U.C.I. “G. Lazzati”
Università Cattolica - Largo A. Gemelli, 1 – 20123 Milano
tel. 02/7234.2565
fuci@fucicattolica.it
Martedì 23 novembre 2004, alle ore 15.30, in sala Negri da Oleggio
(Università Cattolica, Largo A. Gemelli, 1 – Milano)
Luciano Pazzaglia e Luigi Franco Pizzolato presentano il volume:
Giovanni Battista Montini, Scritti fucini (1925-1933), Studium, Roma 2004.
Sarà presente Massimo Marcocchi, curatore del volume.
Per informazioni:
Gruppo F.U.C.I. “G. Lazzati”
Università Cattolica - Largo A. Gemelli, 1 – 20123 Milano
tel. 02/7234.2565
fuci@fucicattolica.it
domenica, novembre 14, 2004
L'embrione sono io
Nel dialogo, assai stimolante, tra il cardinal Ratzinger ed lo storico Della Loggia quest'ultimo tocca, ad un certo punto, un argomento interessante, e cioè se vi sia "un'identificazione tra il concetto di vita e il concetto di persona": "l'embrione e la persona - afferma -sono due cose diverse, due cose diverse devono avere diritti, statuti diversi". Il problema, in effetti, è assai arduo, e la palla va rilanciata, perché altri, più acuti, più preparati e più autorevoli di me, continuino la discussione interrotta, a dire il vero, da secoli.
Già in epoca romana, però, una qualche percezione dell'importanza del concepito è presente nella disposizione secondo cui "conceptus pro iam nato habetur, quoties de eius commodis agitur" (il concepito è considerato come nato ogniqualvolta si tratta dei suoi interessi). Anche nel mondo cattolico la storia dello statuto dell'embrione è assai complicata e difficile, per il semplice fatto che per secoli conoscenze scientifiche vaghe si sposano a diverse teorie sui tempi dell'infusione dell'anima, e ne derivano anche, ad esempio, diverse concezioni sulla liceità o meno di eventuali aborti, specie terapeutici.
Secondo Giulia Galeotti, nel suo "Storia dell'aborto" (Il Mulino), la Chiesa già nel 1679 con bolla pontificia di Innocenzo XI afferma che il concepito è persona fin dal suo inizio. Nel secondo Ottocento la posizione della Chiesa, nel pensiero dei teologi Ballerini e Palmieri, sostiene piuttosto irrevocabilmente l'animazione immediata, con tutto ciò questo può evidentemente comportare. Che l'embrione sia già vita umana, e addirittura persona, non è cosa immediatamente comprensibile, tanto più che sino a pochi decenni fa non mancava chi presentasse non l'embrione, ma il feto, come un "semplice grumo di cellule".
Oggi, non da molto, la scienza, anche grazie alle nuove ecografie tridimensionali, ci dice che il feto, in utero, ascolta, gusta i sapori, sente i movimenti, gli odori, percepisce dolore e piacere, fors' anche sogna e ride, espressione quest'ultima, diceva Aristotele, propria solo del genere umano. Carlo Bellieni, celebre pediatra, racconta nel suo "Se questo non è un uomo" (edizioni Ancora) che è possibile fare un encefalogramma al piccolissimo prematuro di 30 settimane per verificare la sua attività cerebrale e gli stati di sonno che attraversa: si nota allora che il feto inizia a presentare una chiara differenziazione tra Sonno Quieto (sonno Nrem) e Sonno Attivo (sonno Rem).
Ma tutto questo, mi si potrebbe obiettare, sebbene dica qualcosa all'intuito, alla percezione immediata, non dimostra affatto che l'embrione sia definibile come persona. Persona, per il latino Boezio, è una "sostanza individuale di una natura razionale". L'embrione rientra in questa definizione? La scienza, oggi, ci può dire con chiarezza che l'embrione è in potenza esattamente quello che sarà in atto, in quanto possiede già totalmente il suo patrimonio cromosomico e genetico, che dal nucleo dello zigote verrà trasmesso al nucleo di ciascuna dei miliardi di cellule del corpo umano nel suo complesso. Tale patrimonio, detto genoma, è un "manuale completo di istruzioni per la fabbricazione e il funzionamento dell'intero organismo", ed è esclusivo, unico, per ciascun individuo (tanto che la prova del Dna ha valore dirimente nei procedimenti giudiziari).
