giovedì, giugno 02, 2005

A servizio della vita

Benché questa campagna referendaria stia procedendo più per slogans che per idee, più per “passione” politica che per vero confronto, tuttavia è un’occasione per pensare al valore della maternità, in una stagione culturale in cui essa sembra aver perso molto del suo intenso significato umano.
Il desiderio di un figlio è espressione alta dell’umanità di una donna e di una coppia; porta con sé quella fiducia nel futuro e quell’apertura più forte di ogni ripiegamento di cui la nostra società ha grande bisogno. Volere un figlio è espressione di una vita che, fattasi adulta, intende realizzarsi nel generare, cioè nel fare dono di sé a un altro e attraverso un altro. Sappiamo che, come ogni esperienza umana, anche la maternità ha bisogno sempre di essere purificata, viziata come può essere dal bisogno di affermare se stessi; o di vedersi specchiati nel figlio; o di vivere il proprio figlio come un possesso o come un prolungamento di sé. L’impossibilità di avere un figlio è motivo di profonda sofferenza, per molte donne e per molte coppie; una sofferenza di cui avere rispetto, di cui farsi solidali, senza mai dimenticare, tuttavia, che nemmeno in nome del dolore certi limiti possono essere forzati, se non a costo di mortificare il valore stesso della vita. Il dibattito di queste settimane ha messo in luce una mentalità per la quale il figlio sembra essere un diritto. Ma se un figlio è un diritto dei genitori, come potrà mai diventare se stesso? Come potrà crescere per quello che è, non un’appendice della donna o della coppia che l’hanno generato? Volere un figlio a tutti i costi, con qualsiasi mezzo, forza un limite che mi pare trasformi lo stesso modo di pensare la vita; introduca un criterio di onnipotenza incompatibile con la vita umana.
La donna, per la sua storia e anche per la consapevolezza maturata in questi anni di crescita della originale soggettività femminile (Giovanni Paolo II l’ha chiamato «genio femminile») conosce quell’esperienza del limite che è mistero; conosce il valore della relazione che nel suo essere reciprocità è ricchezza e limite; conosce la paziente ricerca di un punto di equilibrio sempre nuovo tra possibilità e limiti, senza rassegnazione e senza onnipotenza; tra realizzazione di sé e dono di sé; tra dimensione personale (che è molto più che individuale) e dimensione sociale.
Ogni donna sa che un figlio, generato fisicamente, non è che una delle espressioni della maternità, che è anche del cuore e dello spirito e di tutta la sua persona, nel suo globale modo di vivere, di entrare in rapporto con la realtà e in relazione con gli altri. La maternità del cuore e dello spirito si esprime in molteplici forme sociali, che – oggi come in passato – vedono donne impegnate a favore di persone che soffrono, che non riescono a vedere riconosciuti i loro diritti; che portano i segni delle ferite della vita.
La storia e la cronaca anche di questi giorni sono piene di storie belle di famiglie e di donne che hanno realizzato il sogno di un figlio attraverso l’adozione o l’affido; che hanno scoperto la ricchezza dell’ospitalità; della dedizione ai più poveri di casa nostra o di società lontane.

I referendum hanno evidenziato nuove solidarietà tra donne: perché non metterle a servizio della vita, in maniera piena, rispettosa di quel mistero che in essa anche i laici non possono non riconoscere, chiedendo e operando per quei cambiamenti sociali che rendano la donna più libera di compiere le sue scelte, perché non la costringono a rimandare per anni il matrimonio in attesa di una casa; perché non la costringono a vivere in conflitto maternità e lavoro; perché non le chiedono di rinviare la decisione di avere un figlio a un’età in cui è biologicamente più difficile la generazione? C’è una questione sociale che si riflette sulla condizione della donna: affrontare questa questione potrebbe sciogliere all’origine molti problemi, senza pensare di usare la vita di qualcuno (anche un embrione è qualcuno!) in funzione della vita di un altro.
Come donna, non posso aderire alla visione individualistica e privatistica delle scelte che riguardano la procreazione, quale emerge dai quesiti referendari.
L’Azione Cattolica ha già espresso la propria posizione sul voto referendario. Mi limito qui a ricordare solo ciò che l’Associazione ha detto nel corso della XII Assemblea, dopo una riflessione prolungata e approfondita: «Benché non sia nello stile della nostra Associazione dare indicazioni precise, in ordine al voto (…) l’oggetto di questi referendum, il loro mettere in campo, affidata a un sì o a un no, una questione di vita e di civiltà, ci induce a invitare a considerare il significato del non voto come scelta più logica ed efficace: (…) è un caso, questo, in cui ci sentiamo fieri di partecipare ad una campagna cruciale in cui sono in gioco valori di umanità molto gravi per il futuro».
Credo che qui vada solo ribadito che la scelta del non voto non è disimpegno, o segno di scarsa responsabilità civile. Molti autorevoli commentatori hanno parlato in queste settimane delle legittimità e del senso del non voto nel caso dei referendum abrogativi: esso significa no a questi quesiti referendari e al referendum come strumento per legiferare in una materia così delicata e complessa.
Si tratta ora, semplicemente, di essere coerenti, con la propria coscienza e con la propria visione della vita.

Paola Bignardi

(tratto da Segno nel mondo 8/2005, p. 3, 8)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il "diritto ad avere un figlio" non esiste. Ma il "diritto ad avere equo accesso alla possibilità di avere un figlio" è un'altra cosa, ed esiste.
TG

Angelo ha detto...

Hai ragione, TG.
Io direi che esiste il diritto e il dovere della coppia non di AVERE un figlio ma di ESSERE padri e madri. Nei confronti del figlio non c'è un possesso ma una relazione.
Non c'è diritto senza responsabilità, come non c'è maternità senza paternità, e viceversa.
Non è un diritto individuale ma di coppia, visto che si nasce sempre da una relazione tra maschio e femmina.

Questo diritto/dovere merita di essere affermato oggi, nel momento in cui viene negato in molti Paesi attraverso le campagne per il controllo forzato delle nascite, e penso in particolare alla Cina.

Anonimo ha detto...
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