... EBay è come il gioco, il gioco d'azzardo voglio dire. Quando ci sei dentro, quando capisci che il bello è la resa dei conti agli ultimi secondi per aggiudicarti un acquisto, scopri che molti altri come te hanno gli stessi sintomi, non sanno come parlarne, e usano disinvoltamente il termine “dipendenza”. ...
Sto per fondare il club degli Ebayisti Anonimi e sono sicuro che anche Luca Sofri è ormai dei nostri.
Con tutti i pacchi che mi arrivano, ormai alla reception pensano a qualche traffico illecito.
Questi i miei ultimi acquisti.
giovedì, marzo 31, 2005
Mala tempora
Mala tempora, laboriosa tempora, hoc dicunt homines. Bene vivamus, et bona sunt tempora. Nos sumus tempora: quales sumus, talia sunt tempora.
Sono tempi cattivi, tempi travagliati: così si dice. Cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi: come noi siamo, così sono i tempi.
Sant'Agostino, Sermone 80, 8.
Sono tempi cattivi, tempi travagliati: così si dice. Cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi: come noi siamo, così sono i tempi.
Sant'Agostino, Sermone 80, 8.
domenica, marzo 27, 2005
Cristo,
immagine radiosa del Padre,
principe della pace,
che riconcili Dio con l'uomo
e l'uomo con Dio
Parola eterna divenuta carne,
e carne divinizzata nell'incontro sponsale,
in Te soltanto
abbracceremo Dio.
Tu che Ti sei fatto piccolo
per lasciarTi afferrare dalla sete
della nostra conoscenza e del nostro amore,
donaci di cercarTi con desiderio,
di credere in Te nell'oscurità della fede,
di aspettarTi ancora nell'ardente speranza,
di amarTi nella libertà
e nella gioia del cuore.
Fa' che non ci lasciamo vincere
dalla potenza delle tenebre,
sedurre dallo scintillio
di ciò che passa.
Donaci perciò il Tuo Spirito,
che diventi Egli stesso in noi
desiderio e fede,
speranza e umile amore.
Allora Ti cercheremo, Signore della notte,
vigileremo per Te in ogni tempo,
e i giorni della nostra vita mortale
diventeranno come splendida aurora,
in cui Tu verrai,
stella chiara del mattino
per essere finalmente per noi
il Sole, che non conosce tramonto.
Amen. Alleluia!
Bruno Forte
immagine radiosa del Padre,
principe della pace,
che riconcili Dio con l'uomo
e l'uomo con Dio
Parola eterna divenuta carne,
e carne divinizzata nell'incontro sponsale,
in Te soltanto
abbracceremo Dio.
Tu che Ti sei fatto piccolo
per lasciarTi afferrare dalla sete
della nostra conoscenza e del nostro amore,
donaci di cercarTi con desiderio,
di credere in Te nell'oscurità della fede,
di aspettarTi ancora nell'ardente speranza,
di amarTi nella libertà
e nella gioia del cuore.
Fa' che non ci lasciamo vincere
dalla potenza delle tenebre,
sedurre dallo scintillio
di ciò che passa.
Donaci perciò il Tuo Spirito,
che diventi Egli stesso in noi
desiderio e fede,
speranza e umile amore.
Allora Ti cercheremo, Signore della notte,
vigileremo per Te in ogni tempo,
e i giorni della nostra vita mortale
diventeranno come splendida aurora,
in cui Tu verrai,
stella chiara del mattino
per essere finalmente per noi
il Sole, che non conosce tramonto.
Amen. Alleluia!
Bruno Forte
venerdì, marzo 25, 2005
Padre che consegni
il Tuo unico Figlio per noi,
Figlio che vivi
il supremo abbandono della Croce
e lo offri a Colui che Ti abbandona,
Paraclito della sofferenza,
che unisci il Padre donante e accogliente
al Figlio morente
e in Lui alla passione del mondo,
Trinità del dolore,
Dio nascosto nele tenebre
del Venerdì Santo,
donaci, Ti preghiamo,
di prendere ogni giorno la croce dell'abbandono,
e di offrirla con Te
in una comunione più grande:
quella in cui Tu Ti riveli
Trinità dell'amore,
Dio della solidarietà
e della vicinanza
alla debolezza della Tua creatura.
Amen.
