Io e padre Gavan, il mio direttore spirituale, abbiamo fondato una nuova associazione studentesca: Atlantis.
Lo scopo è quello di approfondire la tradizione intellettuale cattolica.
Per ora abbiamo in programma un incontro mensile con un esperto che ci introdurrà alla vita e l'opera di una grande figura intellettuale.
Si comincia oggi con Sant'Agostino, seguiranno Dante, San Tommaso D'Aquino, Santa Teresa D'Avila, Newman, Edith Stein ed infine Giovanni Paolo II.
Il nome Atlantis è quello della rivista fondata dal venerabile Newman per la pubblicazione delle ricerche dell'Università Cattolica D'Irlanda, che successivamente è diventata University College Dublin, il mio college.
Se riusciamo a coinvolgere un numero significativo di studenti, vorrei elaborare per il prossimo anno un programma di lettura di scrittori cattolici. In lingua inglese non mancano certo i grandi nomi.
E' incredibile come appena 150 anni fa Newman ne L'Idea di Università si rammaricasse della mancanza di una letteratura cattolica in inglese e oggi, solo per citarne alcuni, il cattolicesimo anglofono può vantare scrittori del calibro di Chesterton, Flanner O' Connor, Tolkien, Christopher Dawson, Hilarie Belloc, Evelyn Waugh.
Sorprendente anche però che questi siano americani o inglesi, nessun irlandese se non per origine. L'Irlanda ha una straordinaria tradizione letteraria, specie se si considera il numero dei sui abitanti, diversi premi Nobel eppure nessuno dei suoi grandi scrittore era un devoto cattolico. Sbaglio?
Sembra quasi che il genio trovi terreno più fertile quando si trova in una situazione di minoranza.
giovedì, settembre 30, 2004
mercoledì, settembre 29, 2004
Eventi
In questi giorni il mio computer si sta beccando tutti i virus possibili e immaginabili. Non capisco che sta succedendo.
Comunque, è iniziato il Dublin Theatre Festival, stasera ho visto Shining City di Conor McPherson. Rappresenta degnamente la Dublino di oggi, ricca e nevrotica.
E' iniziato anche il Fringe Festival, una sorta di festival minore parallelo a quello teatrale, con produzioni più che altro di danza. Andrò a vedere Tick my box, una storia di speed dating. ;)
La Student Union del mio college organizza il concerto di inizio anno, i principali gruppi sono Ash, The Republic of Loose, The Madchester Experience, Platteau e Jackmans. Io non ci sarò perché da venerdì sono in Italia per il matrimonio del mio migliore amico e la laurea di Doter.
Comunque, è iniziato il Dublin Theatre Festival, stasera ho visto Shining City di Conor McPherson. Rappresenta degnamente la Dublino di oggi, ricca e nevrotica.
E' iniziato anche il Fringe Festival, una sorta di festival minore parallelo a quello teatrale, con produzioni più che altro di danza. Andrò a vedere Tick my box, una storia di speed dating. ;)
La Student Union del mio college organizza il concerto di inizio anno, i principali gruppi sono Ash, The Republic of Loose, The Madchester Experience, Platteau e Jackmans. Io non ci sarò perché da venerdì sono in Italia per il matrimonio del mio migliore amico e la laurea di Doter.
Post-Lille
Una interessante esperienza quella delle Settimane Sociali di Lille ma non ho il tempo di raccontarla.
Dal punto di vista strettamente goliardico segnalo solo che sono stato subito adottato dalla delegazione irlandese e una sera si è unito allo sbevazzamento anche il simpaticissimo cardinale Murphy-O'Connor, arcivescovo di Westminster.
Un po' di resoconti ufficiali li trovate qui mentre le foto di alcuni dei miei compagni di merende del CUC sono sul blog di Simona.
Dal punto di vista strettamente goliardico segnalo solo che sono stato subito adottato dalla delegazione irlandese e una sera si è unito allo sbevazzamento anche il simpaticissimo cardinale Murphy-O'Connor, arcivescovo di Westminster.
Un po' di resoconti ufficiali li trovate qui mentre le foto di alcuni dei miei compagni di merende del CUC sono sul blog di Simona.
martedì, settembre 28, 2004
Orfani
Sull'aereo diretto a Parigi ho letto la storia di una coppia di donne francesi: una di loro ha deciso di concepire tramite inseminazione artificiale eterologa, ossia con un donatore di seme esterno alla coppia, ed ora le due hanno ottenuto una sorta di riconoscimento legale nei riguardi del bimbo.
Non commenterò la questione dal punto di vista giuridico, non ne ho la competenza, più semplicemente cercherò di dar forma alla mole di pensieri che l'articolo mi ha provocato.
Credo che la storia, peraltro già accaduta in passato e che almeno la legge italiana vieterebbe, sia moralmente disgustosa ma significativa.
La signora, o signorina, in questione ha volutamente messo al mondo un orfano.
Due madri non fanno un padre, così come due padri non fanno una madre, basta chiederlo a chi ha avuto la sfortuna di perdere un genitore o di non averlo mai avuto. La donna in questione non solo ha deciso che il proprio figlio non ha diritto ad un padre ma neppure ha diritto di sperare che eventualmente un giorno possa conoscerlo. No, quel figlio doveva venire dall'incognito, dal nulla.
La storia è significativa, dicevo, perché la donna francese ha scelto di concepire tramite inseminazione artificiale eterologa. Sarebbe stato forse più semplice trovare un uomo, un amico o uno sconosciuto e concepire con un atto naturale; in questi casi i 'donatori' si trovano facilmente e avrebbe ugualmente potuto nascondere l'identità del padre, mantenendola nel segreto della propria coscienza. Invece no, la signora ha scelto la fecondazione artificiale, come per cancellare ogni naturalità, ogni umanità dell'atto.
Separando sessualità e riproduzione il concepimento di un essere umano diventa una tecnica come tante altre (credo che Heidegger abbia qualcosa da insegnarci in proposito). L'elemento maschile è semplicemente un accidente da minimizzare nel modo più assoluto possibile, nell'asetticità di un laboratorio. Un maschio, anche se sconosciuto, ha pur sempre un volto, uno sguardo, provoca emozioni. Il seme in provetta invece no, è materiale genetico, è una sostanza fredda e viscida.
Non è difficile immaginare un futuro prossimo nel quale al supermarket si comprerà il kit per l'autoinseminazione, potendo scegliere le caratteristiche generiche del donatore anonimo. Certo se mettere al mondo non è donare la vita ma fare un figlio, non si capisce perchè uno non possa sceglierselo come gli pare.
Il figlio è mio e me lo faccio come voglio io, orfano.
Non commenterò la questione dal punto di vista giuridico, non ne ho la competenza, più semplicemente cercherò di dar forma alla mole di pensieri che l'articolo mi ha provocato.
Credo che la storia, peraltro già accaduta in passato e che almeno la legge italiana vieterebbe, sia moralmente disgustosa ma significativa.
La signora, o signorina, in questione ha volutamente messo al mondo un orfano.
Due madri non fanno un padre, così come due padri non fanno una madre, basta chiederlo a chi ha avuto la sfortuna di perdere un genitore o di non averlo mai avuto. La donna in questione non solo ha deciso che il proprio figlio non ha diritto ad un padre ma neppure ha diritto di sperare che eventualmente un giorno possa conoscerlo. No, quel figlio doveva venire dall'incognito, dal nulla.
La storia è significativa, dicevo, perché la donna francese ha scelto di concepire tramite inseminazione artificiale eterologa. Sarebbe stato forse più semplice trovare un uomo, un amico o uno sconosciuto e concepire con un atto naturale; in questi casi i 'donatori' si trovano facilmente e avrebbe ugualmente potuto nascondere l'identità del padre, mantenendola nel segreto della propria coscienza. Invece no, la signora ha scelto la fecondazione artificiale, come per cancellare ogni naturalità, ogni umanità dell'atto.
Separando sessualità e riproduzione il concepimento di un essere umano diventa una tecnica come tante altre (credo che Heidegger abbia qualcosa da insegnarci in proposito). L'elemento maschile è semplicemente un accidente da minimizzare nel modo più assoluto possibile, nell'asetticità di un laboratorio. Un maschio, anche se sconosciuto, ha pur sempre un volto, uno sguardo, provoca emozioni. Il seme in provetta invece no, è materiale genetico, è una sostanza fredda e viscida.
Non è difficile immaginare un futuro prossimo nel quale al supermarket si comprerà il kit per l'autoinseminazione, potendo scegliere le caratteristiche generiche del donatore anonimo. Certo se mettere al mondo non è donare la vita ma fare un figlio, non si capisce perchè uno non possa sceglierselo come gli pare.
Il figlio è mio e me lo faccio come voglio io, orfano.
giovedì, settembre 23, 2004
Un articolo di “Le Scienze” cerca di confondere il dibattito sulla procreazione assistita
Un articolo di “Le Scienze” cerca di confondere il dibattito sulla procreazione assistita
La parola ad un neonatologo del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena
SIENA, domenica, 19 settembre 2004 (ZENIT.org).- La fecondazione assistita e la legge che la regola sono al centro di un intenso dibattito che coinvolge i campi della medicina, dell’etica e della politica.
Dal punto di vista scientifico la rivista “Le Scienze” nel numero di settembre pubblica, e annuncia in copertina, un articolo molto critico nei confronti della legge in vigore e favorevole al referendum che mira ad abrogarla (N. Frontali e F. Zucco, Sterili per legge, “Le Scienze”, settembre 2004, pp. 58-63).
Su questo articolo ZENIT ha chiesto un commento al dott. Carlo Bellieni neonatologo del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena.
Cosa ne pensa del dibattito attuale sulla procreazione assistita?
Carlo Bellieni: Il dibattito sulla fecondazione in vitro (FIV) assume nuove tinte. Inizialmente si cercava da parte dei fautori della FIV di lasciare campo libero al “mercato” e al desiderio della coppia riguardo a come e quando impiantare gli embrioni e in particolare a quanti impiantarli.
Ora è sempre più chiaro che questa posizione genera patologia in quanto tutta la ricerca scientifica testimonia senza dubbio che la gemellarità in sé è fattore di rischio per il danno cerebrale del bambino. Logica avrebbe voluto che si sospendesse il ricorso a queste tecniche almeno finché non fossero state dimostrate sicure, come si fa con qualunque tecnica medica.
Invece no. L’impianto di embrioni in donne che lo richiedono va avanti, con i conseguenti rischi di patologia per i bambini così concepiti.
La nuova svolta è che la nuova legge attualmente in vigore in Italia viene accusata di obbligare all’impianto di più embrioni e dunque di produrre questa patologia. Si dimentica ovviamente che questa legge è solo un argine al dilagare del rischio!
Cosa pensa dell’articolo pubblicato da “Le Scienze” sulla FIV?
Carlo Bellieni: E’ interessante e, se portasse alle conseguenze ovvie, dovrebbe far rabbrividire, visti i tassi di insuccesso, i rischi riportati per madre e figli.
Invece le conclusioni sono nel senso che abbiamo appena descritto: non la FIV è un rischio, ma la legge in quanto obbliga ad impiantare 3 embrioni (vedremo nel testo come per ora l’impianto di un singolo embrione, legge o non legge, non sembra ancora aver il successo sperato in termini di esito della gravidanza).
L’articolo contiene molte incongruenze, troppe per una rivista di questo tipo.
Cosa intende?
Carlo Bellieni: Le articoliste dicono che si è passati “forse un po’ troppo rapidamente” alla sperimentazione sull’uomo di questa tecnica. Questo è ben noto, basta leggere la raccomandazione della Commissione di Bioetica del Presidente degli Stati Uniti, appena edita, o il numero di aprile di “Nature” in cui viene detto a proposito di certe tecniche di PMA: “Trattiamo le donne come cavie da laboratorio”.
Il fatto stesso che si stia facendo questa corsa tralasciando talora i normali punti di sperimentazione di tecniche nuove è squalificante in sé, nonostante la buona fede dei ricercatori.
Normalmente ogni nuovo progresso scientifico si studia prima in vitro, poi su animali, poi su volontari e infine si commercializza. Qui le autrici ci spiegano che questo non sempre avviene. Non è confortante. E soprattutto è contraddittorio per un articolo che invece non stigmatizza queste tecniche.
Le articoliste dicono a pag. 60 che ad essere responsabili dell’insorgere degli handicap sono le gravidanze gemellari.
Carlo Bellieni: Questo infatti è vero. Purtroppo le articoliste hanno dimenticato cosa da loro stesse scritto poche righe prima, descrivendo il lavoro di Bo Stromberg: “Il rischio di handicap è risultato più alto nei ragazzi nati con FIVET, anche escludendo dall’analisi i gemelli”.
Dunque anche l’impianto di un singolo ovulo è a rischio. Esiste anche una letteratura più recente che conferma questo, con studi di review di più di 20 articoli scientifici. Vogliamo forse pensare che le patologie genetiche descritte nell’articolo derivino da gemellarità e non da un’alterazione dell’imprinting genomico?
