mercoledì, marzo 16, 2005

La verità della poesia

LA VERITÀ DELLA POESIA
RICORDANDO MARIO LUZI

di + Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita


In Mario Luzi - poeta fra i più grandi del Novecento italiano, morto a Firenze il 28 febbraio scorso - si incrociano due appartenenze, proprie dell'intera cultura dell'Occidente: il primo universo è quello greco della verità come svelamento o toglimento del nascosto, come visione della bellezza che - esibendosi - chiama al sereno possesso dello sguardo. La metafora che meglio esprime questa concezione è la luce: la verità illumina! Mario Luzi si colloca in questa tradizione. Egli è un cantore della luce e lo è sempre più nello scorrere dei giorni: «La luce - lui stesso confessa - è un mondo a sé, autonomo, che crea l'altro. C'è una specie di radiosità o fulgore avvertito come tale e avvertito come mistero» (M. Luzi, La porta del cielo. Conversazioni sul cristianesimo, a cura di S. Verdino, Piemme, Casale Monferrato 1997, 33). La chiusa infuocata del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) ne è eloquente conferma: Tutto senza ombra flagra. / È essenza, avvento, apparenza, / tutto trasparentissima sostanza. / È forse il paradiso / questo? oppure, luminosa insidia, / un nostro oscuro, / ab origine, mai vinto sorriso?
Il dubbio che si insidia nel cuore della metafora della luce è ben comprensibile in chi, come Luzi, ha assistito alle avventure disperate dell'ubriacatura di luce, propria dell'ideologia moderna. Egli ben sa che la conseguenza di una troppo forte equazione fra la verità e la luce raggiunta dallo sguardo della mente è la violenza: se la verità è idea, se è visione, allora la verità costringe, perché è inseparabile dalla necessità di abbracciare tutto col dominio dello sguardo. È “luminosa insidia”, quella che ha ispirato la storia moderna dell'Occidente, come molla della sua forza, segreto della sua violenza, espressione della sua anima assetata di dominio.
Anche per questo in Luzi la metafora della luce si coniuga a quella della donna e del viaggio, segnali dell'altra grande appartenenza della Sua più profonda identità. Questa concezione è quella della tradizione biblica, ebraico-cristiana. La verità non è qualcosa da possedere, quanto piuttosto Qualcuno, che appella alla sequela con radicalità assoluta: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Un altro rapporto si lascia qui cogliere fra la verità e l'io: di mezzo è subentrato l'Altro, lo Straniero che invita, rivelazione dell'abisso, presenza dell'amore che raggiunge e si offre e rapisce. Non più un rapporto di luminosa armonia si stabilisce fra la verità e l'intelletto, ma un singolare rapporto di interruzione, di scandalo. Questa concezione della verità trova la sua matrice profonda nella tradizione biblica, dove la verità è ‘emet, “fedeltà”: non sei tu che vedi e possiedi la verità, è la verità che come vivente soggetto ti raggiunge e ti comprende. Non allora la presunzione del possesso di chi vede, ma l'umile povertà di chi ascolta ed ascoltando corrisponde sarà l'esperienza della verità che salva: la verità non ti acquieta, ma ti fa pellegrino; non ti dà risposte, ma accende in te le domande vere.
Questa intuizione è presente in Luzi attraverso la ricorrente metafora del viaggio, che attraversa l'intera sua vicenda poetica: sono versi del 1935 questi, intitolati Alla vita: Amici ci aspetta una barca e dondola / nella luce ove il cielo si inarca / e tocca il mare, / volano creature pazze ed amare / il viso d'Iddio caldo di speranza / in alto in basso cercando / affetto in ogni occulta distanza / e piangono: noi siamo in terra / ma ci potremo un giorno librare / esilmente piegare sul seno divino / come rose dai muri nelle strade odorose / sul bimbo che le chiede senza voce. E il Viaggio di Simone è ancora tutto innervato dalla metafora del pellegrino, che sembra spingersi oltre ogni meta acquisita. È Luzi stesso che confessa: «Sì, certo: io ho sempre inteso il nostro destino di viventi sotto la specie del viaggio; di un viaggio che va fatto a partire dal nostro percorso vitale e terreno... e credo possa avere un fine e un senso».
Ma il viaggio, in quanto esodo verso la patria dell'identità, suppone una notte da cui uscire, una provenienza che nessuna luminosità pregiudiziale potrà riscattare e che - rivolto alla Donna - così Luzi descrive in questi versi del 1947, scritti dopo aver attraversato le desolazioni della guerra e aver sperimentato i naufragi dei facili ottimismi cari alle verità solari delle ideologie: Riconosco la nostra patria desolata / della nascita nostra senza origine / e della nostra morte senza fine. / È questa, l'avevo chiamata il caso, / l'avevo chiamata l'avventura / o la sorte o la notte o con quei nomi / inquieti che mi dettava l'angoscia, / non la pietà che penetra, che vede.
È qui, in questa mescolanza d'ombre che prende fino in fondo sul serio la complessità della storia contro ogni semplificante ricetta ideologica, è in questo originario andare verso l'altro nelle notti del tempo, che appare la donna come metafora di verità. Questa donna è Maria: in Annunciazione, una lirica del 1938, il Poeta la canta con singolare discrezione e modestia: La mano al suo tepore abbandonata, / nelle lacrime spenti i desideri, / forse è questo una donna: un tempo esangue, / nell'ombra la bontà opaca di ieri... / Poi di luna un inane fianco rosa / tese al vento gremito del tuo nome / la sua caducità bianca di chiome, / quella povera luce che ci opprime. Accanto alla donna Maria è possibile l’invocazione estrema del Poeta, dove il canto diventa preghiera, come nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini: Inchiodami alla croce / della mia identità / così come fu fatto / per te e per la tua / da cui prende dolore / e senso ogni crocifissione / ciascuno ai bracci della sua persona.
L'incontro che Luzi opera fra le due anime del suo mondo - e del nostro! - non è dunque compromesso, ma coappartenenza essenziale: Luzi ci insegna l'inseparabilità di questi momenti, il fecondo intrecciarsi di queste anime, greca e cristiana. E lo fa - in umiltà di discepolo - alla scuola del Verbo incarnato, il Signore Gesù, dove - una volta per sempre - il Tutto ha abitato il frammento, trapassandolo da parte a parte, verso l'abisso della divinità e verso le opere e i giorni degli uomini...

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