Bruno Forte
Quattro quesiti per una domanda
Quattro quesiti per una domanda
Luigi Bobba, predisidente delle ACLI
Né la scienza, né il referendum ci possono dire qualcosa di essenziale sulla vita». La paradossale affermazione del noto comico genovese Beppe Grillo coglie nel segno. È una semplificazione che certo non rende giustizia alla complessità dei problemi in gioco nell’ormai prossimo appuntamento referendario, ma ci aiuta a trovare un orientamento, una stella polare. Ci obbliga a pensare, a porci problemi nuovi che l’etica, il costume e le leggi non avevano ancora affrontato perché non esistevano. Da quando la scienza è uscita dai laboratori, da quando la tecnologia si è introdotta nei meccanismi di generazione della vita fino a intervenire sul patrimonio genetico dell’uomo, a creare in laboratorio organismi viventi, clonare animali, produrre sinteticamente organi e modificare geneticamente sementi, un’intera famiglia di nuovi problemi etici si è affacciata sulla scena pubblica. Ha fatto irruzione nella vita delle persone come nelle aule dei Parlamenti.
I quattro referendum che la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili, bocciando invece quello di abrogazione totale della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita proposto dai radicali, hanno proprio a che fare con questa nuova famiglia di problemi etici. Non ci confonda l’astrusità dei quesiti: quella che abbiamo davanti è una sola domanda. Se, di fronte a questo meraviglioso e straordinario potere che la scienza mette nelle nostre mani, vogliamo assecondare la legge del "lasciar fare agli scienziati" o se crediamo necessario che cittadini e Parlamenti abbiano qualche parola da dire sui limiti da imporre alla scienza quando vuole modificare o comunque intervenire sulla vita umana.
Se la questione ha questa portata e rilevanza, è chiaro che lo strumento referendario è inadatto: come voler usare un’accetta per fare la punta ad una matita. Si finisce per spaccare tutto o, peggio, si finisce per votare contro qualcuno, più che rispondere a quella domanda. I radicali quasi ogni anno ci servono la stessa minestra: obbligare i cittadini a sostituirsi al Parlamento, diventando legislatori. Perché qualora prevalessero i sì l’intera legge verrebbe praticamente scardinata. Rimarrebbe solo un simulacro di legge. E l’esperienza insegna che difficilmente una legge viene modificata dopo che il corpo elettorale si è espresso.
Non ci rassegniamo a questa continua chiamata "radicale" alle urne: c’è il Parlamento per fare le leggi e poi per emendarle.
Non di meno siamo posti di fronte ad una battaglia culturale. Come cattolici, promuoviamo e difendiamo la vita per le stesse ragioni per cui promuoviamo e difendiamo la pace. Ci sta a cuore l’embrione, la vita nascente, come i milioni di bambini che muoiono di fame. Siamo per tutelare la libertà, i diritti, la salute delle donne così come quelli del concepito. Non ci rassegniamo alla vulgata che questi valori siano medievali, oscurantisti, di destra. È una menzogna. La nota rivista scientifica <+Ev_cors>Nature<+Ev_testoband> nel 2002 titolava un articolo sugli studi e le scoperte sulle informazioni genetiche contenute fin dalla fecondazione dei due gameti «Il tuo destino dal giorno uno». Come a dire: lì c’è già una vita con tutte le sue potenzialità. Per questo, già nel 1996, il Comitato di bioetica, presieduto dal professor Adriano Ossicini raccomandava di «trattare l’embrione umano fin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si debbono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persona».
La battaglia insomma non sarà tra laici e cattolici, tra destra e sinistra, tra chi è per le donne e chi è contro le donne, tra chi vuole la libertà di ricerca e chi la vuole impedire. Queste non sono che un cumulo di bugie; sono i detriti della cultura radicale che ci vengono rovesciati addosso. Il confronto resta invece su un punto focale: sostenere o abrogare una legge che impedisca il far west in cui è lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile; una legge che non accolga il diritto a procreare come un diritto individuale di tipo proprietario; una legge che orienti la ricerca verso l’uso delle cellule staminali adulte che forse possono dare migliori risultati del trattamento indiscriminato degli embrioni; una legge che consenta a ciascuno di avere diritto ad una propria identità, a conoscere chi è il proprio padre.
Il referendum non è una conta per i cattolici o per la Chiesa stessa: è piuttosto un’occasione per sapere se siamo ancora capaci di convincere noi stessi e gli altri che della vita non siamo padroni assoluti e che della vita non si può fare mercato.
Luigi Bobba, predisidente delle ACLI
Né la scienza, né il referendum ci possono dire qualcosa di essenziale sulla vita». La paradossale affermazione del noto comico genovese Beppe Grillo coglie nel segno. È una semplificazione che certo non rende giustizia alla complessità dei problemi in gioco nell’ormai prossimo appuntamento referendario, ma ci aiuta a trovare un orientamento, una stella polare. Ci obbliga a pensare, a porci problemi nuovi che l’etica, il costume e le leggi non avevano ancora affrontato perché non esistevano. Da quando la scienza è uscita dai laboratori, da quando la tecnologia si è introdotta nei meccanismi di generazione della vita fino a intervenire sul patrimonio genetico dell’uomo, a creare in laboratorio organismi viventi, clonare animali, produrre sinteticamente organi e modificare geneticamente sementi, un’intera famiglia di nuovi problemi etici si è affacciata sulla scena pubblica. Ha fatto irruzione nella vita delle persone come nelle aule dei Parlamenti.