Non sarebbe necessaria più cautela piuttosto che una legge più permissiva?
Carlo Bellieni: Proprio così. A pag. 36 dello stesso numero della rivista appare un bell’articolo di S Prusiner sulla cosiddetta “Mucca pazza”; a pag. 72 invece un interessantissimo articolo sugli OGM.
Come sappiamo per entrambi questi nuovi progressi sono state fissate serie regole di cautela. Strano come invece per sviluppi tecnici come la PMA queste cautele non vengano ricercate.
Significativamente non lontano da noi, in Francia, la “Defenseur des Enfants”, Claire Brisset, eletta dal Parlamento a quel ruolo e il Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica stanno invocando una tale cautela, richiedendo – la prima – anche una moratoria per la tecnica ICSI citata nel pezzo di Frontali e Zucco.
ZI04091903
La parola ad un neonatologo del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena
SIENA, domenica, 19 settembre 2004 (ZENIT.org).- La fecondazione assistita e la legge che la regola sono al centro di un intenso dibattito che coinvolge i campi della medicina, dell’etica e della politica.
Dal punto di vista scientifico la rivista “Le Scienze” nel numero di settembre pubblica, e annuncia in copertina, un articolo molto critico nei confronti della legge in vigore e favorevole al referendum che mira ad abrogarla (N. Frontali e F. Zucco, Sterili per legge, “Le Scienze”, settembre 2004, pp. 58-63).
Su questo articolo ZENIT ha chiesto un commento al dott. Carlo Bellieni neonatologo del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena.
Cosa ne pensa del dibattito attuale sulla procreazione assistita?
Carlo Bellieni: Il dibattito sulla fecondazione in vitro (FIV) assume nuove tinte. Inizialmente si cercava da parte dei fautori della FIV di lasciare campo libero al “mercato” e al desiderio della coppia riguardo a come e quando impiantare gli embrioni e in particolare a quanti impiantarli.
Ora è sempre più chiaro che questa posizione genera patologia in quanto tutta la ricerca scientifica testimonia senza dubbio che la gemellarità in sé è fattore di rischio per il danno cerebrale del bambino. Logica avrebbe voluto che si sospendesse il ricorso a queste tecniche almeno finché non fossero state dimostrate sicure, come si fa con qualunque tecnica medica.
Invece no. L’impianto di embrioni in donne che lo richiedono va avanti, con i conseguenti rischi di patologia per i bambini così concepiti.
La nuova svolta è che la nuova legge attualmente in vigore in Italia viene accusata di obbligare all’impianto di più embrioni e dunque di produrre questa patologia. Si dimentica ovviamente che questa legge è solo un argine al dilagare del rischio!
Cosa pensa dell’articolo pubblicato da “Le Scienze” sulla FIV?
Carlo Bellieni: E’ interessante e, se portasse alle conseguenze ovvie, dovrebbe far rabbrividire, visti i tassi di insuccesso, i rischi riportati per madre e figli.
Invece le conclusioni sono nel senso che abbiamo appena descritto: non la FIV è un rischio, ma la legge in quanto obbliga ad impiantare 3 embrioni (vedremo nel testo come per ora l’impianto di un singolo embrione, legge o non legge, non sembra ancora aver il successo sperato in termini di esito della gravidanza).
L’articolo contiene molte incongruenze, troppe per una rivista di questo tipo.
Cosa intende?
Carlo Bellieni: Le articoliste dicono che si è passati “forse un po’ troppo rapidamente” alla sperimentazione sull’uomo di questa tecnica. Questo è ben noto, basta leggere la raccomandazione della Commissione di Bioetica del Presidente degli Stati Uniti, appena edita, o il numero di aprile di “Nature” in cui viene detto a proposito di certe tecniche di PMA: “Trattiamo le donne come cavie da laboratorio”.
Il fatto stesso che si stia facendo questa corsa tralasciando talora i normali punti di sperimentazione di tecniche nuove è squalificante in sé, nonostante la buona fede dei ricercatori.
Normalmente ogni nuovo progresso scientifico si studia prima in vitro, poi su animali, poi su volontari e infine si commercializza. Qui le autrici ci spiegano che questo non sempre avviene. Non è confortante. E soprattutto è contraddittorio per un articolo che invece non stigmatizza queste tecniche.
Le articoliste dicono a pag. 60 che ad essere responsabili dell’insorgere degli handicap sono le gravidanze gemellari.
Carlo Bellieni: Questo infatti è vero. Purtroppo le articoliste hanno dimenticato cosa da loro stesse scritto poche righe prima, descrivendo il lavoro di Bo Stromberg: “Il rischio di handicap è risultato più alto nei ragazzi nati con FIVET, anche escludendo dall’analisi i gemelli”.
Dunque anche l’impianto di un singolo ovulo è a rischio. Esiste anche una letteratura più recente che conferma questo, con studi di review di più di 20 articoli scientifici. Vogliamo forse pensare che le patologie genetiche descritte nell’articolo derivino da gemellarità e non da un’alterazione dell’imprinting genomico?
Non sarebbe necessaria più cautela piuttosto che una legge più permissiva?
Carlo Bellieni: Proprio così. A pag. 36 dello stesso numero della rivista appare un bell’articolo di S Prusiner sulla cosiddetta “Mucca pazza”; a pag. 72 invece un interessantissimo articolo sugli OGM.
Come sappiamo per entrambi questi nuovi progressi sono state fissate serie regole di cautela. Strano come invece per sviluppi tecnici come la PMA queste cautele non vengano ricercate.
Significativamente non lontano da noi, in Francia, la “Defenseur des Enfants”, Claire Brisset, eletta dal Parlamento a quel ruolo e il Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica stanno invocando una tale cautela, richiedendo – la prima – anche una moratoria per la tecnica ICSI citata nel pezzo di Frontali e Zucco.
ZI04091903
martedì, settembre 21, 2004
Programmi
Se a qualcuno puo' interessare, sono usciti i programmi dei corsi BA e MA in filosofia del mio dipartimento.
E' stata resa nota anche la lista degli Invited Speakers, nessuno particolarmente rilevante, anche se Pawel Dybel ieri ha presentato un'ottima relazione sulla trasformazione dell'idea di fenomenologia nell'ermeneutica di Heidegger.
Da segnalare invece la Philosophy Society, gestita dagli studenti, che ha quest'anno un interessante programma di conferenze settimanali.
Tre nomi su tutti: Tim Craine, Vasilis Politis e Simon Blackburn.
E' stata resa nota anche la lista degli Invited Speakers, nessuno particolarmente rilevante, anche se Pawel Dybel ieri ha presentato un'ottima relazione sulla trasformazione dell'idea di fenomenologia nell'ermeneutica di Heidegger.
Da segnalare invece la Philosophy Society, gestita dagli studenti, che ha quest'anno un interessante programma di conferenze settimanali.
Tre nomi su tutti: Tim Craine, Vasilis Politis e Simon Blackburn.
lunedì, settembre 20, 2004
Tonnellate di emotività per sopraffare le ragioni ragionanti
Tonnellate di emotività per sopraffare le ragioni ragionanti
Marina Corradi
Madri sorridenti coi loro figli nati sani grazie alla selezione pre-impianto degli embrioni. Penosi pellegrinaggi all'estero, perché solo oltreconfine si può ormai ottenere queste diagnosi, e scegliere, fra i diversi embrioni ottenuti in provetta, quello sano, scartando i talassemici, i Down e gli altri - insomma, gli imperfetti. L'altra sera su Raitre «Report» ha fatto abbondantemente leva sull'emotività nell'appellarsi agli italiani contro la legge sulla fecondazione assistita, quando - non a caso - sta per scadere il termine per la raccolta di firme necessarie per i referendum totalmente o parzialmente abrogativi. Mentre più tardi sulla stessa rete il confronto fra Daniele Capezzone e Carlo Casini si appiattiva, anche grazie alla conduzione, sulle posizioni radicali, là dove prima si era lavorato sulle emozioni, che è la strategia comunicativa più immediata. Quei bei bambini che, con questa legge "crudele", non sarebbero nati, o che sarebbero nati sani nelle proporzioni dettate dalle leggi dell'ereditarietà - in vece loro al mondo i fratelli malati e scartati che, nella discussione sul "diritto al figlio sano", paiono del tutto invisibili, come se davvero fossero un nulla.
È possibile che programmi allestiti come quella puntata di «Report» muovano l'opinione pubblica. Davanti alla felicità di una donna con un figlio così a lungo voluto in braccio, a un figlio libero da una malattia che inseguiva da generazioni una famiglia, è difficile non essere colti da un dubbio, non capirne almeno in parte le ragioni.
E tuttavia una ragione seria c'è, oltre naturalmente a quella afferente alla dignità di ogni embrione, per escludere la possibilità di selezione fra perfetti e imperfetti. E la ragione sta nelle inarrestabili capacità della genetica di individuare già a livello embrionale non solo le vere e proprie malattie ereditarie, ma anche la predisposizione a sviluppare certe gravi patologie. Questa "lettura" diventa ogni giorno più praticabile. Un esempio: pochi mesi fa in Gran Bretagna un istituto di ricerca ha chiesto l'autorizzazione alla sperimentazione di una nuova selezione genetica. Si tratta di individuare, fra gli embrioni di sesso femminile, i portatori di un gene responsabile di un particolare tipo di precoce cancro al seno. Il gene non necessariamente sviluppa la malattia, tuttavia l'ipotesi di lavoro è di eliminare, ad ogni buon conto, gli embrioni portatori. Dunque, già si comincia a scartare chi può sviluppare precocemente un cancro. Con le conoscenze di cui si disporrà fra dieci o vent'anni, e il principio che il "diritto al figlio sano" - scritto dove, e su quale Carta? - è acquisito, nessuna diga etica vieterebbe di spostarsi oltre, e poi in avanti ancora.
Nel 1962 il premio Nobel Francis Crick, uno degli scopritori del Dna, scrisse: «Che nessun neonato un giorno debba aspettare, per essere riconosciuto umano, d'avere superato un certo numero d'esami sulla sua dotazione genetica... E che, non superando questi test, non perda il diritto alla vita». Dove forse Crick potrebbe essersi sbagliato in un punto: il test, in un futuro che speriamo di non vedere, potrebbe venire fatto "prima". E allora finalmente nascerebbero solo i giusti, i belli e i sani di mente. Solo splendidi bambini figli di splendide mamme che non sopportano di veder soffrire figli sbagliati. E il prezzo? si chiedeva l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere l'altro giorno. Beh, Dostoevskij, Van Gogh, Beethoven, Kierkegaard, quelli così tutti eliminati a priori, insieme agli altri, i deboli, i matti, gli imperfetti.
Viene in mente Emmanuel Mounier: «Dio passa attraverso le ferite». Ma non tolleriamo più di vedere alcuna ferita, e in ogni modo, dall'inizio alla morte, cerchiamo di garantirci un'illusoria libertà dal dolore. Un sospetto: nell'ansia di eliminare ogni "imperfezione", non si taglierà via alla fine la stessa nostra vita?
Marina Corradi
Madri sorridenti coi loro figli nati sani grazie alla selezione pre-impianto degli embrioni. Penosi pellegrinaggi all'estero, perché solo oltreconfine si può ormai ottenere queste diagnosi, e scegliere, fra i diversi embrioni ottenuti in provetta, quello sano, scartando i talassemici, i Down e gli altri - insomma, gli imperfetti. L'altra sera su Raitre «Report» ha fatto abbondantemente leva sull'emotività nell'appellarsi agli italiani contro la legge sulla fecondazione assistita, quando - non a caso - sta per scadere il termine per la raccolta di firme necessarie per i referendum totalmente o parzialmente abrogativi. Mentre più tardi sulla stessa rete il confronto fra Daniele Capezzone e Carlo Casini si appiattiva, anche grazie alla conduzione, sulle posizioni radicali, là dove prima si era lavorato sulle emozioni, che è la strategia comunicativa più immediata. Quei bei bambini che, con questa legge "crudele", non sarebbero nati, o che sarebbero nati sani nelle proporzioni dettate dalle leggi dell'ereditarietà - in vece loro al mondo i fratelli malati e scartati che, nella discussione sul "diritto al figlio sano", paiono del tutto invisibili, come se davvero fossero un nulla.
È possibile che programmi allestiti come quella puntata di «Report» muovano l'opinione pubblica. Davanti alla felicità di una donna con un figlio così a lungo voluto in braccio, a un figlio libero da una malattia che inseguiva da generazioni una famiglia, è difficile non essere colti da un dubbio, non capirne almeno in parte le ragioni.
