lunedì, giugno 20, 2005

Nei Ds, ma distinti. Non marcano autonomia

A urne referendarie chiuse e svuotate, e a sonoro risultato pro-legge 40 archiviato, ci pare opportuno mettere nero su bianco un paio di libere e amare riflessioni sulla linea scelta e seguita dai "Cristiano sociali", un movimento politico di cattolici confluito, da anni, nei Ds sulla base di un'ispirazione dichiarata in modo tanto esplicito quanto impegnativo. Una linea referendaria, ricordiamo, all'insegna dell'«al voto, al voto!». E per dire tanti "sì" abrogazionisti modicamente conditi da qualche "no" al quesito sull'eterologa, meglio noto come quello sul "padre sconosciuto". Negli intensi mesi in cui si è sviluppato il grande dibattito culturale e politico intorno al valore della vita umana e sulle norme poste una buona volta a tutela di tutti i soggetti coinvolti in un processo di fecondazione artificiale extracorporea, avevamo infatti concluso che sarebbe stato più opportuno praticare anche in questo caso la virtù dell'astensione e riflettere in silenzio. Non perché riflessioni ad alta voce sul disciplinato allineamento al pensiero unico referendario dei "Cristiano sociali" non fossero già allora pertinenti e il desiderio di condividerle pressante, ma - vista l'aria che tirava, soprattutto nel circo dei mass media - per uno scrupolo che è parente stretto di quel «principio di precauzione» che dovrebbe indurre a evitare qualsiasi rischio di spericolata manipolazione. Ovvero per non offrire ai soliti indignati speciali e ai professionisti del travisamento il destro di trasformare le altrui riflessioni in «anatema» o, magari, in «scomunica» o, nella migliore delle ipotesi, in un «richiamo all'ordine» lanciato contro un gruppo di cattolici "dissidenti" dalle colonne di Avvenire (anzi, del «giornale dei vescovi»). Per non fornire, insomma, materiale agli alacri produttori di "ogm" - opinioni giornalisticamente modificate - sempre pronti a decidere non solo quel che scrivono loro, ma anche quel che gli altri hanno detto o scritto. Ora forse si può. E ci interessa più che mai ragionare sul punto. In particolare, su un paio di questioni che stanno a cuore a chi - come noi - è convinto che la fede cristiana non necessariamente coincida con una precisa tessera di partito e concepisce la libertà dei figli di Dio come una solare palestra di responsabilità. Il primo pensiero è sulla coerenza. Alzare orgogliosamente e programmaticamente, sin nel simbolo del proprio movimento, la bandiera dell'umanesimo e della solidarietà e proclamare la propria appartenenza - da impegnati in politica - alla famiglia dei credenti imporrebbe in effetti a coloro che lo fanno di compiere uno sforzo di comprensione e di rappresentanza dei valori e delle ragioni che il restante popolo cristiano testimonia su frontiere cruciali del futuro comune, spesso - come si è ben visto in occasione dei referendum sulla legge 40 - assieme a molte altre persone e personalità di diversa storia culturale e d'identico impegno civile. E questo proprio alla luce di quell'insegnamento conciliare invocato invece a più riprese - fino al documento divulgato alla vigilia dell'apertura delle urne - per tentare di acrobaticamente giustificare in termini "profetici" la propria scelta - come direbbero altri e con altri vocabolari - da «minoranza rivoluzionaria». I Cs hanno così dimostrato di credere - e in pratica sostenuto con qualche sussiego - di poter prescindere da ogni serio dovere di «comprensione» in quanto detentori di un luminoso e illuminante diritto (ovviamente laico) di «rappresentanza». Con quali risultati è sotto gli occhi di tutti e, speriamo, anche nel rimuginìo - nelle coscienze non ci azzardiamo a sbirciare - di chi di dovere. Il secondo pensiero è sull'utilità. E discende dal primo. Se chi si propone come rappresentante non comprende il mondo che aspira a rappresentare e rispetto a esso, anzi, si pone con polemica distanza e ostentata autoreferenzialità a che cosa serve da un punto di vista politico? A esibire una mera etichetta? A far risuonare un richiamo senza eco? Un'«enclave» riconoscibile e riconosciuta in un più grande partito non ha forse senso se è anche e soprattutto uno spazio autonomo di elaborazione e di proposta? Domande, come dimostra l'esito del referendum, che non sono affatto retoriche. E che dovrebbero inquietare i Cs. Ma forse non solo loro.

Marco Tarquinio

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