I quattro referendum che la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili, bocciando invece quello di abrogazione totale della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita proposto dai radicali, hanno proprio a che fare con questa nuova famiglia di problemi etici. Non ci confonda l’astrusità dei quesiti: quella che abbiamo davanti è una sola domanda. Se, di fronte a questo meraviglioso e straordinario potere che la scienza mette nelle nostre mani, vogliamo assecondare la legge del "lasciar fare agli scienziati" o se crediamo necessario che cittadini e Parlamenti abbiano qualche parola da dire sui limiti da imporre alla scienza quando vuole modificare o comunque intervenire sulla vita umana.
Se la questione ha questa portata e rilevanza, è chiaro che lo strumento referendario è inadatto: come voler usare un’accetta per fare la punta ad una matita. Si finisce per spaccare tutto o, peggio, si finisce per votare contro qualcuno, più che rispondere a quella domanda. I radicali quasi ogni anno ci servono la stessa minestra: obbligare i cittadini a sostituirsi al Parlamento, diventando legislatori. Perché qualora prevalessero i sì l’intera legge verrebbe praticamente scardinata. Rimarrebbe solo un simulacro di legge. E l’esperienza insegna che difficilmente una legge viene modificata dopo che il corpo elettorale si è espresso.
Non ci rassegniamo a questa continua chiamata "radicale" alle urne: c’è il Parlamento per fare le leggi e poi per emendarle.
Non di meno siamo posti di fronte ad una battaglia culturale. Come cattolici, promuoviamo e difendiamo la vita per le stesse ragioni per cui promuoviamo e difendiamo la pace. Ci sta a cuore l’embrione, la vita nascente, come i milioni di bambini che muoiono di fame. Siamo per tutelare la libertà, i diritti, la salute delle donne così come quelli del concepito. Non ci rassegniamo alla vulgata che questi valori siano medievali, oscurantisti, di destra. È una menzogna. La nota rivista scientifica <+Ev_cors>Nature<+Ev_testoband> nel 2002 titolava un articolo sugli studi e le scoperte sulle informazioni genetiche contenute fin dalla fecondazione dei due gameti «Il tuo destino dal giorno uno». Come a dire: lì c’è già una vita con tutte le sue potenzialità. Per questo, già nel 1996, il Comitato di bioetica, presieduto dal professor Adriano Ossicini raccomandava di «trattare l’embrione umano fin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si debbono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persona».
La battaglia insomma non sarà tra laici e cattolici, tra destra e sinistra, tra chi è per le donne e chi è contro le donne, tra chi vuole la libertà di ricerca e chi la vuole impedire. Queste non sono che un cumulo di bugie; sono i detriti della cultura radicale che ci vengono rovesciati addosso. Il confronto resta invece su un punto focale: sostenere o abrogare una legge che impedisca il far west in cui è lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile; una legge che non accolga il diritto a procreare come un diritto individuale di tipo proprietario; una legge che orienti la ricerca verso l’uso delle cellule staminali adulte che forse possono dare migliori risultati del trattamento indiscriminato degli embrioni; una legge che consenta a ciascuno di avere diritto ad una propria identità, a conoscere chi è il proprio padre.
Il referendum non è una conta per i cattolici o per la Chiesa stessa: è piuttosto un’occasione per sapere se siamo ancora capaci di convincere noi stessi e gli altri che della vita non siamo padroni assoluti e che della vita non si può fare mercato.
mercoledì, marzo 23, 2005
Novità
Qualche giorno fa promettevo novità su questo blog.
La prima novità è che ho iniziato ad usare Hello e quindi ora spedirò molte più immagini.
La seconda è che scriverò un po' di più riguardo la traduzione, che è poi uno dei miei ambiti di ricerca.
Inizio segnalando il nuovo numero della rivista Studium (1/2005) che contiene il dossier LA TRADUZIONE: INCONTRO FRA CULTURE.
Questi i contenuti:
Domenico Jervolino La traduzione come problema filosofico
Jean-René Ladmiral Per una filosofia della traduzione
Francois Marty La traduzione: la prova dell'alterità
Angelo Bottone Newman e il tradurre
André Tosel W. Benjamin e A. Gramsci sulla traducibilità delle lingue.
Valentina Sommella Antoine Berman, pensatore della traduzione
(Sul sito web della Studium non c'è ancora il nuovo numero.)