E tuttavia una ragione seria c'è, oltre naturalmente a quella afferente alla dignità di ogni embrione, per escludere la possibilità di selezione fra perfetti e imperfetti. E la ragione sta nelle inarrestabili capacità della genetica di individuare già a livello embrionale non solo le vere e proprie malattie ereditarie, ma anche la predisposizione a sviluppare certe gravi patologie. Questa "lettura" diventa ogni giorno più praticabile. Un esempio: pochi mesi fa in Gran Bretagna un istituto di ricerca ha chiesto l'autorizzazione alla sperimentazione di una nuova selezione genetica. Si tratta di individuare, fra gli embrioni di sesso femminile, i portatori di un gene responsabile di un particolare tipo di precoce cancro al seno. Il gene non necessariamente sviluppa la malattia, tuttavia l'ipotesi di lavoro è di eliminare, ad ogni buon conto, gli embrioni portatori. Dunque, già si comincia a scartare chi può sviluppare precocemente un cancro. Con le conoscenze di cui si disporrà fra dieci o vent'anni, e il principio che il "diritto al figlio sano" - scritto dove, e su quale Carta? - è acquisito, nessuna diga etica vieterebbe di spostarsi oltre, e poi in avanti ancora.
Nel 1962 il premio Nobel Francis Crick, uno degli scopritori del Dna, scrisse: «Che nessun neonato un giorno debba aspettare, per essere riconosciuto umano, d'avere superato un certo numero d'esami sulla sua dotazione genetica... E che, non superando questi test, non perda il diritto alla vita». Dove forse Crick potrebbe essersi sbagliato in un punto: il test, in un futuro che speriamo di non vedere, potrebbe venire fatto "prima". E allora finalmente nascerebbero solo i giusti, i belli e i sani di mente. Solo splendidi bambini figli di splendide mamme che non sopportano di veder soffrire figli sbagliati. E il prezzo? si chiedeva l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere l'altro giorno. Beh, Dostoevskij, Van Gogh, Beethoven, Kierkegaard, quelli così tutti eliminati a priori, insieme agli altri, i deboli, i matti, gli imperfetti.
Viene in mente Emmanuel Mounier: «Dio passa attraverso le ferite». Ma non tolleriamo più di vedere alcuna ferita, e in ogni modo, dall'inizio alla morte, cerchiamo di garantirci un'illusoria libertà dal dolore. Un sospetto: nell'ansia di eliminare ogni "imperfezione", non si taglierà via alla fine la stessa nostra vita?
Truce
Faultless in the eyes that I could never open wide enough to see me through
Much to my surprise it never orbits around the things you should hold me to
I stand here...wondering
And I'm waiting
My ear is twisted in all the thoughts
A glimpse of truce just because
It's always almost never close
I close my eyes, hide the distance
Enchanted by the face of peace and when it turns to sunken eyes and waterfalls
Unsatisfied with simple things entangled in the chords, I can't take any calls
I stand here waiting
I'm calling
Waiting around for some kind of peace
Hoping you find me in my need
My ear is twisted
It's always almost
Much to my surprise it never orbits around the things you should hold me to
I stand here...wondering
And I'm waiting
My ear is twisted in all the thoughts
A glimpse of truce just because
It's always almost never close
I close my eyes, hide the distance
Enchanted by the face of peace and when it turns to sunken eyes and waterfalls
Unsatisfied with simple things entangled in the chords, I can't take any calls
I stand here waiting
I'm calling
Waiting around for some kind of peace
Hoping you find me in my need
My ear is twisted
It's always almost
domenica, settembre 19, 2004
Nuovo indirizzo
Lo spazio su interfree era esaurito e così ci siamo trasferiti da queste parti:
bottone.blogspot.com
sabato, settembre 18, 2004
notevoli
Blog italiani notati negli ultimi giorni:
- Erbe cattive
- SiFossiFoco
- terrabrasilis
- Quaderno d'appunti
- aletheia
- le botteghe color cannella
- Erbe cattive
- SiFossiFoco
- terrabrasilis
- Quaderno d'appunti
- aletheia
- le botteghe color cannella
La gaia vuotezza postcattolica dell'icona moana
Questo l'avrei voluto scrivere io ed invece è apparso su Farfintadiesseresani.
Aggiungo solo che io ricordo bene quel giorno anche perché morì Karl Popper. Lascio alla vostra fantasia stabilire cosa accomuna i due personaggi. ;)
Ieri cadeva il decimo anniversario della morte di Moana Pozzi. Impossibile non accorgersene. I media ne hanno parlato in ogni modo, ricordandola in modalità santino. Vanity Fair, per dire, da tre settimane non parla d'altro. Ovunque, Rai compresa, ci vengono rifilate interviste ai suoi famigliari, ai numerosi vip che l'hanno conosciuta di persona, a colleghi e colleghe del bel tempo che fu.
Ora: la notizia della morte di Moana Pozzi mi provocò un certo smarrimento, per il semplice fatto che morì giovane. E anche per un altro motivo, va detto: perché accostare l'idea stessa di morte al mondo dell'eros è cosa che turba, toccando un tasto umano, troppo umano. Mi fermo qui, senza citare pedantemente Freud. Spero si capisca ciò che intendo.
Ciò detto: punto.
Invece, si avverte nell'aria la tendenza a innalzare la povera morta a icona globale, meritevole di obbligatoria ammirazione (artistica, morale, di che genere?) anche da parte di chi, come il sottoscritto, sia un frequentatore alquanto episodico del genere che le diede fama.
In particolare, i commemoratori paiono essere tutti concordi su una cosa: era una donna straordinariamente intelligente. Sembra quasi, ad ascoltare le postume apologie, che raramente persone più nobili della commemorata abbiano calcato la polvere del bistrattato pianeta.
Posso dissociarmi dal coro? Posso ricordare che Moana Pozzi fece parte del "Partito dell'amore", e con questo ritenere detto molto, se non tutto? Posso far memoria del fatto che indulgeva spesso, nelle sue apparizioni pubbliche, ad atteggiamenti avvilenti per lei che li teneva e per chi ne ne infoiava? Posso anticipare l'obiezione e provare a spiegare che la sua consapevolezza in merito è da considerarsi aggravante, e non attenuante? Posso sospettare che dietro la mitizzazione postuma lavori un inconsapevole istinto a creare miti farlocchi (in questo caso, quello della "puttana suo malgrado") tanto consolatori quanto insensati, perfetti per compiacere la vacuità di questa risma di gente (che siamo poi noi) gaiamente postcattolica e tristemente irrazionale?
posted Thursday, 16 September 2004
Aggiungo solo che io ricordo bene quel giorno anche perché morì Karl Popper. Lascio alla vostra fantasia stabilire cosa accomuna i due personaggi. ;)
Ieri cadeva il decimo anniversario della morte di Moana Pozzi. Impossibile non accorgersene. I media ne hanno parlato in ogni modo, ricordandola in modalità santino. Vanity Fair, per dire, da tre settimane non parla d'altro. Ovunque, Rai compresa, ci vengono rifilate interviste ai suoi famigliari, ai numerosi vip che l'hanno conosciuta di persona, a colleghi e colleghe del bel tempo che fu.
Ora: la notizia della morte di Moana Pozzi mi provocò un certo smarrimento, per il semplice fatto che morì giovane. E anche per un altro motivo, va detto: perché accostare l'idea stessa di morte al mondo dell'eros è cosa che turba, toccando un tasto umano, troppo umano. Mi fermo qui, senza citare pedantemente Freud. Spero si capisca ciò che intendo.
Ciò detto: punto.
Invece, si avverte nell'aria la tendenza a innalzare la povera morta a icona globale, meritevole di obbligatoria ammirazione (artistica, morale, di che genere?) anche da parte di chi, come il sottoscritto, sia un frequentatore alquanto episodico del genere che le diede fama.
In particolare, i commemoratori paiono essere tutti concordi su una cosa: era una donna straordinariamente intelligente. Sembra quasi, ad ascoltare le postume apologie, che raramente persone più nobili della commemorata abbiano calcato la polvere del bistrattato pianeta.
Posso dissociarmi dal coro? Posso ricordare che Moana Pozzi fece parte del "Partito dell'amore", e con questo ritenere detto molto, se non tutto? Posso far memoria del fatto che indulgeva spesso, nelle sue apparizioni pubbliche, ad atteggiamenti avvilenti per lei che li teneva e per chi ne ne infoiava? Posso anticipare l'obiezione e provare a spiegare che la sua consapevolezza in merito è da considerarsi aggravante, e non attenuante? Posso sospettare che dietro la mitizzazione postuma lavori un inconsapevole istinto a creare miti farlocchi (in questo caso, quello della "puttana suo malgrado") tanto consolatori quanto insensati, perfetti per compiacere la vacuità di questa risma di gente (che siamo poi noi) gaiamente postcattolica e tristemente irrazionale?
posted Thursday, 16 September 2004
venerdì, settembre 17, 2004
Big quiz
Ieri sera all'RDS Dublino è stato battuto un record del mondo. Si tratta del numero di partecipanti ad un quiz. Il precedente era di 682 concorrenti ma ieri c'erano più di mille persone. Oltre 260 squadre, anche di giocatori professionisti. Il ricavato della serata è andato in beneficenza ad un'associazione scelta dalla squadra vincitrice.
Anch'io ho partecipato, con Blathnaid, Majella e Walsh. Modestamente, ce la siamo cavata molto bene, ad una decina di punti dai vincitori.
Anch'io ho partecipato, con Blathnaid, Majella e Walsh. Modestamente, ce la siamo cavata molto bene, ad una decina di punti dai vincitori.
mercoledì, settembre 15, 2004
Addio Giuni Russo voce libera del pop
Addio Giuni Russo voce libera del pop
«Ho accettato la malattia in ginocchio». Il suo ultimo desiderio: essere sepolta tra le sue amiche carmelitane
Di Gigio Rancilio
«Sai, sono diventata un po' carmelitana. Merito di santa Teresa d'Avila e di Edith Stein». Giuni Russo, morta l'altra notte a 53 anni (li aveva compiuti il 10 settembre), parlava con amore del suo cammino spirituale iniziato negli anni Novanta, «dopo un lungo peregrinare tra Ermete Trismegisto, Steiner e la teosofia». Nel mondo della musica si era fatta la fama di dura e scontrosa, ma in realtà era solo esigente. Con se stessa, prima che con gli altri. Sapeva che la vita era un dono. E non voleva sprecarla. Soprattutto da quando, cinque anni fa, aveva scoperto di avere un cancro. «Ho già fatto tre operazioni. Mi avevano detto che non avrei superato il 2002».
Il 10 aprile scorso, attraverso Avvenire Giuni scelse di rendere pubblica la sua lotta. «Non mi interessa più nascondermi. A Sanremo, l'anno scorso, l'ho fatto perché sarebbe stato amorale partecipare alla gara "da malata"». Guardandola negli occhi vedevi una donna in pace. Era impossibile non chiederle come faceva ad essere così serena. «Ho fatto pace col mio male. Ma nonostante la fede ho avuto paura. Ho urlato, pianto e litigato col Crocifisso. Alla fine, però, ho accettato la malattia. In ginocchio».
Mentre parlava, a volte, la sua voce si incrinava un po'. Ma il suo cruccio era un'altra malattia. «I discografici ormai vogliono solo le canzonette. Ma io sono disposta a fare la fame per non cedere a compromessi. Non ho marito né figli. Vivo con poco. Così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un'artista libera». Così libera da rifiutare all'inizio di incidere Un'estate al mare, che diventò invece il suo successo più grande: «Quando il mio amico Franco Battiato me la propose mi arrabbiai perché avevo appena finito di incidere un album folle e libero come Energie. Poi, dopo averla ascoltata bene, accettai. È rimasta in hit parade sei mesi. Un successo enorme. Che però non ho sfruttato. Per qualcuno sono stata molto ingenua. Sicuramente sono stata lib era». Ecco: Giusi Romeo, in arte Giuni Russo, in fondo voleva solo questo: essere un'artista libera in un mondo sempre più omologato. Facile da dirsi. Durissimo da farsi. «Avevo anche pensato di ritirarmi. È stata la mia guida spirituale a convincermi a non lasciare tutto. Mi disse: "Non puoi smettere di cantare, hai avuto un dono meraviglioso e hai il dovere di non soffocarlo». Solo l'acuirsi della malattia, negli ultimi mesi, l'ha costretta a venir meno al «suo dovere», cancellando alcune esibizioni. «Il sogno della mia vita era cantare. Qualunque cosa. Fino alla morte».
Le sue monachelle, come amava chiamarle, l'hanno seguita fino alla fine. Esaudendo il suo ultimo desiderio: essere sepolta tra le Carmelitane Scalze, al cimitero Maggiore di Milano. I funerali di Giuni si terranno oggi alle 14.45 al monastero delle Carmelitane Scalze, in via Marcantonio Colonna. Il suo amico Franco Battiato non ci sarà. È all'estero per una tournée. Ieri sera le ha dedicato un concerto.
