mercoledì, novembre 09, 2005

Per chi brucia Parigi

Parigi brucia e c'è poco da fare gli scongiuri contro la facile profezia di Romano Prodi, quei roghi di periferia lampeggiano per tutti noi abitatori del centro storico dell'occidente. Noi, i nativi. Gli assimilatori. Gli universalisti. I dispensatori di promesse di emancipazione e uguaglianza e di certificati di residenza e di cittadinanza. Tre generazioni sono bastate perché quelle promesse entrassero nel discredito. Promesse mancate, e di più, promesse in origine falsate. Non è questione solo dello scarto, che oggi molti sottolineano, fra il miraggio dell'uguaglianza e la realtà della discriminazione, nei redditi, nel lavoro, nelle condizioni di vita, nella qualità dell'ambiente urbano. Jack Lang ha certamente le sue fondatissime ragioni quando punta l'indice contro la politica «antisociale» di Chirac e contro «la violenza di stato, il disprezzo, l'abbandono, l'insulto verso i deboli» che ha caratterizzato il governo antiegualitario della destra. Ma non è solo questo il punto. Quel governo antisociale e antiegualitario è lo stesso che con la legge sul velo aveva voluto lanciare viceversa un estremo segnale ugualitario, in linea con la tradizione integrazionista della Republique francese. Quel segnale non solo non ha convinto i suoi destinatari, ma sembra ora rimbalzare come un boomerang sui suoi mittenti.

Non avevamo torto a vedere nella vicenda della legge sul velo e nella filosofia che la sosteneva il sintomo eloquente di una situazione esplosiva. Ribadire il progetto dell'integrazione non serve quando esso rivela la sua vocazione più assimilazionista che egualitaria, in una società differenziata che certo domanda più uguaglianza, ma non sopporta più assimilazione. Quelle ragazze che portano il velo, figlie di madri che per diventare brave cittadine francesi l'avevano dismesso, non sono - o non sempre - il segno di una regressione patriarcale: sono - talvolta - il segno di una diversità rivendicata, e perfino reinventata, contro la parola d'ordine dell'integrazionea ssimilatrice. Diventare come noi non è il loro progetto. La cittadinanza occidentale non ha solo mancato le sue promesse: ha perduto il suo fascino. Il paragone con quanto sta accadendo adesso nelle banlieu non sembri azzardato, anche se i casseurs bruciano e distruggono e le ragazze velate no. Al fondo, c'è il nodo di emarginazioni frustrate dalla mancata promessa di uguaglianza, e di diversità culturali rivendicate contro le pretese di assimilazione.

Parigi brucia e il modello integrazionista anche. La barriera ideologica che la commissione Stasi, motivando la legge contro il velo, aveva cercato di innalzare contro il rischio che il comunitarismo multiculturale angloamericano contaminasse lo spirito della Repubblique e ne minasse le fondamenta universalistiche non ha retto. Ma nemmeno il comunitarismo ha retto nel frattempo, franando prima in Olanda con gli omicidi di Fortuyn e Van Gogh, poi in Gran Bretagna con gli attentatori nati e cresciuti nei sobborghi di Londra. Non era vero quello che solo pochi anni fa l'ottimismo europeista sosteneva, che il vecchio continente fosse dotato di anticorpi sicuri per far fronte all'asprezza dei conflitti delle società globali. Il vecchio continente mostra oggi solo la vecchiezza esausta dei modelli della politica moderna. All'universalismo possiamo ottimisticamente pensare che serva solo una energica cura ricostituente. Quello che è certo è che intanto gli serve un bagno di umiltà, una immersione senza sconti nelle faglie che ha aperto, nelle barriere di incomprensione che ha prodotto, nelle discriminazioni che moltiplica. E' facile giudicare il rogo di una macchina una violenza distruttiva fine a se stessa. Più difficile è sapervi leggere il gesto estremo che prende il posto del linguaggio quando la grammatica e la sintassi universaliste non funzionano più.


IDA DOMINIJANNI
Il Manifesto, 8 novembre 2005

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