Il 1 e 2 aprile parlerò alla Second Dublin City University International Postgraduate Translation Studies Conference.
Si tratta di una conferenza per studenti postlaurea che si occupano di traduttologia, con partecipanti non solo europei ma da Nord America, Brasile, Iran, Australia.
Il più atteso tra i relatori è Jin Di, traduttore dell'Ulysses di James Joyce in cinese.
Cosiglio di dare un'occhiata al ricco programma per avere un'idea delle ricerche in corso in questo ambito di studi.
Il mio intervento sarà grossomodo una versione inglese dell'articolo pubblicato su Studium, se qualcuno vuol leggerlo può richiedermelo.
Gli altri due interventi della sezione Translation and Philosophy sono:
Claudia Böttger, University of Hamburg, Germany. Translating Philosophical Thought: A Register-based Analysis of Cassirer’s The Philosophy of Symbolic Forms
Alexei Medvedev, University of South Australia, Adelaide. Critical Discourse Analysis (CDA) Of Translation:Interpreting The Essence Of Marxism
La prima novità è che ho iniziato ad usare Hello e quindi ora spedirò molte più immagini.
La seconda è che scriverò un po' di più riguardo la traduzione, che è poi uno dei miei ambiti di ricerca.
Inizio segnalando il nuovo numero della rivista Studium (1/2005) che contiene il dossier LA TRADUZIONE: INCONTRO FRA CULTURE.
Questi i contenuti:
Domenico Jervolino La traduzione come problema filosofico
Jean-René Ladmiral Per una filosofia della traduzione
Francois Marty La traduzione: la prova dell'alterità
Angelo Bottone Newman e il tradurre
André Tosel W. Benjamin e A. Gramsci sulla traducibilità delle lingue.
Valentina Sommella Antoine Berman, pensatore della traduzione
(Sul sito web della Studium non c'è ancora il nuovo numero.)
Il 1 e 2 aprile parlerò alla Second Dublin City University International Postgraduate Translation Studies Conference.
Si tratta di una conferenza per studenti postlaurea che si occupano di traduttologia, con partecipanti non solo europei ma da Nord America, Brasile, Iran, Australia.
Il più atteso tra i relatori è Jin Di, traduttore dell'Ulysses di James Joyce in cinese.
Cosiglio di dare un'occhiata al ricco programma per avere un'idea delle ricerche in corso in questo ambito di studi.
Il mio intervento sarà grossomodo una versione inglese dell'articolo pubblicato su Studium, se qualcuno vuol leggerlo può richiedermelo.
Gli altri due interventi della sezione Translation and Philosophy sono:
Claudia Böttger, University of Hamburg, Germany. Translating Philosophical Thought: A Register-based Analysis of Cassirer’s The Philosophy of Symbolic Forms
Alexei Medvedev, University of South Australia, Adelaide. Critical Discourse Analysis (CDA) Of Translation:Interpreting The Essence Of Marxism
lunedì, marzo 21, 2005
La battaglia per la vita di Terri Schiavo.
La vicenda di Terri Schiavo è finalmente arrivata anche in Italia. Su questo blog ne parlavamo già nel 2003.
Gli aggiornamenti si accavallano di ora in ora e sembra che un intervento del Presidente abbia risolto la questione. Speriamo.
Questo è il migliore articolo scritto in italiano per capire bene cosa è successo e le implicazioni del caso.
E' di Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Lo si può leggere completamente su Zenit.
Se non si interverrà rapidamente, Terri Schiavo morirà in modo atroce, per disidratazione, fra i morsi della fame e della sete. E non in un deserto, o in uno dei più poveri paesi in via di sviluppo, ma in un ospedale della Florida. Da venerdì 18 marzo sono state sospese per lei, completamente disabile, l’alimentazione e l’idratazione artificiali (A/I), in seguito all’ennesima sentenza giudiziaria pronunciata sul caso.
Terri non è sottoposta ad alcuna terapia, è autonoma nelle sue fondamentali funzioni biologiche e, contrariamente a quanto ripetuto con martellante insistenza dai media, non c’è alcuna “spina” da staccare. Tuttavia, non è in grado di nutrirsi e dissetarsi da sola, e deve essere perciò aiutata.
Se morirà, verrà forse sedata per non soffrire, e per questo si dirà magari che la sua è stata un morte “dolce”. Ma la necessità di un’eventuale sedazione terminale non sarà causata dalla malattia, ma dalla deliberata decisione di uccidere la paziente in maniera tanto crudele da richiedere poi la sedazione (cfr. R. Johansen, Terri's Starvation Commences: Terri's "Exit Protocol" Begins, in Thrown away , 18 marzo 2005, ).