«Ho accettato la malattia in ginocchio». Il suo ultimo desiderio: essere sepolta tra le sue amiche carmelitane
Di Gigio Rancilio
«Sai, sono diventata un po' carmelitana. Merito di santa Teresa d'Avila e di Edith Stein». Giuni Russo, morta l'altra notte a 53 anni (li aveva compiuti il 10 settembre), parlava con amore del suo cammino spirituale iniziato negli anni Novanta, «dopo un lungo peregrinare tra Ermete Trismegisto, Steiner e la teosofia». Nel mondo della musica si era fatta la fama di dura e scontrosa, ma in realtà era solo esigente. Con se stessa, prima che con gli altri. Sapeva che la vita era un dono. E non voleva sprecarla. Soprattutto da quando, cinque anni fa, aveva scoperto di avere un cancro. «Ho già fatto tre operazioni. Mi avevano detto che non avrei superato il 2002».
Il 10 aprile scorso, attraverso Avvenire Giuni scelse di rendere pubblica la sua lotta. «Non mi interessa più nascondermi. A Sanremo, l'anno scorso, l'ho fatto perché sarebbe stato amorale partecipare alla gara "da malata"». Guardandola negli occhi vedevi una donna in pace. Era impossibile non chiederle come faceva ad essere così serena. «Ho fatto pace col mio male. Ma nonostante la fede ho avuto paura. Ho urlato, pianto e litigato col Crocifisso. Alla fine, però, ho accettato la malattia. In ginocchio».
Mentre parlava, a volte, la sua voce si incrinava un po'. Ma il suo cruccio era un'altra malattia. «I discografici ormai vogliono solo le canzonette. Ma io sono disposta a fare la fame per non cedere a compromessi. Non ho marito né figli. Vivo con poco. Così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un'artista libera». Così libera da rifiutare all'inizio di incidere Un'estate al mare, che diventò invece il suo successo più grande: «Quando il mio amico Franco Battiato me la propose mi arrabbiai perché avevo appena finito di incidere un album folle e libero come Energie. Poi, dopo averla ascoltata bene, accettai. È rimasta in hit parade sei mesi. Un successo enorme. Che però non ho sfruttato. Per qualcuno sono stata molto ingenua. Sicuramente sono stata lib era». Ecco: Giusi Romeo, in arte Giuni Russo, in fondo voleva solo questo: essere un'artista libera in un mondo sempre più omologato. Facile da dirsi. Durissimo da farsi. «Avevo anche pensato di ritirarmi. È stata la mia guida spirituale a convincermi a non lasciare tutto. Mi disse: "Non puoi smettere di cantare, hai avuto un dono meraviglioso e hai il dovere di non soffocarlo». Solo l'acuirsi della malattia, negli ultimi mesi, l'ha costretta a venir meno al «suo dovere», cancellando alcune esibizioni. «Il sogno della mia vita era cantare. Qualunque cosa. Fino alla morte».
Le sue monachelle, come amava chiamarle, l'hanno seguita fino alla fine. Esaudendo il suo ultimo desiderio: essere sepolta tra le Carmelitane Scalze, al cimitero Maggiore di Milano. I funerali di Giuni si terranno oggi alle 14.45 al monastero delle Carmelitane Scalze, in via Marcantonio Colonna. Il suo amico Franco Battiato non ci sarà. È all'estero per una tournée. Ieri sera le ha dedicato un concerto.
Mancano all’appello 90 milioni di donne e 45 mila miliardi di dollari
Mancano all’appello 90 milioni di donne e 45 mila miliardi di dollari
Grazie ad un’errata pianificazione familiare
NEW YORK, sabato, 4 settembre 2004 (ZENIT.org).- Mentre le Nazioni Unite e i gruppi per la pianificazione familiare proseguono nei loro tentativi di ridurre i tassi di natalità, diversi libri pubblicati di recente hanno posto l’attenzione sui gravi problemi economici e sociali che derivano proprio da un numero troppo basso di figli.
Uno di questi libri, dal titolo "Bare Branches: The Security Implications of Asia's Surplus Male Population" tratta delle conseguenze insite nell’eccessivo numero di giovani maschi, a cui in Cina ci si riferisce con l’espressione “bare branches” [rami spogli]. Valerie Hudson e Andrea den Boer osservano che la Cina e l’India, che contano il 38% della popolazione mondiale, hanno un surplus di giovani di sesso maschile ben più alto di quanto le forze della natura sarebbero in grado di produrre.
Gli autori dedicano un intero capitolo alla storia della selezione sessuale, osservando che l’infanticidio femminile è stato praticato da molte culture in diverse epoche. La cultura asiatica ha dimostrato una preferenza particolarmente marcata per i figli maschi e la tecnologia moderna ha permesso a questa preferenza di essere applicata in misura ancor più radicale che nel passato.
Un normale rapporto tra il numero di maschi e di femmine al momento della nascita è di 105-107 maschi per ogni 100 femmine. Questo normalmente si traduce in un rapporto di quasi 100 maschi per 100 femmine, in relazione alla popolazione totale. Gli autori osservano che non è facile reperire statistiche affidabili sui tassi di natalità. In Cina, i dati sui rapporti tra la popolazione maschile e femminile alla nascita variano dai 115,62 ai 121,01 maschi per ogni 100 femmine. L’India mostra livelli di 111 per 113, con punte di 132 e 156 in alcune aree. Nella Corea del Sud, dopo aver raggiunto i 116,9 nel 1990, il numero si è stabilizzato sui 109,6. In Taiwan, risultano 109,5 maschi per 100 femmine alla nascita.
Lo squilibrio tra i sessi alla nascita potrebbe aggravarsi nei prossimi anni a causa di un più alto livello di mortalità infantile tra le donne, attribuita ad una mancanza di cure mediche adeguate. Le stime sul numero di “donne che mancano all’appello” in Asia variano. Dai dati relativi a sette Paesi asiatici, riportati nel libro, questo numero sarebbe di poco superiore a 90 milioni. L’India e la Cina contano rispettivamente il 43% e il 45% del totale.
Gli autori calcolano che per il 2020 l’India avrà un surplus di popolazione maschile nella fascia d’età tra i 15 e i 35 anni tra i 28 e i 32 milioni. Il corrispondente surplus in Cina potrebbe ricadere tra i 29 e i 33 milioni.
Quali saranno le implicazioni relative a surplus maschili così ingenti? Traendo spunto da un certo numero di studi, gli autori indicano una serie di caratteristiche proprie di questa categoria di persone: uno status socioeconomico basso dovuto ad un più alto livello di disoccupazione e di lavori di basso livello; una più alta probabilità di degenerazione criminale; una ben individuata sottocultura da scapolo caratterizzata dalla ricerca del piacere immediato e dalla mancanza di attenzione al futuro; una tendenza al vizio e alla violenza.
Guardando ai dati storici, il libro osserva che i governi possono adottare misure per contrastare gli effetti negativi degli squilibri tra le popolazioni maschili e femminili, ma solo dopo lunghi sforzi ed alti costi. I Paesi asiatici e in particolare Cina e India, secondo gli autori, si trovano di fronte ad un compito assai arduo nel tentativo di evitare un brusco aumento nella violenza e nei problemi sociali. Secondo gli autori, l’instabilità potrebbe anche portare allo sviluppo di conflitti armati.
Una minaccia alla prosperità
Philip Longman, nel suo libro "The Empty Cradle" [La culla vuota] si concentra sugli svantaggi economici derivanti dai bruschi cali nei tassi di natalità. Mettendo da parte i timori per una “bomba demografica”, le economie moderne si fondavano sull’aumento costante della popolazione. Nuove attività economiche sorgono infatti nelle aree in cui la popolazione è in crescita, e i sistemi previdenziali dipendono dal crescente numero di contribuenti per finanziare l’assistenza per ogni generazione che va in pensione.
Egli nota che potrebbe sembrare inopportuno preoccuparsi per il numero troppo basso di figli, in un momento in cui la popolazione mondiale continua a crescere di circa 75 milioni di persone l’anno, tuttavia, i tassi di fertilità sono crollati negli ultimi anni e nessuna nazione industrializzata può contare su di un numero di bambini sufficiente a sostenere la sua popolazione. Dai dati delle Nazioni Unite risulta che attualmente 59 Paesi, in cui risiede il 44% della popolazione mondiale, si trovano con tassi di natalità inadeguati ad evitare il declino della propria popolazione.
Negli Stati Uniti, anche se prendiamo in considerazione gli alti tassi di immigrazione, per il 2050, un quinto della popolazione avrà più di 65 anni. L’Ufficio di Bilancio del Congresso stima che i costi per i programmi “Medicare” e “Medicaid” aumenteranno vertiginosamente, dall’attuale 4,3% del prodotto economico nazionale al 21% nel 2050. Longman avverte che i crescenti costi assistenziali potranno costringere i governi ad aumentare le tasse sui lavoratori, rendendo a loro volta più difficile permettersi delle famiglie numerose.
Il problema è ancora più grave nelle nazioni in via di sviluppo che hanno visto bruschi cali nei tassi di fertilità in un breve lasso di tempo, sostiene. Per la metà del secolo, ad esempio, le popolazioni di Paesi come il Messico e la Turchia potrebbero avere età medie più alte rispetto agli Stati Uniti.
Le proiezioni dell’ONU vedono per il 2050 un’età media di 39,7 negli Stati Uniti, con un aumento di 4,5 anni rispetto al livello attuale. Per contro, nel prossimo mezzo secolo l’età media del Messico salirà a 42 anni. Dalle proiezioni per l’intera regione dell’America latina e dei Carabi, l’età media nel 2050 si attesterà a 39,8, una frazione in più rispetto agli Stati Uniti.
Molti altri Paesi si trovano nella stessa situazione. In Algeria, l’età media dovrebbe aumentare dai 21,7 del 2000 ai 40 del 2050. Un’altra società in rapido invecchiamento sarà la Cina. Per il 2040 si stima che il 26% della popolazione avrà più di 60 anni. E se i Paesi ricchi hanno difficoltà a finanziare una popolazione che sta invecchiando, le nazioni in via di sviluppo dovranno affrontare un compito ben più difficile, essendo diventati vecchi, prima di essere diventati ricchi.
Tempeste finanziarie
La stretta fiscale che gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare, dovuta ai costi derivanti da una popolazione che sta invecchiando, è l’argomento di un altro libro, dal titolo “The Coming Generational Storm", di Laurence Kotlikoff e Scott Burns.
Gli autori dedicano gran parte del loro libro ad analizzare i costi finanziari per il Governo federale, derivanti da una popolazione invecchiata. Essi accusano i politici di tutti i partiti, di aver deliberatamente ignorato i costi finanziari di lungo termine, privilegiando gli interessi politici immediati.
Il deficit fiscale, ovvero la differenza tra le future entrate e spese del governo, sarà dell’ordine di 45 mila miliardi di dollari, secondo Kotlikoff e Burns. Dai loro calcoli risulta che le tasse che gli attuali figli dovranno pagare nel corso di tutta la vita, per coprire questo buco, dovranno essere circa il doppio di quelle attuali.
Un aumento fiscale di questa portata, produrrà una riduzione delle entrate nette, e un eventuale aumento delle tasse sulle attività economiche significherebbe poter destinare minori risorse agli investimenti di capitale. Essi sottolineano inoltre che più le decisioni vengo rimandate, più diventerà doloroso provvedere a coprire il buco fiscale.
Un’alternativa proposta dagli autori consiste nell’attuare profondi cambiamenti nei sistema previdenziali e sanitari, riducendo le future spese e allineando i pagamenti in modo più corrispondente alle reali necessità delle persone. Essi inoltre raccomandano che le persone evitino di continuare a spendere tanto ed inizino a risparmiare seriamente per la pensione.
Alcune recensioni hanno ritenuto questi tre libri troppo pessimistici nelle loro previsioni. Ma anche se il futuro può non essere così lugubre come viene descritto, l’opinione economica prevalente ritiene che il forte calo nei tassi di fertilità sarà comunque fonte di gravi problemi per l’economia mondiale.
Se i governi di domani dovranno constatare che gli impegni precedentemente presi “hanno esaurito la loro capacità fiscale di rispondere alle congiunture negative, si potrebbero verificare delle crisi economiche e dei sollevamenti sociali”, conclude Peter Heller, vice direttore del Dipartimento per gli affari fiscali del Fondo monetario internazionale, nel suo libro del 2003 “Who Will Pay?” [Chi pagherà]. La società potrebbe rimpiangere il giorno in cui ha accolto la logica del movimento per la pianificazione familiare.
Grazie ad un’errata pianificazione familiare
NEW YORK, sabato, 4 settembre 2004 (ZENIT.org).- Mentre le Nazioni Unite e i gruppi per la pianificazione familiare proseguono nei loro tentativi di ridurre i tassi di natalità, diversi libri pubblicati di recente hanno posto l’attenzione sui gravi problemi economici e sociali che derivano proprio da un numero troppo basso di figli.
Uno di questi libri, dal titolo "Bare Branches: The Security Implications of Asia's Surplus Male Population" tratta delle conseguenze insite nell’eccessivo numero di giovani maschi, a cui in Cina ci si riferisce con l’espressione “bare branches” [rami spogli]. Valerie Hudson e Andrea den Boer osservano che la Cina e l’India, che contano il 38% della popolazione mondiale, hanno un surplus di giovani di sesso maschile ben più alto di quanto le forze della natura sarebbero in grado di produrre.