Lo sviluppo embrionale è graduale, senza alcuna soluzione di continuità, senza alcun momento di passaggio intermedio che segni un netto stacco, senza alcun salto: la sua è una potenzialità il cui principio generatore non è esterno, ma interno, capace di realizzarsi da se stesso, al punto che potremmo dire che "egli è certamente un bambino, un adulto, un anziano potenziale, perché tale diventerà, ma è già un uomo in atto, perché ha già l'appartenenza biologica alla specie umana" (Mario Palmaro, "Ma questo è un uomo", San Paolo). La scienza, indirettamente, afferma dunque che ci troviamo di fronte ad un essere unico, irripetibile, con una sua chiara e specifica identità genetica, peculiare a lui solo: potremmo dire, con Boezio, ad una "sostanza individuale", che inoltre appartiene, innegabilmente, alla natura umana, che è natura razionale.
Scriveva già nel lontano 1947 il famoso biologo Jean Rostand, in "L'avventura umana dal germe al neonato", che "dal momento della fecondazione la parte più importante della costituzione fisica è determinata. Per il solo fatto che l'uovo ha ricevuto quei dati cromosomi, nulla potrebbe impedire, se esso si sviluppa, che produca un individuo di un dato sesso, con una data qualità di capelli, una data forma di cranio, un dato colore di occhi…: un pittore onnisciente potrebbe derivare l'immagine di qualsiasi individuo dal semplice esame dei cromosomi dell'uovo fecondato dal quale nascerà".
La scoperta del Dna ha evidentemente rafforzato queste convinzioni (pur con i necessari distinguo che non ci facciano cadere in un determinismo biologico). Eppure accade che proprio medici favorevoli alla fecondazione in vitro, pur negando lo statuto di persona all'embrione, dichiarino però poi di saper leggere con la diagnosi pre-impianto la vita futura, le malattie precoci e quelle tardive, il sesso dell'embrione analizzato: "come è possibile che un 'non individuo' (peraltro indiscutibilmente umano)- tale è il concepito fin al quattordicesimo giorno secondo il rapporto Warnock - abbia già un sesso?", si chiede il Palmaro nell'opera citata.
La difficoltà in cui si dibattono gli scienziati odierni che desiderano utilizzare gli embrioni come fossero vita qualsiasi, quella di una pianta o di un verme, è tale che il dottor Flamigni, massimo esperto italiano di Fiv, di fronte alla domanda che ha introdotto il nostro articolo, non risponde da scienziato e da medico quale egli è, ma glissa elegantemente, affermando che "la riflessione filosofica laica tende a rimuovere la discussione sullo statuto ontologico dell'embrione dal terreno della biologia e ad affrontarlo su quello della filosofia" ("La procreazione assistita", Il Mulino).
E' lecito che un autore di fecondazione in vitro, con il massacro di embrioni che essa comporta, non affronti il problema di cosa sia l'embrione dal punto di vista biologico, ma si muova nel campo, più ampio e arioso, della filosofia, solo per poter arrivare, in qualche modo, a non rispondere? Infatti a ben vedere si può girare il nostro quesito, assai difficile, sull'essenza dell'embrione, in questo modo: la tecnica della fecondazione in vitro, che sacrifica gli embrioni a centinaia, lo fa forse dopo aver scientemente negato loro lo statuto di vite umane o quello di persone? Assolutamente no: Flamigni arriva a dire che "il problema è filosofico e non biologico". Ma, filosoficamente, in quale momento porre l'inizio della persona, se biologicamente è appurato non esistere nessuna discontinuità all'interno dello sviluppo dell'embrione? Esiste in questo progredire biologico un punto di passaggio tra la non persona e la persona, un momento, un segno, una causa di questo passaggio? Che il ragionamento alla Flamigni non stia in piedi lo dimostra il fatto che le varie teorie secondo cui l'embrione non sarebbe persona finiscono per essere estremamente fragili, aleatorie, e, per questo, assai numerose e contrastanti tra loro.