La vicenda di Terri, fino a poco tempo fa scarsamente conosciuta dall’opinione pubblica fuori degli Stati Uniti, ha ora fatto il giro del mondo. Eppure, la sofferta storia di Theresa Marie Schindler Schiavo inizia ben quindici anni fa, nel 1990, quando la donna, allora ventiseienne, è stata colpita da ictus. Sull’episodio e sulle sue cause i particolari scarseggiano. Si sa tuttavia per certo che la mancanza di flusso sanguigno al cervello è stata tale da compromettere in modo netto, probabilmente irreparabile, le sue funzioni neurologiche.
Da allora, vive in una condizione critica, di cui sono state date varie definizioni e valutazioni. A livello clinico, inizialmente si parlò di sindrome locked-in, cioè di quella condizione per cui il paziente è consapevole ma incapace di comunicare con gli altri, chiuso in un mondo interiore che non dà segno di sé, al punto da apparire all’esterno come un coma. Si parlò successivamente di coma vero proprio, mentre più di recente si è imposta l’idea che Terri sia in “stato vegetativo”.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica non terminale, distinta sia dal coma che dalla morte cerebrale (o dallo stato locked-in), che può durare anche molti anni, ed è caratterizzata da vari sintomi: nessuna evidenza di autocoscienza o consapevolezza; nessuna evidenza di comportamenti volontari o finalizzati; nessuna evidenza di linguaggio; presenza di cicli sonno-veglia; presenza di sufficienti funzioni troncoencefaliche e ipotalamiche; incontinenza; presenza di riflessi dei nervi cranici e spinali; funzioni cardiocircolatorie autonome; termoregolazione normale; stato di incoscienza anche ad occhi aperti (G.L. Gigli, Lo stato vegetativo “permanente”: oggettività clinica, problemi etici e risposte di cura, “Medicina e Morale”, 2002/2, pp. 207-228).
Già dalle poche immagini mostrate in questi giorni da tutti i canali televisivi sembrerebbe chiaro che lo stato vegetativo non corrisponde alla situazione di Terri: abbiamo visto infatti una donna che segue con lo sguardo le persone attorno a lei, che sorride, che risponde agli stimoli, che mostra di riconoscere i suoi familiari, che emette suoni. Pare quindi più corretto definirla semplicemente una grave disabile fisica e psichica.
Le sue reali condizioni inducono a chiedersi se non possa recuperare parte delle sue funzioni psicomotorie con un’adeguata terapia riabilitativa, che finora le è stata negata. È di questo parere, ad esempio, uno dei medici che ha studiato il caso, William Hammesfahr, candidato nel 1999 al premio Nobel in Medicina e Fisiologia, che ha formulato per Terri una diagnosi precisa: hypoxic encephalopathy, encefalopatia ipossica (cfr. S. Ertelt, Terri Schiavo Can Still be Rehabilitated, Nobel Prize-Nominated Doctor Says, in Lifenews.com, 7 marzo 2005, http://www.lifenews.com/bio748.html).
Le difficoltà vengono dal suo tutore legale, il marito Michael Schiavo, che da anni insiste perché la donna venga lasciata (o fatta?) morire attraverso la sospensione dell’A/I, sostenendo che questa sarebbe stata la volontà espressa verbalmente dalla moglie quando ancora capace di intendere e di volere. Di parere diametralmente opposto sono i genitori di Terri, che affermano con fermezza il valore incommensurabile della vita anche nell’handicap, che ribadiscono di avere sempre condiviso tali convinzioni con la figlia, anche a motivo della loro fede cattolica, e che hanno continuato per tutto il tempo a mantenere con Terri un’intensa relazione affettiva. Hanno pertanto intentato cause su cause al marito per impedirgli di prendere la decisione eutanasica.
Molte sentenze si sono succedute in quindici anni, per lo più a favore del mantenimento in vita della donna. Nel 1997, nel 2001 e nel 2003, a fronte di sentenze giudiziarie pro-eutanasia, il verdetto era stato rovesciato prima che la “condanna” di Terri giungesse a pieno compimento. In particolare il 24 aprile 2001, l’A/I erano state sospese per due giorni, quindi reintegrate per subentrate nuove evidenze, mentre il 15 ottobre 2003 Terri era rimasta senza sostegno vitale addirittura per sei giorni, finché il 21 ottobre un intervento d’urgenza del governatore della Florida Jeb Bush, aveva emanato la Terry’s Law, con cui l’A/I venivano ripristinate (cfr. A comprehensive Timeline and Archive of the Terri Schindler-Schiavo case, in www.terrisfight.com).