Gli autori dedicano un intero capitolo alla storia della selezione sessuale, osservando che l’infanticidio femminile è stato praticato da molte culture in diverse epoche. La cultura asiatica ha dimostrato una preferenza particolarmente marcata per i figli maschi e la tecnologia moderna ha permesso a questa preferenza di essere applicata in misura ancor più radicale che nel passato.
Un normale rapporto tra il numero di maschi e di femmine al momento della nascita è di 105-107 maschi per ogni 100 femmine. Questo normalmente si traduce in un rapporto di quasi 100 maschi per 100 femmine, in relazione alla popolazione totale. Gli autori osservano che non è facile reperire statistiche affidabili sui tassi di natalità. In Cina, i dati sui rapporti tra la popolazione maschile e femminile alla nascita variano dai 115,62 ai 121,01 maschi per ogni 100 femmine. L’India mostra livelli di 111 per 113, con punte di 132 e 156 in alcune aree. Nella Corea del Sud, dopo aver raggiunto i 116,9 nel 1990, il numero si è stabilizzato sui 109,6. In Taiwan, risultano 109,5 maschi per 100 femmine alla nascita.
Lo squilibrio tra i sessi alla nascita potrebbe aggravarsi nei prossimi anni a causa di un più alto livello di mortalità infantile tra le donne, attribuita ad una mancanza di cure mediche adeguate. Le stime sul numero di “donne che mancano all’appello” in Asia variano. Dai dati relativi a sette Paesi asiatici, riportati nel libro, questo numero sarebbe di poco superiore a 90 milioni. L’India e la Cina contano rispettivamente il 43% e il 45% del totale.
Gli autori calcolano che per il 2020 l’India avrà un surplus di popolazione maschile nella fascia d’età tra i 15 e i 35 anni tra i 28 e i 32 milioni. Il corrispondente surplus in Cina potrebbe ricadere tra i 29 e i 33 milioni.
Quali saranno le implicazioni relative a surplus maschili così ingenti? Traendo spunto da un certo numero di studi, gli autori indicano una serie di caratteristiche proprie di questa categoria di persone: uno status socioeconomico basso dovuto ad un più alto livello di disoccupazione e di lavori di basso livello; una più alta probabilità di degenerazione criminale; una ben individuata sottocultura da scapolo caratterizzata dalla ricerca del piacere immediato e dalla mancanza di attenzione al futuro; una tendenza al vizio e alla violenza.
Guardando ai dati storici, il libro osserva che i governi possono adottare misure per contrastare gli effetti negativi degli squilibri tra le popolazioni maschili e femminili, ma solo dopo lunghi sforzi ed alti costi. I Paesi asiatici e in particolare Cina e India, secondo gli autori, si trovano di fronte ad un compito assai arduo nel tentativo di evitare un brusco aumento nella violenza e nei problemi sociali. Secondo gli autori, l’instabilità potrebbe anche portare allo sviluppo di conflitti armati.
Una minaccia alla prosperità
Philip Longman, nel suo libro "The Empty Cradle" [La culla vuota] si concentra sugli svantaggi economici derivanti dai bruschi cali nei tassi di natalità. Mettendo da parte i timori per una “bomba demografica”, le economie moderne si fondavano sull’aumento costante della popolazione. Nuove attività economiche sorgono infatti nelle aree in cui la popolazione è in crescita, e i sistemi previdenziali dipendono dal crescente numero di contribuenti per finanziare l’assistenza per ogni generazione che va in pensione.
Egli nota che potrebbe sembrare inopportuno preoccuparsi per il numero troppo basso di figli, in un momento in cui la popolazione mondiale continua a crescere di circa 75 milioni di persone l’anno, tuttavia, i tassi di fertilità sono crollati negli ultimi anni e nessuna nazione industrializzata può contare su di un numero di bambini sufficiente a sostenere la sua popolazione. Dai dati delle Nazioni Unite risulta che attualmente 59 Paesi, in cui risiede il 44% della popolazione mondiale, si trovano con tassi di natalità inadeguati ad evitare il declino della propria popolazione.
Negli Stati Uniti, anche se prendiamo in considerazione gli alti tassi di immigrazione, per il 2050, un quinto della popolazione avrà più di 65 anni. L’Ufficio di Bilancio del Congresso stima che i costi per i programmi “Medicare” e “Medicaid” aumenteranno vertiginosamente, dall’attuale 4,3% del prodotto economico nazionale al 21% nel 2050. Longman avverte che i crescenti costi assistenziali potranno costringere i governi ad aumentare le tasse sui lavoratori, rendendo a loro volta più difficile permettersi delle famiglie numerose.
Il problema è ancora più grave nelle nazioni in via di sviluppo che hanno visto bruschi cali nei tassi di fertilità in un breve lasso di tempo, sostiene. Per la metà del secolo, ad esempio, le popolazioni di Paesi come il Messico e la Turchia potrebbero avere età medie più alte rispetto agli Stati Uniti.
Le proiezioni dell’ONU vedono per il 2050 un’età media di 39,7 negli Stati Uniti, con un aumento di 4,5 anni rispetto al livello attuale. Per contro, nel prossimo mezzo secolo l’età media del Messico salirà a 42 anni. Dalle proiezioni per l’intera regione dell’America latina e dei Carabi, l’età media nel 2050 si attesterà a 39,8, una frazione in più rispetto agli Stati Uniti.
Molti altri Paesi si trovano nella stessa situazione. In Algeria, l’età media dovrebbe aumentare dai 21,7 del 2000 ai 40 del 2050. Un’altra società in rapido invecchiamento sarà la Cina. Per il 2040 si stima che il 26% della popolazione avrà più di 60 anni. E se i Paesi ricchi hanno difficoltà a finanziare una popolazione che sta invecchiando, le nazioni in via di sviluppo dovranno affrontare un compito ben più difficile, essendo diventati vecchi, prima di essere diventati ricchi.
Tempeste finanziarie
La stretta fiscale che gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare, dovuta ai costi derivanti da una popolazione che sta invecchiando, è l’argomento di un altro libro, dal titolo “The Coming Generational Storm", di Laurence Kotlikoff e Scott Burns.
Gli autori dedicano gran parte del loro libro ad analizzare i costi finanziari per il Governo federale, derivanti da una popolazione invecchiata. Essi accusano i politici di tutti i partiti, di aver deliberatamente ignorato i costi finanziari di lungo termine, privilegiando gli interessi politici immediati.
Il deficit fiscale, ovvero la differenza tra le future entrate e spese del governo, sarà dell’ordine di 45 mila miliardi di dollari, secondo Kotlikoff e Burns. Dai loro calcoli risulta che le tasse che gli attuali figli dovranno pagare nel corso di tutta la vita, per coprire questo buco, dovranno essere circa il doppio di quelle attuali.
Un aumento fiscale di questa portata, produrrà una riduzione delle entrate nette, e un eventuale aumento delle tasse sulle attività economiche significherebbe poter destinare minori risorse agli investimenti di capitale. Essi sottolineano inoltre che più le decisioni vengo rimandate, più diventerà doloroso provvedere a coprire il buco fiscale.
Un’alternativa proposta dagli autori consiste nell’attuare profondi cambiamenti nei sistema previdenziali e sanitari, riducendo le future spese e allineando i pagamenti in modo più corrispondente alle reali necessità delle persone. Essi inoltre raccomandano che le persone evitino di continuare a spendere tanto ed inizino a risparmiare seriamente per la pensione.
Alcune recensioni hanno ritenuto questi tre libri troppo pessimistici nelle loro previsioni. Ma anche se il futuro può non essere così lugubre come viene descritto, l’opinione economica prevalente ritiene che il forte calo nei tassi di fertilità sarà comunque fonte di gravi problemi per l’economia mondiale.
Se i governi di domani dovranno constatare che gli impegni precedentemente presi “hanno esaurito la loro capacità fiscale di rispondere alle congiunture negative, si potrebbero verificare delle crisi economiche e dei sollevamenti sociali”, conclude Peter Heller, vice direttore del Dipartimento per gli affari fiscali del Fondo monetario internazionale, nel suo libro del 2003 “Who Will Pay?” [Chi pagherà]. La società potrebbe rimpiangere il giorno in cui ha accolto la logica del movimento per la pianificazione familiare.
martedì, settembre 14, 2004
Bariona
La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia». E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
Jean Paul Sartre
Jean Paul Sartre
lunedì, settembre 13, 2004
Push me
Il cibo della mensa ha già cominciato a procurarmi preoccupanti allucinazioni.
Oggi entro nello student bar, pienissimo per festeggiare il primo giorno del semestre, la musica altissima: Push me and then just touch me, till I can get my satisfaction
Davanti agli schermi giganti una folla di studenti che grida Jump, jump! e vedo, in diretta su Skynews, Batman che sta per lanciarsi da Backingham Palace.
Devo aver mangiato troppe cipolle.
Oggi entro nello student bar, pienissimo per festeggiare il primo giorno del semestre, la musica altissima: Push me and then just touch me, till I can get my satisfaction
Davanti agli schermi giganti una folla di studenti che grida Jump, jump! e vedo, in diretta su Skynews, Batman che sta per lanciarsi da Backingham Palace.
Devo aver mangiato troppe cipolle.
domenica, settembre 12, 2004
Saluti da Dublino
La mia nuova camera è la 3-12-6. Aggiornate le vostri rubriche.
Niente vista sulla baia quest'anno. :(
Saluti da Dublino.
Niente vista sulla baia quest'anno. :(
Saluti da Dublino.
Per il fratellino da guarire una selezione al cubo
Il riuscito innesto in un bambino talassemico di due unità di sangue placentare, ottenute al momento del parto di due sue sorelline, ha suscitato concitate reazioni. Alcune sono di plauso per il brillante esempio di terapia cellulare; altre di critica per la selezione degli embrioni che ha portato alla nascita delle due sorelle sane e candidate per la donazione. Non sono poi mancate le polemiche contro la legge 40/2004 sulla fecondazione in vitro e contro lo stesso ministro della Salute che la difende. Questo insieme però rischia di confondere la realtà e di non tenere conto ragionevolmente di tutti i suoi fattori. Proviamo a identificare tre elementi che possono aiutare un giudizio sereno e argomentato.
Anzitutto, l'indubbio merito di chi è stato in grado di effettuare una terapia cellulare della talassemia ricorrendo all'espansione in laboratorio di cellule di tipo staminale presenti nel sangue placentare di due sorelle del piccolo paziente, senza provocare alcuna lesione né nelle neonate né nella madre. Ciò ha mostrato con inequivocabile lucidità che alcune cellule staminali non di tipo embrionale sono in grado di essere usate per curare malattie genetiche gravi. Di certo, noi sappiamo che con le cellule staminali della placenta è possibile già oggi curare malattie come la talassemia. Al contrario, sinora nessun paziente talassemico è mai stato curato con cellule staminali embrionali o derivate da esse. Non si può escludere che ciò avvenga in futuro, ma ostinarsi ad affermare che vietando la ricerca sulle staminali embrionali si priva della possibilità di una terapia cellulare i talassemici ed altri pazienti appare irragionevole. Perché distruggere embrioni umani per ricavare cellule staminali di tipo embrionale quando quelle ottenibili, senza danno ad alcuno, dal sangue cordonale o da tessuti dell'adulto - come il midollo osseo - possono essere usate per fruttuose ricerche e terapie?
Anche a detta dell'équipe che ha eseguito l'intervento, un risultato biologi camente e clinicamente identico sarebbe stato possibile pur se le sorelle fossero state concepite naturalmente e non in vitro. La raccolta e l'espansione del sangue placentare è indipendente dalla modalità con cui è stato concepito il neonato. La selezione degli embrioni che sono stati trasferiti nell'utero della madre ha solo aumentato la probabilità della nascita di un donatore HLA-compatibile con il fratello malato. Ma tale probabilità - che dipende dalla genetica del sistema HLA - è già di ca. il 19% tra i fratelli non gemelli omozigoti. Se si estende poi la ricerca alle unità di sangue placentare in biobanche di adeguate dimensioni (e ciò sarà possibile grazie al rapido sviluppo delle donazioni al momento del parto) la percentuale di successo sale considerevolmente. E invece per la nascita delle due sorelle del piccolo paziente sono stati selezionati tre embrioni su dodici: perché distruggere deliberatamente nove esseri umani all'inizio del loro sviluppo?