Mario Palmaro, nell'opera citata, raccoglie una lunga serie di teorie sul momento in cui la vita umana diverrebbe personale, o comunque tutelabile: secondo alcuni dal quattordicesimo giorno, secondo altri dalla nascita, secondo altri ancora dalla cosiddetta nascita cerebrale (XX settimana); per altri, con conseguenze a ben vedere terribili, dalle prime manifestazioni di autocoscienza e di capacità di ragionamento (non sarebbero persone, quindi, neppure i bambini o i vecchi in stato confusionale)… Tante teorie proprio perché non esiste un solo fondamento biologico e logico alla affermazione secondo cui l'embrione non è persona sin dall'inizio: si sposta allora la linea di demarcazione a seconda delle esigenze del momento, come ad esempio il fare ricerca, o in base a posizioni puramente ideologiche. Maurizio Mori, celeberrimo bioeticista, amico e collaboratore del dottor Flamigni, ha il merito di sviluppare coerentemente la concezione secondo cui la vita umana è cosa distinta dell'essere persona. Afferma infatti che coloro che sono allo stato vegetativo non sarebbero più persone, ma solo esseri umani, per cui potrebbero "lasciare i propri resti corporei per la sperimentazione scientifica, per sperimentare nuovi farmaci…secondo me sono già morti indipendentemente dal fatto che respirino" (intervista consultabile in internet). Altrove aveva sostenuto che "un organismo è persona solo dopo aver esercitato una volta l'attività simbolica" (M.Palmaro, op.cit), e cioè l'autocoscienza e l'intelligenza: un dormiente sarebbe dunque persona, ma per la sua attività pregressa, non così l'embrione, e, a ben guardare, neppure il neonato.
Sulla stessa linea di Mori vi sono filosofi come Singer ("Animal liberation") o H.T. Engelhardt, secondo il quale gli embrioni, i feti, i neonati e gli uomini in stato vegetativo non sono persone ed hanno uno status inferiore a quello dei mammiferi adulti non umani (Manuale di bioetica, Il Saggiatore).
Dovrebbero farci terrore questi dogmatici della propria personalissima ed infondatissima opinione, che si fanno giudici della vita e della morte altrui. Di fronte ad essi mi sembra un principio di logica, di precauzione e di umanità, riconoscere che quella natura umana in evoluzione che è l'embrione, così individuale e speciale, così potenzialmente e attualmente presente, sia effettivamente persona; riconoscere che tra uomo e persona non vi è distinzione. Mi sembra infine di poter aggiungere che per una concezione materialista l'ottica sia paradossalmente la stessa: se per me, cattolico, l'infinita dignità di un embrione risiede essenzialmente nella sua anima immortale, immessa da Dio all'atto del concepimento, a maggior ragione per chi non crede nell'esistenza di un'anima immortale (e per i deterministi biologici) rimane certo che la natura dell'embrione zigote, indubbiamente umana, già geneticamente completa, è la stessa identica materia in evoluzione che si svilupperà dal bambino all' anziano. Allora, chi può stabilire diritti e statuti diversi? In base a che cosa? A partire da quale istante? Secondo quali concetti, filosofici o biologici? Per quali fini?
Francesco Agnoli, Il Foglio 2.11.2004
Già in epoca romana, però, una qualche percezione dell'importanza del concepito è presente nella disposizione secondo cui "conceptus pro iam nato habetur, quoties de eius commodis agitur" (il concepito è considerato come nato ogniqualvolta si tratta dei suoi interessi). Anche nel mondo cattolico la storia dello statuto dell'embrione è assai complicata e difficile, per il semplice fatto che per secoli conoscenze scientifiche vaghe si sposano a diverse teorie sui tempi dell'infusione dell'anima, e ne derivano anche, ad esempio, diverse concezioni sulla liceità o meno di eventuali aborti, specie terapeutici.
Secondo Giulia Galeotti, nel suo "Storia dell'aborto" (Il Mulino), la Chiesa già nel 1679 con bolla pontificia di Innocenzo XI afferma che il concepito è persona fin dal suo inizio. Nel secondo Ottocento la posizione della Chiesa, nel pensiero dei teologi Ballerini e Palmieri, sostiene piuttosto irrevocabilmente l'animazione immediata, con tutto ciò questo può evidentemente comportare. Che l'embrione sia già vita umana, e addirittura persona, non è cosa immediatamente comprensibile, tanto più che sino a pochi decenni fa non mancava chi presentasse non l'embrione, ma il feto, come un "semplice grumo di cellule".