Non è bastato. Dietro Michael Schiavo si muove chi ha perfettamente chiaro cosa sia in gioco, oltre e “più” della vita di Terri: un enorme cambiamento etico e culturale. Non a caso, il legale del marito di Terri Schiavo è George Felos, avvocato e guru new age attivissimo sul fronte del “diritto a morire”. Questo caso, in effetti, potrebbe avere per gli Stati Uniti lo stesso valore della famosa sentenza Roe vs. Wade, che nel 1973 introdusse l’aborto volontario negli USA. Per il sistema giuridico americano, infatti, le sentenze hanno una valenza esemplare, costituiscono cioè un precedente autorevole che sostanzialmente autorizza un analogo giudizio in ogni parte dell’Unione, e dunque equivale praticamente ad una legge, anche in assenza di un pronunciamento federale.
Di più: l’eventuale legalizzazione dell’eutanasia negli Stati Uniti avrebbe una formidabile ricaduta a livello mondiale, soprattutto in un momento storico in cui l’amministrazione di questo Paese ha assunto - sia in politica interna che nelle sedi internazionali - posizioni coraggiose, in controtendenza rispetto alla dominante cultura utilitaristica e materialista: sull’aborto, sull’educazione alla castità, le cellule staminali, la clonazione umana.
Per la vita di Terri si sono espressi e hanno agito in vari modi il Presidente e il Congresso degli Stati Uniti, nella speranza che le pressioni esercitate convincessero il giudice a tornare sui suoi passi.
Ora – salvo nuovi capovolgimenti della situazione grazie all’encomiabile tenacia del Congresso e del presidente Bush – il “tubo” dell’A/I è stato tolto, e per Terri sono iniziate nuove sofferenze, quelle causate dalla sete e dalla fame.
Su questo punto i fautori dell’eutanasia obiettano: in determinate condizioni terminali non ci sarebbero più gli stimoli di fame e sete, né la capacità di provare dolore; dunque, la sospensione dell’alimentazione e idratazione sarebbe una “morte indolore”, rientrerebbe nella “buona morte” che si dovrebbe chiedere anticipatamente per sé con i testamenti di vita o “pietosamente” per i propri cari in caso di incapacità e in mancanza di volontà scritte.
Tali affermazioni non hanno però una conferma nella letteratura scientifica. Anzi, studi recenti affermano che anche nel caso di stato cosiddetto “vegetativo” – che non è stato diagnosticato per Terri Schiavo – permane la capacità di provare dolore (cfr. ad esempio S. Rifkinson Mann, Legal consequences and ethical dilemmas of pain perception in persistent vegetative states, in J. Health Law. 2003/36(4), pp. 523-548). Il malessere causato dalla mancanza di liquidi può dunque essere patito perfino dai soggetti in stato vegetativo, e a maggior ragione dai malati che hanno un maggiore livello di reazioni vitali. Tale forma, purtroppo sempre più praticata, di sospensione delle cure non è affatto una “risposta” alle sofferenze dei malati e dei disabili, ma la volontaria induzione di una morte crudele.
Inoltre, alimentazione e idratazione non rappresentano in alcun modo terapie gravose che “prolungano” inutilmente le sofferenze dei morenti, ma cure normali che mantengono la vita contribuendo piuttosto a sollevarne la sintomatologia dolorosa, senza prolungare il processo naturale del morire e senza costituire perciò forme possibili di accanimento terapeutico.
Continua su Zenit
Gli aggiornamenti si accavallano di ora in ora e sembra che un intervento del Presidente abbia risolto la questione. Speriamo.
Questo è il migliore articolo scritto in italiano per capire bene cosa è successo e le implicazioni del caso.
E' di Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Lo si può leggere completamente su Zenit.
Se non si interverrà rapidamente, Terri Schiavo morirà in modo atroce, per disidratazione, fra i morsi della fame e della sete. E non in un deserto, o in uno dei più poveri paesi in via di sviluppo, ma in un ospedale della Florida. Da venerdì 18 marzo sono state sospese per lei, completamente disabile, l’alimentazione e l’idratazione artificiali (A/I), in seguito all’ennesima sentenza giudiziaria pronunciata sul caso.
Terri non è sottoposta ad alcuna terapia, è autonoma nelle sue fondamentali funzioni biologiche e, contrariamente a quanto ripetuto con martellante insistenza dai media, non c’è alcuna “spina” da staccare. Tuttavia, non è in grado di nutrirsi e dissetarsi da sola, e deve essere perciò aiutata.
Se morirà, verrà forse sedata per non soffrire, e per questo si dirà magari che la sua è stata un morte “dolce”. Ma la necessità di un’eventuale sedazione terminale non sarà causata dalla malattia, ma dalla deliberata decisione di uccidere la paziente in maniera tanto crudele da richiedere poi la sedazione (cfr. R. Johansen, Terri's Starvation Commences: Terri's "Exit Protocol" Begins, in Thrown away , 18 marzo 2005, ).