Un ultimo ma non meno importante elemento di giudizio. Ciò che è stato compito nella clinica di Istanbul va ben al di là della selezione degli embrioni "sani" da impiantare per la nascita e di quelli "malati" da eliminare (il che, pur moralmente inaccettabile, avvicina tuttavia questa procedura alla diagnosi prenatale e all'aborto dei feti affetti da malattie congenite). Gli embrioni selezionati, da cui sono nate le gemelle, non solo erano "geneticamente sani" (cioè non talassemici) ma erano anche esclusivamente quelli che presentavano un HLA compatibile con quello del fratello malato. In questa procedura, infatti, tra gli embrioni eliminati non figurano solo quelli "malati" ma anche quelli "sani" ma non candidabili come donatori a motivo della loro costituzione genetica. Se questa non è eugenetica, come possiamo chiamarla? È qui evidente un uso meramente strumentale della vita di un essere umano, la cui dignità ed il cui valore viene fatto unicamente risiedere in una particolare "qualità genetica" che lo fa servire ad fine terapeutico estrinseco ad esso. Su questo anche un filosofo "laico" come Kant avrebbe molto da obiettare.
Roberto Colombo, Avvenire 9 settembre 2004
Anzitutto, l'indubbio merito di chi è stato in grado di effettuare una terapia cellulare della talassemia ricorrendo all'espansione in laboratorio di cellule di tipo staminale presenti nel sangue placentare di due sorelle del piccolo paziente, senza provocare alcuna lesione né nelle neonate né nella madre. Ciò ha mostrato con inequivocabile lucidità che alcune cellule staminali non di tipo embrionale sono in grado di essere usate per curare malattie genetiche gravi. Di certo, noi sappiamo che con le cellule staminali della placenta è possibile già oggi curare malattie come la talassemia. Al contrario, sinora nessun paziente talassemico è mai stato curato con cellule staminali embrionali o derivate da esse. Non si può escludere che ciò avvenga in futuro, ma ostinarsi ad affermare che vietando la ricerca sulle staminali embrionali si priva della possibilità di una terapia cellulare i talassemici ed altri pazienti appare irragionevole. Perché distruggere embrioni umani per ricavare cellule staminali di tipo embrionale quando quelle ottenibili, senza danno ad alcuno, dal sangue cordonale o da tessuti dell'adulto - come il midollo osseo - possono essere usate per fruttuose ricerche e terapie?
Anche a detta dell'équipe che ha eseguito l'intervento, un risultato biologi camente e clinicamente identico sarebbe stato possibile pur se le sorelle fossero state concepite naturalmente e non in vitro. La raccolta e l'espansione del sangue placentare è indipendente dalla modalità con cui è stato concepito il neonato. La selezione degli embrioni che sono stati trasferiti nell'utero della madre ha solo aumentato la probabilità della nascita di un donatore HLA-compatibile con il fratello malato. Ma tale probabilità - che dipende dalla genetica del sistema HLA - è già di ca. il 19% tra i fratelli non gemelli omozigoti. Se si estende poi la ricerca alle unità di sangue placentare in biobanche di adeguate dimensioni (e ciò sarà possibile grazie al rapido sviluppo delle donazioni al momento del parto) la percentuale di successo sale considerevolmente. E invece per la nascita delle due sorelle del piccolo paziente sono stati selezionati tre embrioni su dodici: perché distruggere deliberatamente nove esseri umani all'inizio del loro sviluppo?
Un ultimo ma non meno importante elemento di giudizio. Ciò che è stato compito nella clinica di Istanbul va ben al di là della selezione degli embrioni "sani" da impiantare per la nascita e di quelli "malati" da eliminare (il che, pur moralmente inaccettabile, avvicina tuttavia questa procedura alla diagnosi prenatale e all'aborto dei feti affetti da malattie congenite). Gli embrioni selezionati, da cui sono nate le gemelle, non solo erano "geneticamente sani" (cioè non talassemici) ma erano anche esclusivamente quelli che presentavano un HLA compatibile con quello del fratello malato. In questa procedura, infatti, tra gli embrioni eliminati non figurano solo quelli "malati" ma anche quelli "sani" ma non candidabili come donatori a motivo della loro costituzione genetica. Se questa non è eugenetica, come possiamo chiamarla? È qui evidente un uso meramente strumentale della vita di un essere umano, la cui dignità ed il cui valore viene fatto unicamente risiedere in una particolare "qualità genetica" che lo fa servire ad fine terapeutico estrinseco ad esso. Su questo anche un filosofo "laico" come Kant avrebbe molto da obiettare.
Roberto Colombo, Avvenire 9 settembre 2004
venerdì, settembre 10, 2004
Senza parole
Praga, 15:35
Cow parade, sparisce mucca di plastica: arrestati 2 italiani
La polizia ceca ha arrestato la notte scorsa due turisti italiani perché ritenuti i responsabili del furto di una delle 204 mucche di plastica della Cow Parade, manifestazione attualmente in corso anche a Manchester, in Inghilterra, e ad Harrisburg, negli Stati Uniti. Secondo informazioni non ufficiali si tratterebbe di due turisti 23enni di Cagliari, Alessandro V. e M.P., interrogati nel pomeriggio dalla polizia. Pare che i due, dopo aver trafugato la mucca esposta in piazza Hastalske, vicino alla piazza dell'Orologio, volessero nasconderla in un appartamento.
Cow parade, sparisce mucca di plastica: arrestati 2 italiani
La polizia ceca ha arrestato la notte scorsa due turisti italiani perché ritenuti i responsabili del furto di una delle 204 mucche di plastica della Cow Parade, manifestazione attualmente in corso anche a Manchester, in Inghilterra, e ad Harrisburg, negli Stati Uniti. Secondo informazioni non ufficiali si tratterebbe di due turisti 23enni di Cagliari, Alessandro V. e M.P., interrogati nel pomeriggio dalla polizia. Pare che i due, dopo aver trafugato la mucca esposta in piazza Hastalske, vicino alla piazza dell'Orologio, volessero nasconderla in un appartamento.
mercoledì, settembre 08, 2004
Per ELe
Saluto Ele (ex starsailor), il tuo vecchio link è ancora tra i miei preferiti.
Mi mandi la password per il nuovo blog?
Il FestivalFilosofia di Modena sta per cominciare e io, anche quest'anno, non ci sarò. Peccato. Intanto perché lo organizza la Fondazione San Carlo, presso il cui collegio ho studiato, ma soprattutto perché è un'occasione unica di incontrare tante personalità del mondo filosofico. Se tu vai ci farai un bel resoconto?
Io non mi perderei: Jean-Luc Marion, Achille Varzi e Cettina Militello. Evitate invece i grandi nomi italiani.
Mi fa piacere che hai apprezzato gli ultimi interventi che ho messo su questi schermi.
Hai ragione, è davvero difficile a volte capire cosa è giusto e cosa no.
Specialmente poi quando chi discute, invece di chiarire fa di tutto per confondere.
Ad esempio la polemica di questi giorni tra Sirchia e i radicali.
L'efficacia del trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale per curare la talassemia è una scoperta grandiosa, anche perché permetterebbe di porre fine alla discussione sull'uso strumentale degli embrioni umani, che qualcuno vorrebbe produrre con il solo scopo di fornire 'pezzi'.
Perchè sperimentare sugli embrioni se sappiamo con sicurezza che l'alternativa funziona con cellule 'adulte'?
I radicali, e con loro tutti quelli che non considerano degno di tutela un essere umano allo stato embrionale, hanno ora un argomento in meno a sostegno delle loro tesi.
La loro malafede si vede in queste occasioni; invece di gioire della scoperta, hanno inscenato una vergognosa polemica su un aspetto contingente: il fatto che i due gemelli 'donatori' siano stati concepiti artificialmente dopo una selezione di embrioni.
Certo è triste che per salvare il bimbo malato di talassemia abbiano dovuto sacrificare 10 dei suoi fratelli ma il modo con cui sono stati concepiti i due che hanno fornito il sangue placentare è del tutto indifferente rispetto alla riuscita dell'esperimento. Se fossero stati concepiti secondo natura la procedura avrebbe funzionato ugualmente.
La tecnica infatti è stata sviluppata e continuerà ad essere utilizzata in Italia, dove la selezione eugenetica degli embrioni è vietata, per fortuna.
I radicali, che nonostante raccolgano l'1 per cento dell'elettorato, come Rauti, sono continuamente su TV e giornali, ne hanno approfittato per confondere e speculare.
Ce l'hanno con Sirchia, frustrati anche dal fatto che la raccolta delle firme a sostegno dei loro referedum sta andando piuttosto male, nonostante i continui appelli televisivi.
E' davvero difficile a volte capire cosa è giusto e cosa no, specialmente se i fatti vengono confusi con le bugie, bugie radicali.
Mi mandi la password per il nuovo blog?
Il FestivalFilosofia di Modena sta per cominciare e io, anche quest'anno, non ci sarò. Peccato. Intanto perché lo organizza la Fondazione San Carlo, presso il cui collegio ho studiato, ma soprattutto perché è un'occasione unica di incontrare tante personalità del mondo filosofico. Se tu vai ci farai un bel resoconto?
Io non mi perderei: Jean-Luc Marion, Achille Varzi e Cettina Militello. Evitate invece i grandi nomi italiani.
Mi fa piacere che hai apprezzato gli ultimi interventi che ho messo su questi schermi.
Hai ragione, è davvero difficile a volte capire cosa è giusto e cosa no.
Specialmente poi quando chi discute, invece di chiarire fa di tutto per confondere.
Ad esempio la polemica di questi giorni tra Sirchia e i radicali.
L'efficacia del trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale per curare la talassemia è una scoperta grandiosa, anche perché permetterebbe di porre fine alla discussione sull'uso strumentale degli embrioni umani, che qualcuno vorrebbe produrre con il solo scopo di fornire 'pezzi'.
Perchè sperimentare sugli embrioni se sappiamo con sicurezza che l'alternativa funziona con cellule 'adulte'?
I radicali, e con loro tutti quelli che non considerano degno di tutela un essere umano allo stato embrionale, hanno ora un argomento in meno a sostegno delle loro tesi.
La loro malafede si vede in queste occasioni; invece di gioire della scoperta, hanno inscenato una vergognosa polemica su un aspetto contingente: il fatto che i due gemelli 'donatori' siano stati concepiti artificialmente dopo una selezione di embrioni.
Certo è triste che per salvare il bimbo malato di talassemia abbiano dovuto sacrificare 10 dei suoi fratelli ma il modo con cui sono stati concepiti i due che hanno fornito il sangue placentare è del tutto indifferente rispetto alla riuscita dell'esperimento. Se fossero stati concepiti secondo natura la procedura avrebbe funzionato ugualmente.
La tecnica infatti è stata sviluppata e continuerà ad essere utilizzata in Italia, dove la selezione eugenetica degli embrioni è vietata, per fortuna.
I radicali, che nonostante raccolgano l'1 per cento dell'elettorato, come Rauti, sono continuamente su TV e giornali, ne hanno approfittato per confondere e speculare.
Ce l'hanno con Sirchia, frustrati anche dal fatto che la raccolta delle firme a sostegno dei loro referedum sta andando piuttosto male, nonostante i continui appelli televisivi.
E' davvero difficile a volte capire cosa è giusto e cosa no, specialmente se i fatti vengono confusi con le bugie, bugie radicali.
Affittasi camera singola a Roma
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in appartamento vicino Metro Furio Camillo
euro 400 mensili
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Phone +393282757011 Francesco
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martedì, settembre 07, 2004
Avete mai visto un bambino con spina bifida? Io sì, è mio figlio. Ed è bellissimo
Sdraiato sul letto, mio figlio mi dorme a fianco, stringe tra le mani il suo cagnolino. Siamo appena tornati dal teatro di Villa Borghese, dove un gruppo di ragazzi africani recitava uno splendido "Pinocchio nero". Lui ha seguito lo spettacolo riconoscendo i personaggi, chiedendo della balena e di Geppetto, della scuola, che anche lui, come Pinocchio, dovrà iniziare tra pochi giorni. Prima elementare.
Anche lui camminava come Pinocchio. I lunghi tutori di metallo, dalla coscia al piede, snodati al ginocchio, gli davano quell'andatura caratteristica delle marionette. Oggi lui stesso ride nel vedere Pinocchio che cammina così. È nato con una grave malformazione che si chiama spina bifida. Si è appena addormentato. Io leggo 'Repubblica' di giovedì 2 settembre e mi fermo all'articolo in cui si intervista il medico che in Olanda pratica l'eutanasia ai bambini. Leggo: "Ha mai visto un bambino con spina bifida? Ecco, questo è uno di quelli che abbiamo ucciso".
Poso il giornale, mi fermo lì, a pagina 13. Prendo il libro sul comodino, inizio a leggere mentre lui continua a dormire. Il libro mi prende, leggo trenta pagine, ma non ce la faccio, dentro di me cresce rabbia e sgomento. E penso: ma come? Avete mai visto un bambino con spina bifida? Io sì. È mio figlio. Ed è bellissimo, vivace e intelligente. Ha due occhi neri neri. Dorme tenerissimo con la sua schiena appoggiata alla mia. La mamma e la sorellina sono fuori e ha quindi il permesso di stare nel lettone. È un bimbo come tutti gli altri. Va a scuola, ha degli amici che lo cercano per giocare assieme.