Oggi, non da molto, la scienza, anche grazie alle nuove ecografie tridimensionali, ci dice che il feto, in utero, ascolta, gusta i sapori, sente i movimenti, gli odori, percepisce dolore e piacere, fors' anche sogna e ride, espressione quest'ultima, diceva Aristotele, propria solo del genere umano. Carlo Bellieni, celebre pediatra, racconta nel suo "Se questo non è un uomo" (edizioni Ancora) che è possibile fare un encefalogramma al piccolissimo prematuro di 30 settimane per verificare la sua attività cerebrale e gli stati di sonno che attraversa: si nota allora che il feto inizia a presentare una chiara differenziazione tra Sonno Quieto (sonno Nrem) e Sonno Attivo (sonno Rem).
Ma tutto questo, mi si potrebbe obiettare, sebbene dica qualcosa all'intuito, alla percezione immediata, non dimostra affatto che l'embrione sia definibile come persona. Persona, per il latino Boezio, è una "sostanza individuale di una natura razionale". L'embrione rientra in questa definizione? La scienza, oggi, ci può dire con chiarezza che l'embrione è in potenza esattamente quello che sarà in atto, in quanto possiede già totalmente il suo patrimonio cromosomico e genetico, che dal nucleo dello zigote verrà trasmesso al nucleo di ciascuna dei miliardi di cellule del corpo umano nel suo complesso. Tale patrimonio, detto genoma, è un "manuale completo di istruzioni per la fabbricazione e il funzionamento dell'intero organismo", ed è esclusivo, unico, per ciascun individuo (tanto che la prova del Dna ha valore dirimente nei procedimenti giudiziari).
Lo sviluppo embrionale è graduale, senza alcuna soluzione di continuità, senza alcun momento di passaggio intermedio che segni un netto stacco, senza alcun salto: la sua è una potenzialità il cui principio generatore non è esterno, ma interno, capace di realizzarsi da se stesso, al punto che potremmo dire che "egli è certamente un bambino, un adulto, un anziano potenziale, perché tale diventerà, ma è già un uomo in atto, perché ha già l'appartenenza biologica alla specie umana" (Mario Palmaro, "Ma questo è un uomo", San Paolo). La scienza, indirettamente, afferma dunque che ci troviamo di fronte ad un essere unico, irripetibile, con una sua chiara e specifica identità genetica, peculiare a lui solo: potremmo dire, con Boezio, ad una "sostanza individuale", che inoltre appartiene, innegabilmente, alla natura umana, che è natura razionale.
Scriveva già nel lontano 1947 il famoso biologo Jean Rostand, in "L'avventura umana dal germe al neonato", che "dal momento della fecondazione la parte più importante della costituzione fisica è determinata. Per il solo fatto che l'uovo ha ricevuto quei dati cromosomi, nulla potrebbe impedire, se esso si sviluppa, che produca un individuo di un dato sesso, con una data qualità di capelli, una data forma di cranio, un dato colore di occhi…: un pittore onnisciente potrebbe derivare l'immagine di qualsiasi individuo dal semplice esame dei cromosomi dell'uovo fecondato dal quale nascerà".
La scoperta del Dna ha evidentemente rafforzato queste convinzioni (pur con i necessari distinguo che non ci facciano cadere in un determinismo biologico). Eppure accade che proprio medici favorevoli alla fecondazione in vitro, pur negando lo statuto di persona all'embrione, dichiarino però poi di saper leggere con la diagnosi pre-impianto la vita futura, le malattie precoci e quelle tardive, il sesso dell'embrione analizzato: "come è possibile che un 'non individuo' (peraltro indiscutibilmente umano)- tale è il concepito fin al quattordicesimo giorno secondo il rapporto Warnock - abbia già un sesso?", si chiede il Palmaro nell'opera citata.
La difficoltà in cui si dibattono gli scienziati odierni che desiderano utilizzare gli embrioni come fossero vita qualsiasi, quella di una pianta o di un verme, è tale che il dottor Flamigni, massimo esperto italiano di Fiv, di fronte alla domanda che ha introdotto il nostro articolo, non risponde da scienziato e da medico quale egli è, ma glissa elegantemente, affermando che "la riflessione filosofica laica tende a rimuovere la discussione sullo statuto ontologico dell'embrione dal terreno della biologia e ad affrontarlo su quello della filosofia" ("La procreazione assistita", Il Mulino).