La vicenda di Terri, fino a poco tempo fa scarsamente conosciuta dall’opinione pubblica fuori degli Stati Uniti, ha ora fatto il giro del mondo. Eppure, la sofferta storia di Theresa Marie Schindler Schiavo inizia ben quindici anni fa, nel 1990, quando la donna, allora ventiseienne, è stata colpita da ictus. Sull’episodio e sulle sue cause i particolari scarseggiano. Si sa tuttavia per certo che la mancanza di flusso sanguigno al cervello è stata tale da compromettere in modo netto, probabilmente irreparabile, le sue funzioni neurologiche.
Da allora, vive in una condizione critica, di cui sono state date varie definizioni e valutazioni. A livello clinico, inizialmente si parlò di sindrome locked-in, cioè di quella condizione per cui il paziente è consapevole ma incapace di comunicare con gli altri, chiuso in un mondo interiore che non dà segno di sé, al punto da apparire all’esterno come un coma. Si parlò successivamente di coma vero proprio, mentre più di recente si è imposta l’idea che Terri sia in “stato vegetativo”.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica non terminale, distinta sia dal coma che dalla morte cerebrale (o dallo stato locked-in), che può durare anche molti anni, ed è caratterizzata da vari sintomi: nessuna evidenza di autocoscienza o consapevolezza; nessuna evidenza di comportamenti volontari o finalizzati; nessuna evidenza di linguaggio; presenza di cicli sonno-veglia; presenza di sufficienti funzioni troncoencefaliche e ipotalamiche; incontinenza; presenza di riflessi dei nervi cranici e spinali; funzioni cardiocircolatorie autonome; termoregolazione normale; stato di incoscienza anche ad occhi aperti (G.L. Gigli, Lo stato vegetativo “permanente”: oggettività clinica, problemi etici e risposte di cura, “Medicina e Morale”, 2002/2, pp. 207-228).
Già dalle poche immagini mostrate in questi giorni da tutti i canali televisivi sembrerebbe chiaro che lo stato vegetativo non corrisponde alla situazione di Terri: abbiamo visto infatti una donna che segue con lo sguardo le persone attorno a lei, che sorride, che risponde agli stimoli, che mostra di riconoscere i suoi familiari, che emette suoni. Pare quindi più corretto definirla semplicemente una grave disabile fisica e psichica.
Le sue reali condizioni inducono a chiedersi se non possa recuperare parte delle sue funzioni psicomotorie con un’adeguata terapia riabilitativa, che finora le è stata negata. È di questo parere, ad esempio, uno dei medici che ha studiato il caso, William Hammesfahr, candidato nel 1999 al premio Nobel in Medicina e Fisiologia, che ha formulato per Terri una diagnosi precisa: hypoxic encephalopathy, encefalopatia ipossica (cfr. S. Ertelt, Terri Schiavo Can Still be Rehabilitated, Nobel Prize-Nominated Doctor Says, in Lifenews.com, 7 marzo 2005, http://www.lifenews.com/bio748.html).
Le difficoltà vengono dal suo tutore legale, il marito Michael Schiavo, che da anni insiste perché la donna venga lasciata (o fatta?) morire attraverso la sospensione dell’A/I, sostenendo che questa sarebbe stata la volontà espressa verbalmente dalla moglie quando ancora capace di intendere e di volere. Di parere diametralmente opposto sono i genitori di Terri, che affermano con fermezza il valore incommensurabile della vita anche nell’handicap, che ribadiscono di avere sempre condiviso tali convinzioni con la figlia, anche a motivo della loro fede cattolica, e che hanno continuato per tutto il tempo a mantenere con Terri un’intensa relazione affettiva. Hanno pertanto intentato cause su cause al marito per impedirgli di prendere la decisione eutanasica.
Molte sentenze si sono succedute in quindici anni, per lo più a favore del mantenimento in vita della donna. Nel 1997, nel 2001 e nel 2003, a fronte di sentenze giudiziarie pro-eutanasia, il verdetto era stato rovesciato prima che la “condanna” di Terri giungesse a pieno compimento. In particolare il 24 aprile 2001, l’A/I erano state sospese per due giorni, quindi reintegrate per subentrate nuove evidenze, mentre il 15 ottobre 2003 Terri era rimasta senza sostegno vitale addirittura per sei giorni, finché il 21 ottobre un intervento d’urgenza del governatore della Florida Jeb Bush, aveva emanato la Terry’s Law, con cui l’A/I venivano ripristinate (cfr. A comprehensive Timeline and Archive of the Terri Schindler-Schiavo case, in www.terrisfight.com).