Quel medico pensa che bambini così non meritino di vivere. Io penso il contrario. Lo penso perché è mio figlio. E quando lo incontrammo per la prima volta in quella stanza di ospedale, dove da troppi mesi aspettava una mamma e un papà adottivi, le gambe ingessate e gli occhioni neri che mi scrutavano dritti e silenziosi, non ho pensato di cercare un medico che gli desse la dolce morte. Ho pensato solo che da quel giorno sarebbe diventato nostro figlio. E il medico che abbiamo incontrato, i tanti medici, gli hanno regalato la "dolce vita". L'ortopedico pian piano gli ha raddrizzato i piedi. Il neurochirurgo gli ha inserito una piccola valvola per drenare dalla testa l'acqua in eccesso, evitando che diventasse idrocefalo e l'urologo gli ha evitato che potesse avere gravi infezioni per la difficoltà di urinare. Sono questi i medici di cui ha avuto bisogno mio figlio. E non di chi gli regalasse la morte.
E ora vi prego, non immaginate mio figlio come un bimbo infelice che vive in ospedale. Perché lui oggi vive esattamente come i suoi coetanei. Con le sue nuove scarpe ortopediche corre salta e gioca. È felice, come sua sorella, che di handicap non ne ha.
Mi spaventa l'eutanasia, l'aborto terapeutico, l'eugenetica. A chi fanno paura i diversi? Chi soffre davvero, i sani o gli handicappati? Siamo davvero sicuri che dare loro la morte è fare la loro felicità? O vogliamo solo una società di sani? Io credo che si debba lavorare per costruire città a misura di tutti, a partire dai bisogni di chi ha più difficoltà. Ospedali in cui ci siano medici e infermieri capaci di guardare negli occhi i loro pazienti, di capire che hanno di fronte una persona, che potrebbe essere il loro figlio... e io a mio figlio non voglio regalare la morte.
Per fortuna viviamo in uno Stato in cui secondo la Corte di Cassazione (sentenza numero 14.488 dell'agosto 2004) "sostenere che il concepito abbia un diritto a non nascere, sia pure in determinate situazioni di malformazione, significa affermare l'esistenza di un principio di eugenesi o di eutanasia prenatale, che è in contrasto con i principi di solidarietà dell'articolo 2 della Costituzione''.
E quando mio figlio avrà l'età per farlo, scriverà lui stesso cosa ne pensa e vi dirà se avrebbe preferito nascere in Olanda.
Luigi Vittorio Berliri
Anche lui camminava come Pinocchio. I lunghi tutori di metallo, dalla coscia al piede, snodati al ginocchio, gli davano quell'andatura caratteristica delle marionette. Oggi lui stesso ride nel vedere Pinocchio che cammina così. È nato con una grave malformazione che si chiama spina bifida. Si è appena addormentato. Io leggo 'Repubblica' di giovedì 2 settembre e mi fermo all'articolo in cui si intervista il medico che in Olanda pratica l'eutanasia ai bambini. Leggo: "Ha mai visto un bambino con spina bifida? Ecco, questo è uno di quelli che abbiamo ucciso".
Poso il giornale, mi fermo lì, a pagina 13. Prendo il libro sul comodino, inizio a leggere mentre lui continua a dormire. Il libro mi prende, leggo trenta pagine, ma non ce la faccio, dentro di me cresce rabbia e sgomento. E penso: ma come? Avete mai visto un bambino con spina bifida? Io sì. È mio figlio. Ed è bellissimo, vivace e intelligente. Ha due occhi neri neri. Dorme tenerissimo con la sua schiena appoggiata alla mia. La mamma e la sorellina sono fuori e ha quindi il permesso di stare nel lettone. È un bimbo come tutti gli altri. Va a scuola, ha degli amici che lo cercano per giocare assieme.
Quel medico pensa che bambini così non meritino di vivere. Io penso il contrario. Lo penso perché è mio figlio. E quando lo incontrammo per la prima volta in quella stanza di ospedale, dove da troppi mesi aspettava una mamma e un papà adottivi, le gambe ingessate e gli occhioni neri che mi scrutavano dritti e silenziosi, non ho pensato di cercare un medico che gli desse la dolce morte. Ho pensato solo che da quel giorno sarebbe diventato nostro figlio. E il medico che abbiamo incontrato, i tanti medici, gli hanno regalato la "dolce vita". L'ortopedico pian piano gli ha raddrizzato i piedi. Il neurochirurgo gli ha inserito una piccola valvola per drenare dalla testa l'acqua in eccesso, evitando che diventasse idrocefalo e l'urologo gli ha evitato che potesse avere gravi infezioni per la difficoltà di urinare. Sono questi i medici di cui ha avuto bisogno mio figlio. E non di chi gli regalasse la morte.
E ora vi prego, non immaginate mio figlio come un bimbo infelice che vive in ospedale. Perché lui oggi vive esattamente come i suoi coetanei. Con le sue nuove scarpe ortopediche corre salta e gioca. È felice, come sua sorella, che di handicap non ne ha.
Mi spaventa l'eutanasia, l'aborto terapeutico, l'eugenetica. A chi fanno paura i diversi? Chi soffre davvero, i sani o gli handicappati? Siamo davvero sicuri che dare loro la morte è fare la loro felicità? O vogliamo solo una società di sani? Io credo che si debba lavorare per costruire città a misura di tutti, a partire dai bisogni di chi ha più difficoltà. Ospedali in cui ci siano medici e infermieri capaci di guardare negli occhi i loro pazienti, di capire che hanno di fronte una persona, che potrebbe essere il loro figlio... e io a mio figlio non voglio regalare la morte.
Per fortuna viviamo in uno Stato in cui secondo la Corte di Cassazione (sentenza numero 14.488 dell'agosto 2004) "sostenere che il concepito abbia un diritto a non nascere, sia pure in determinate situazioni di malformazione, significa affermare l'esistenza di un principio di eugenesi o di eutanasia prenatale, che è in contrasto con i principi di solidarietà dell'articolo 2 della Costituzione''.
E quando mio figlio avrà l'età per farlo, scriverà lui stesso cosa ne pensa e vi dirà se avrebbe preferito nascere in Olanda.
Luigi Vittorio Berliri
lunedì, settembre 06, 2004
Olanda
L’Olanda rafforza il suo triste primato in fatto di pratica legale dell’eutanasia. Il 30 agosto 2004, infatti, un’allarmante notizia è stata diffusa - sia pur brevemente - dalla maggior parte dei quotidiani e dei telegiornali italiani: l’intesa fra la magistratura olandese e la clinica universitaria di Groningen, che autorizza un protocollo di sperimentazione volto ad estendere ai bambini sotto i dodici anni, e anche ai neonati, la pratica dell’eutanasia già regolata dalla legge dell’aprile 2002.
In questi giorni, in cui tutto il mondo rabbrividisce davanti al tragico spettacolo delle atrocità commesse dal terrorismo jihadista sugli innocenti, e in particolare sui bambini dell’Ossezia, perché non pensare anche a quelle violenze nascoste, ma non per questo meno rivoltanti, perpetrate da anni e in misura crescente nelle sale asettiche degli ospedali ai danni di chi non ha voce per far valere i propri diritti?
Il mondo occidentale, infiacchito da decenni di assuefazione al crimine legale dell’aborto procurato – un autentico massacro di vittime inermi – subisce ora in Olanda la sferzata dell’eutanasia infantile e neonatale, giustificandola con il “diritto” dei bambini ad avere, come i “grandi”, una morte indolore. Una “buona morte”, come ricorda eufemisticamente la stessa parola eutanasia.
Perché di questo si tratta: di proporre una morte valutata secondo criteri “di qualità”, come un prodotto qualsiasi. In Olanda la morte per eutanasia è quasi pubblicizzata, per indurre la convinzione che, poiché la morte è inevitabile, tanto vale costruirsela a piacimento, renderla meno sgradevole e soprattutto controllarne i modi e i tempi.
Ma qui si situa una prima importante anomalia: l’eutanasia è stata sostenuta, almeno dopo la fine della seconda guerra mondiale, come eutanasia su richiesta, cioè come eutanasia consensuale. In Olanda e in molti altri paesi i fautori dell’eutanasia hanno addirittura rivisitato la definizione del termine, precisando che oggetto di un disegno di legge può essere unicamente l’eutanasia propriamente detta, cioè quella richiesta con insistenza dal paziente in determinate condizioni di prostrazione e con prognosi certamente infausta.
Con ciò si voleva tra l’altro prendere “vistosamente” le distanze dall’eutanasia nazista, che corrispondeva a un’eugenetica di stato, sopprimendo anche senza consenso ed eventualmente con l’inganno i cittadini ritenuti di minor valore, come i disabili, i malati di mente, i malati gravi e i morenti. Tutti i movimenti pro-eutanasia insistono nel sottolineare come, al contrario, l’idea “democratica” di eutanasia riconosca la centralità dell’autonomia del paziente, il quale - ci ripetono come in un ritornello - deve poter decidere i tempi e i modi della propria morte.
Invece, i moralisti attenti e tutte le persone assennate comprendono che l’anticipazione volontaria della morte come mezzo per eliminare il dolore porta facilmente ad abusi ed estensioni, rivelando il suo vero volto: non un atto di pietà per il dolore insopportabile, ma un atto di insofferenza verso il sofferente, un atto di rifiuto verso chi ci ricorda con la sua agonia, la finitezza umana, un atto di pura violenza verso i deboli in quanto deboli. E oltretutto “costosi”.
Il risultato è che la distanza delle pratiche eutanasiche olandesi da quelle naziste si è annullata di colpo, e appaiono poco convincenti le “precauzioni” messe a punto dal “protocollo rigidissimo” di cui parla il responsabile della sezione pediatrica della clinica olandese, il dottor Eduard Verhagen, come la possibilità di perseguire il medico che ha compiuto l’eutanasia in modo non ortodosso e l’obbligo di ascoltare il parere di un altro medico indipendente, oltre ai tre previsti dalla legge del 2002.
Il dottor Verhagen ammette che, nel suo paese, l’eutanasia infantile è già un dato di fatto: “Ogni anno la dolce morte ‘libera dai dolori’ circa ottocento bambini olandesi. Di questi, continua Verhagen, ‘almeno una ventina hanno un'esistenza che è talmente terribile, insopportabile, disperata da far preferire la morte’” (Andrea Tarquini, Olanda, sì all’eutanasia sui bambini, “La Repubblica”, 31 agosto 2004). Trascurando per un attimo le possibilità di controllo del dolore e di vero accompagnamento alla morte di quei venti dall’esistenza tale “da far preferire la morte”, viene da chiedersi: perché dunque vengono uccisi gli altri 780 bambini? Chi davvero “preferisce” la loro morte?
Perché non si intraprende un serio lavoro di perfezionamento e promozione delle cure palliative, che già, dove correttamente applicate, hanno eliminato quasi totalmente le richieste di eutanasia? Perché, soprattutto, non ci si dispone ad accompagnare i morenti rispondendo alle loro reali richieste, ovvero il bisogno di senso, di sicurezza, di affetto e di pazienza che nessuna iniezione letale può dare? E’ proprio la mancanza di queste risposte a gettare nella disperazione chi già soffre, oltretutto in un contesto psicologico e culturale ove si avverte chiaro il “peso” che il sofferente costituisce per chi invece lo dovrebbe aiutare ad affrontare la prova.
La radice del male, in realtà, non risiede nelle modalità con cui l’eutanasia è eseguita o nelle estensioni della pratica oltre determinati confini, ma nella pratica stessa dell’eutanasia in quanto uccisione diretta e deliberata, cioè volontaria, di un essere umano innocente. Per questo nella Lettera Enciclica Evangelium Vitae, al n. 65, il Santo Padre Giovanni Paolo II non esista a definire l’eutanasia sempre e comunque un suicidio o un omicidio, che lede gravemente la dignità dell’essere umano e riduce l’uomo, vertice della Creazione e immagine del Creatore, ad un oggetto da costruire, esaminare e scartare quando non serve più.
Un’ultima nota. Mentre all’estero la notizia è passata sotto pressoché completo silenzio, rimanendo assente dalle testate giornalistiche, in Italia ha suscitato molteplici reazioni, quasi unanimemente negative, per poi ritornare nell’ombra. Forse qualcuno sperava in un’accoglienza diversa, magari in un’opinione pubblica divisa, che potesse servire validamente la causa pro-eutanasia?
Claudia Navarini
In questi giorni, in cui tutto il mondo rabbrividisce davanti al tragico spettacolo delle atrocità commesse dal terrorismo jihadista sugli innocenti, e in particolare sui bambini dell’Ossezia, perché non pensare anche a quelle violenze nascoste, ma non per questo meno rivoltanti, perpetrate da anni e in misura crescente nelle sale asettiche degli ospedali ai danni di chi non ha voce per far valere i propri diritti?