E' lecito che un autore di fecondazione in vitro, con il massacro di embrioni che essa comporta, non affronti il problema di cosa sia l'embrione dal punto di vista biologico, ma si muova nel campo, più ampio e arioso, della filosofia, solo per poter arrivare, in qualche modo, a non rispondere? Infatti a ben vedere si può girare il nostro quesito, assai difficile, sull'essenza dell'embrione, in questo modo: la tecnica della fecondazione in vitro, che sacrifica gli embrioni a centinaia, lo fa forse dopo aver scientemente negato loro lo statuto di vite umane o quello di persone? Assolutamente no: Flamigni arriva a dire che "il problema è filosofico e non biologico". Ma, filosoficamente, in quale momento porre l'inizio della persona, se biologicamente è appurato non esistere nessuna discontinuità all'interno dello sviluppo dell'embrione? Esiste in questo progredire biologico un punto di passaggio tra la non persona e la persona, un momento, un segno, una causa di questo passaggio? Che il ragionamento alla Flamigni non stia in piedi lo dimostra il fatto che le varie teorie secondo cui l'embrione non sarebbe persona finiscono per essere estremamente fragili, aleatorie, e, per questo, assai numerose e contrastanti tra loro.
Mario Palmaro, nell'opera citata, raccoglie una lunga serie di teorie sul momento in cui la vita umana diverrebbe personale, o comunque tutelabile: secondo alcuni dal quattordicesimo giorno, secondo altri dalla nascita, secondo altri ancora dalla cosiddetta nascita cerebrale (XX settimana); per altri, con conseguenze a ben vedere terribili, dalle prime manifestazioni di autocoscienza e di capacità di ragionamento (non sarebbero persone, quindi, neppure i bambini o i vecchi in stato confusionale)… Tante teorie proprio perché non esiste un solo fondamento biologico e logico alla affermazione secondo cui l'embrione non è persona sin dall'inizio: si sposta allora la linea di demarcazione a seconda delle esigenze del momento, come ad esempio il fare ricerca, o in base a posizioni puramente ideologiche. Maurizio Mori, celeberrimo bioeticista, amico e collaboratore del dottor Flamigni, ha il merito di sviluppare coerentemente la concezione secondo cui la vita umana è cosa distinta dell'essere persona. Afferma infatti che coloro che sono allo stato vegetativo non sarebbero più persone, ma solo esseri umani, per cui potrebbero "lasciare i propri resti corporei per la sperimentazione scientifica, per sperimentare nuovi farmaci…secondo me sono già morti indipendentemente dal fatto che respirino" (intervista consultabile in internet). Altrove aveva sostenuto che "un organismo è persona solo dopo aver esercitato una volta l'attività simbolica" (M.Palmaro, op.cit), e cioè l'autocoscienza e l'intelligenza: un dormiente sarebbe dunque persona, ma per la sua attività pregressa, non così l'embrione, e, a ben guardare, neppure il neonato.
Sulla stessa linea di Mori vi sono filosofi come Singer ("Animal liberation") o H.T. Engelhardt, secondo il quale gli embrioni, i feti, i neonati e gli uomini in stato vegetativo non sono persone ed hanno uno status inferiore a quello dei mammiferi adulti non umani (Manuale di bioetica, Il Saggiatore).
Dovrebbero farci terrore questi dogmatici della propria personalissima ed infondatissima opinione, che si fanno giudici della vita e della morte altrui. Di fronte ad essi mi sembra un principio di logica, di precauzione e di umanità, riconoscere che quella natura umana in evoluzione che è l'embrione, così individuale e speciale, così potenzialmente e attualmente presente, sia effettivamente persona; riconoscere che tra uomo e persona non vi è distinzione. Mi sembra infine di poter aggiungere che per una concezione materialista l'ottica sia paradossalmente la stessa: se per me, cattolico, l'infinita dignità di un embrione risiede essenzialmente nella sua anima immortale, immessa da Dio all'atto del concepimento, a maggior ragione per chi non crede nell'esistenza di un'anima immortale (e per i deterministi biologici) rimane certo che la natura dell'embrione zigote, indubbiamente umana, già geneticamente completa, è la stessa identica materia in evoluzione che si svilupperà dal bambino all' anziano. Allora, chi può stabilire diritti e statuti diversi? In base a che cosa? A partire da quale istante? Secondo quali concetti, filosofici o biologici? Per quali fini?
Francesco Agnoli, Il Foglio 2.11.2004
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