Ho poco da dire a chi ha acquisito una esperienza sul campo, tra gli ammalati ascoltando le loro storie, i loro bisogni, le loro lamentele, condividendo i loro disagi e le loro ansie per la paura della malattia. Una realtà osservata fatta da essere umano per altri esseri umani; parlare con il cuore di cose vere, che nascono dalla vita. In ogni cosa il fare dipende dal capire e il capire dipende dall’ascoltare, vedere, conoscere. Queste mie parole possano essere utili ai più giovani, perché anche loro andranno in pensione e il confrontarsi con i problemi della pensione e il conoscerli, quando sarà il loro turno, sarà sicuramente comodo.
Questo, infatti, non è un evento
facoltativo della nostra vita ma una sicura realtà anche se quando si domanda
ai più giovani che pensano di tale fase della vita rispondono: “Non ci
penso". E questo per non accettare un evento ritenuto scomodo, lo si
ignora. Il pensionamento produce un drastico cambiamento nello stile di vita.
La festa, il brindisi, il regalo sono momenti piacevoli. Ma “passata la festa”
fuori da quel mondo dove si è trascorsa una vita, cosa ti attende? Finito il
rito della timbratura del cartellino e svuotati i cassetti dell’armadietto ...
La vita è spesso perdita, abbandono di qualcosa, di persone, cose ... La nostra
vita è fatta di partenze: partire è un po’ morire. La perdita di una persona
amata toglie a chi resta la voglia di vivere. Restare soli mette l’individuo
nella necessità di riorganizzare le proprie risorse interne ed esterne per far
fronte alle difficoltà del cambiamento. Ma non è facile reagire, specie se si
deve consumare il dolore in solitudine. La stanchezza, fisica e psichica, i
dolori e le delusioni, lasciano segni e per cancellarli occorre molto tempo. E
certi dolori lasciano impronta per sempre, ben sapendo che qualsiasi proseguire
non è mai un dono, ma una conquista, quasi sempre anche scomoda.
Il pensionamento non deve essere vissuto
come un aborrito traguardo ma come un punto di partenza trasformandolo in
occasione di rinnovamento, di recupero di vecchi interessi e di aspirazioni.
Certo, tutti ci sentiamo ad una certa età abbandonati negli affetti e tutti
vorremmo sentirci amati semplicemente girando un interruttore sempre
disponibile. Ma questo non è possibile. Né si deve calare mai definitivamente
il sipario. Ognuno di noi ha un mandato d’amore e può viverlo anche al
meriggio. Forse il sole del tramonto è meno bello di quello dell’aurora? La
nostra tristezza dipende anche da noi, non è proficuo fare un pacco di tutte le
cose che ci sono andate storte e portarlo sempre con noi per aprirlo in ogni
occasione. Anche uno stato d’animo di piccole cose, un po’ di calore umano, un
sorriso, un raggio di sole fanno ritrovare la gioia di vivere. Ma nei nostri
rapporti interpersonali quotidiani poche volte ci è capitato di incontrare
individui che hanno costruito se stessi nei valori della humanitas e della pietas e
quindi sanno leggere la propria vita e quella degli altri per sintonizzarsi con
se stessi e con il prossimo. Che hanno acquisito umanità, che hanno imparato ad
accettare gli eventi, a metabolizzare il dolore. Con il proprio carattere, con
la propria storia, con i propri limiti, hanno cercato di andare avanti.
Tutta la vita è cammino e se si vuole
entrare nel mondo e negli altri bisogna lasciare la porta aperta a chi ha
bisogno di aiuto. Tutti possiamo essere portatori di speranza. Dedicarsi agli
altri non è sempre gratificante. A volte è faticoso, talora persino frustrante
quando si incontrano indifferenza e ingratitudine. Ma non c’è piacere più
grande che accendere un sorriso, togliere un po’ di dolore perché scaldando il
cuore degli altri si riscalderà anche il proprio.
31 luglio 2000
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