Il mondo occidentale, infiacchito da decenni di assuefazione al crimine legale dell’aborto procurato – un autentico massacro di vittime inermi – subisce ora in Olanda la sferzata dell’eutanasia infantile e neonatale, giustificandola con il “diritto” dei bambini ad avere, come i “grandi”, una morte indolore. Una “buona morte”, come ricorda eufemisticamente la stessa parola eutanasia.
Perché di questo si tratta: di proporre una morte valutata secondo criteri “di qualità”, come un prodotto qualsiasi. In Olanda la morte per eutanasia è quasi pubblicizzata, per indurre la convinzione che, poiché la morte è inevitabile, tanto vale costruirsela a piacimento, renderla meno sgradevole e soprattutto controllarne i modi e i tempi.
Ma qui si situa una prima importante anomalia: l’eutanasia è stata sostenuta, almeno dopo la fine della seconda guerra mondiale, come eutanasia su richiesta, cioè come eutanasia consensuale. In Olanda e in molti altri paesi i fautori dell’eutanasia hanno addirittura rivisitato la definizione del termine, precisando che oggetto di un disegno di legge può essere unicamente l’eutanasia propriamente detta, cioè quella richiesta con insistenza dal paziente in determinate condizioni di prostrazione e con prognosi certamente infausta.
Con ciò si voleva tra l’altro prendere “vistosamente” le distanze dall’eutanasia nazista, che corrispondeva a un’eugenetica di stato, sopprimendo anche senza consenso ed eventualmente con l’inganno i cittadini ritenuti di minor valore, come i disabili, i malati di mente, i malati gravi e i morenti. Tutti i movimenti pro-eutanasia insistono nel sottolineare come, al contrario, l’idea “democratica” di eutanasia riconosca la centralità dell’autonomia del paziente, il quale - ci ripetono come in un ritornello - deve poter decidere i tempi e i modi della propria morte.
Invece, i moralisti attenti e tutte le persone assennate comprendono che l’anticipazione volontaria della morte come mezzo per eliminare il dolore porta facilmente ad abusi ed estensioni, rivelando il suo vero volto: non un atto di pietà per il dolore insopportabile, ma un atto di insofferenza verso il sofferente, un atto di rifiuto verso chi ci ricorda con la sua agonia, la finitezza umana, un atto di pura violenza verso i deboli in quanto deboli. E oltretutto “costosi”.
Il risultato è che la distanza delle pratiche eutanasiche olandesi da quelle naziste si è annullata di colpo, e appaiono poco convincenti le “precauzioni” messe a punto dal “protocollo rigidissimo” di cui parla il responsabile della sezione pediatrica della clinica olandese, il dottor Eduard Verhagen, come la possibilità di perseguire il medico che ha compiuto l’eutanasia in modo non ortodosso e l’obbligo di ascoltare il parere di un altro medico indipendente, oltre ai tre previsti dalla legge del 2002.
Il dottor Verhagen ammette che, nel suo paese, l’eutanasia infantile è già un dato di fatto: “Ogni anno la dolce morte ‘libera dai dolori’ circa ottocento bambini olandesi. Di questi, continua Verhagen, ‘almeno una ventina hanno un'esistenza che è talmente terribile, insopportabile, disperata da far preferire la morte’” (Andrea Tarquini, Olanda, sì all’eutanasia sui bambini, “La Repubblica”, 31 agosto 2004). Trascurando per un attimo le possibilità di controllo del dolore e di vero accompagnamento alla morte di quei venti dall’esistenza tale “da far preferire la morte”, viene da chiedersi: perché dunque vengono uccisi gli altri 780 bambini? Chi davvero “preferisce” la loro morte?
Perché non si intraprende un serio lavoro di perfezionamento e promozione delle cure palliative, che già, dove correttamente applicate, hanno eliminato quasi totalmente le richieste di eutanasia? Perché, soprattutto, non ci si dispone ad accompagnare i morenti rispondendo alle loro reali richieste, ovvero il bisogno di senso, di sicurezza, di affetto e di pazienza che nessuna iniezione letale può dare? E’ proprio la mancanza di queste risposte a gettare nella disperazione chi già soffre, oltretutto in un contesto psicologico e culturale ove si avverte chiaro il “peso” che il sofferente costituisce per chi invece lo dovrebbe aiutare ad affrontare la prova.
La radice del male, in realtà, non risiede nelle modalità con cui l’eutanasia è eseguita o nelle estensioni della pratica oltre determinati confini, ma nella pratica stessa dell’eutanasia in quanto uccisione diretta e deliberata, cioè volontaria, di un essere umano innocente. Per questo nella Lettera Enciclica Evangelium Vitae, al n. 65, il Santo Padre Giovanni Paolo II non esista a definire l’eutanasia sempre e comunque un suicidio o un omicidio, che lede gravemente la dignità dell’essere umano e riduce l’uomo, vertice della Creazione e immagine del Creatore, ad un oggetto da costruire, esaminare e scartare quando non serve più.
Un’ultima nota. Mentre all’estero la notizia è passata sotto pressoché completo silenzio, rimanendo assente dalle testate giornalistiche, in Italia ha suscitato molteplici reazioni, quasi unanimemente negative, per poi ritornare nell’ombra. Forse qualcuno sperava in un’accoglienza diversa, magari in un’opinione pubblica divisa, che potesse servire validamente la causa pro-eutanasia?
Claudia Navarini
Caring is creepy
i think i'll go home and mull this over
before i cram it down my throat
at long last it's crashed, the colossal mass
has broken up into bits in my moat.
life the mattress off the floor
walk the cramps off
go meander in the cold
hail to your dark skin
hiding the fact you're dead again
undeneath the power lines seeking shade
far above our heads are the icy heights that contain all reason
it's a luscious mix of words and tricks
that let us bet when you know we should fold
on rocks i dreamt of where we'd stepped
and the whole mess of roads we're no on.
hold your glass up, hold it in
never betray the way you've always known it is.
one day i'll be wondering how
i got so old just wondering how
i never got cold wearing nothing in the snow.
this is way beyond my remote concern
of being condescending
all these squawking birds won't quit.
building nothing, laying bricks.
before i cram it down my throat
at long last it's crashed, the colossal mass
has broken up into bits in my moat.
life the mattress off the floor
walk the cramps off
go meander in the cold
hail to your dark skin
hiding the fact you're dead again
undeneath the power lines seeking shade
far above our heads are the icy heights that contain all reason
it's a luscious mix of words and tricks
that let us bet when you know we should fold
on rocks i dreamt of where we'd stepped
and the whole mess of roads we're no on.
hold your glass up, hold it in
never betray the way you've always known it is.
one day i'll be wondering how
i got so old just wondering how
i never got cold wearing nothing in the snow.
this is way beyond my remote concern
of being condescending
all these squawking birds won't quit.
building nothing, laying bricks.
Loreto
Loreto 5 settembre 2004
La fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell'intraprendere opere utili all'evangelizzazione e alla promozione umana.
G. P. II
Mi sembra un bel programma.
La fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell'intraprendere opere utili all'evangelizzazione e alla promozione umana.
G. P. II
Mi sembra un bel programma.
sabato, settembre 04, 2004
Stiamo vivendo, ho l’impressione, uno di quei momenti decisivi in cui, dissipata la penombra ambigua che la situazione storica spande di solito attorno al bene e al male, il dissenso cessa d’essere l’oggetto d’una opzione e sale al rango d’un mandato. Perché se questa Storia è male, se essa assomiglia a un regresso da Dio, se questo Stato è male, se esso si configura come il contrario di Dio, non vuol dire affatto che Dio non c’è, vuol dire soltanto che egli è dall’altra parte.
Mario Pomilio Il quinto evangelo
Mario Pomilio Il quinto evangelo
L'estate sta finendo
L'estate sta finendo, questi sono i miei ultimi giorni a casa, tornerò a Dublino mercoledì prossimo.
E' tempo di bilanci. Sono stato al mare 5 o 6 volte, il mio colorito è rimasto bianchiccio ma in Irlanda non sfigurerò. Sono stato anche in montagna, una quindicina di giorni, e lì, con Blathnaid, ho vissuto i momenti più felici.
Di almeno una cosa sono contento: ho letto molto.
Oltre al solito Newman, da quando sono tornato in Italia alla fine di giugno ho letto interamente:
Thomas Cahill How Irish saved civilization
DeLaura Hebrew and Hellene in Victorian England: Newman, Arnold, and Pater
Thomas Dochert Criticism and Modernity
Susan Bassnett La traduzione teorie e pratica
Vittorio Messori Opus Dei
Maria Matteini MacIntyre e la rifondazione dell’etica
E parti significative di:
Josemaria Escrivà de Balaguer Friends of God
C. K. Chesterton All things considered
Stackery Eminenti Vittoriani
Simon Blackburn Think!
Angelo Campodonico (a cura di) Verità nel tempo. Platonismo, cristianesimo e contemporaneità
Gauri Viswanathan Outside the Fold
Michele Mangini Etica delle virtù e i suoi critici
John Greco Virtue Epistemology
John Holloway The Victorian Sage
Walter Jost Rethorical Thought in John Henry Newman
Mario Pomilio Il quinto evangelo
Walter Pater Style
A questi volumi poi vanno aggiunti una trentina articoli di riviste filosofiche, che non sto a specificare.
Anche Massimo, di Azioneparallela, elenca le sue ampie letture estive. Complimenti, anche perchè sorbirsi interamente il nuovo lavoro di Cacciari non dev'essere stato facile.
E voi, miei 25 lettori, che avete fatto quest'estate?
E' tempo di bilanci. Sono stato al mare 5 o 6 volte, il mio colorito è rimasto bianchiccio ma in Irlanda non sfigurerò. Sono stato anche in montagna, una quindicina di giorni, e lì, con Blathnaid, ho vissuto i momenti più felici.
Di almeno una cosa sono contento: ho letto molto.
Oltre al solito Newman, da quando sono tornato in Italia alla fine di giugno ho letto interamente:
Thomas Cahill How Irish saved civilization
DeLaura Hebrew and Hellene in Victorian England: Newman, Arnold, and Pater
Thomas Dochert Criticism and Modernity
Susan Bassnett La traduzione teorie e pratica
Vittorio Messori Opus Dei
Maria Matteini MacIntyre e la rifondazione dell’etica
E parti significative di:
Josemaria Escrivà de Balaguer Friends of God
C. K. Chesterton All things considered
Stackery Eminenti Vittoriani
Simon Blackburn Think!
Angelo Campodonico (a cura di) Verità nel tempo. Platonismo, cristianesimo e contemporaneità
Gauri Viswanathan Outside the Fold
Michele Mangini Etica delle virtù e i suoi critici
John Greco Virtue Epistemology
John Holloway The Victorian Sage
Walter Jost Rethorical Thought in John Henry Newman
Mario Pomilio Il quinto evangelo
Walter Pater Style
A questi volumi poi vanno aggiunti una trentina articoli di riviste filosofiche, che non sto a specificare.
Anche Massimo, di Azioneparallela, elenca le sue ampie letture estive. Complimenti, anche perchè sorbirsi interamente il nuovo lavoro di Cacciari non dev'essere stato facile.
E voi, miei 25 lettori, che avete fatto quest'estate?
venerdì, settembre 03, 2004
International Society For Philosophers
Da qualche giorno la International Society For Philosophers ha alcune pagine in italiano, tradotte dal sottoscritto.
mercoledì, settembre 01, 2004
Sex Abroad
Tra le diverse cose che mi sono ritrovato nello zaino al ritorno dall'Inghilterra c'è Fresh Directory, uno di quegli pseudogiornalini per studenti pienissimi di pubblicità.
L'articolo più interessante, che meriterebbe un approfondito studio, riguarda i consigli per gli studenti inglesi che vanno in vacanza all'estero: Sex Abroad.
Riporto qui integralmente solo la versione inglese-italiano del piccolo frasario in 6 lingue, così per dare un'idea delle priorità per lo studente di Oxford che viene in Italia.
Evito commenti.
-My mate fancies you
-Il mio amico li gradisce
-You have beautiful eyes
-Avete occhi bei
-Do you want to get saucy?
-Desiderate avere sesso?
-I have diarrhoea
-Ho diarrea
-Please sell me some condoms
-Vendilo prego alcuni condoms
-I have hangover
-Ho i postumi di una sbornia
-Where is the nearest hospital?
-Dove è l'ospedale più vicino?
L'articolo più interessante, che meriterebbe un approfondito studio, riguarda i consigli per gli studenti inglesi che vanno in vacanza all'estero: Sex Abroad.
Riporto qui integralmente solo la versione inglese-italiano del piccolo frasario in 6 lingue, così per dare un'idea delle priorità per lo studente di Oxford che viene in Italia.
Evito commenti.
-My mate fancies you
-Il mio amico li gradisce
-You have beautiful eyes
-Avete occhi bei
-Do you want to get saucy?
-Desiderate avere sesso?
-I have diarrhoea
-Ho diarrea
-Please sell me some condoms
-Vendilo prego alcuni condoms
-I have hangover
-Ho i postumi di una sbornia
-Where is the nearest hospital?
-Dove è l'ospedale più vicino?
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