Non è bastato. Dietro Michael Schiavo si muove chi ha perfettamente chiaro cosa sia in gioco, oltre e “più” della vita di Terri: un enorme cambiamento etico e culturale. Non a caso, il legale del marito di Terri Schiavo è George Felos, avvocato e guru new age attivissimo sul fronte del “diritto a morire”. Questo caso, in effetti, potrebbe avere per gli Stati Uniti lo stesso valore della famosa sentenza Roe vs. Wade, che nel 1973 introdusse l’aborto volontario negli USA. Per il sistema giuridico americano, infatti, le sentenze hanno una valenza esemplare, costituiscono cioè un precedente autorevole che sostanzialmente autorizza un analogo giudizio in ogni parte dell’Unione, e dunque equivale praticamente ad una legge, anche in assenza di un pronunciamento federale.
Di più: l’eventuale legalizzazione dell’eutanasia negli Stati Uniti avrebbe una formidabile ricaduta a livello mondiale, soprattutto in un momento storico in cui l’amministrazione di questo Paese ha assunto - sia in politica interna che nelle sedi internazionali - posizioni coraggiose, in controtendenza rispetto alla dominante cultura utilitaristica e materialista: sull’aborto, sull’educazione alla castità, le cellule staminali, la clonazione umana.
Per la vita di Terri si sono espressi e hanno agito in vari modi il Presidente e il Congresso degli Stati Uniti, nella speranza che le pressioni esercitate convincessero il giudice a tornare sui suoi passi.
Ora – salvo nuovi capovolgimenti della situazione grazie all’encomiabile tenacia del Congresso e del presidente Bush – il “tubo” dell’A/I è stato tolto, e per Terri sono iniziate nuove sofferenze, quelle causate dalla sete e dalla fame.
Su questo punto i fautori dell’eutanasia obiettano: in determinate condizioni terminali non ci sarebbero più gli stimoli di fame e sete, né la capacità di provare dolore; dunque, la sospensione dell’alimentazione e idratazione sarebbe una “morte indolore”, rientrerebbe nella “buona morte” che si dovrebbe chiedere anticipatamente per sé con i testamenti di vita o “pietosamente” per i propri cari in caso di incapacità e in mancanza di volontà scritte.
Tali affermazioni non hanno però una conferma nella letteratura scientifica. Anzi, studi recenti affermano che anche nel caso di stato cosiddetto “vegetativo” – che non è stato diagnosticato per Terri Schiavo – permane la capacità di provare dolore (cfr. ad esempio S. Rifkinson Mann, Legal consequences and ethical dilemmas of pain perception in persistent vegetative states, in J. Health Law. 2003/36(4), pp. 523-548). Il malessere causato dalla mancanza di liquidi può dunque essere patito perfino dai soggetti in stato vegetativo, e a maggior ragione dai malati che hanno un maggiore livello di reazioni vitali. Tale forma, purtroppo sempre più praticata, di sospensione delle cure non è affatto una “risposta” alle sofferenze dei malati e dei disabili, ma la volontaria induzione di una morte crudele.
Inoltre, alimentazione e idratazione non rappresentano in alcun modo terapie gravose che “prolungano” inutilmente le sofferenze dei morenti, ma cure normali che mantengono la vita contribuendo piuttosto a sollevarne la sintomatologia dolorosa, senza prolungare il processo naturale del morire e senza costituire perciò forme possibili di accanimento terapeutico.
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domenica, marzo 20, 2005
Terminal Island
Questo è senza dubbio il blog più strano che abbia incontrato. Si legge via terminale!
Arc of time
you can make a plan,
carve it into stone,
like a feather fallin,
it is still unknown,
until the clock speaks up,
says its time to go,
you can choose the high,
or the lower road,
might clench your fist,
might fork your tongue,
as you curse or praise,
all the things you've done,
and the faders move,
and the music dies,
as we pass over,
on the arc of time,
so you nurse your love like a wounded dove
in the covered cage of night,
every star is crossed by frenetic thoughts
that separate and then collide,
and they twist like sheets til you fall asleep
then they finally unwind,
its a black balloon its a dream
you'll soon deny,
I hear if you make friends,
with Jesus Christ,
you will get right up,
from that chalk outline,
and you'll get dolled up,
and you'll dress in white,
all to take your place,
in his chorus line,
and then in you'll come with those
marchin' drums in a saintly compromise,
no more whisky slurs
no more blonde haired girls for your whole eternal life,
and youll do the dance that was
choreographed at the very dawn of time,
see I told you son the day would come,
you will die you die you die you die
to the deepest part of the human
heart the fear of death expands,
so we cracked the code we have always know
but could never understand,
on a circuit board we will soon be born,
again again and again and again...
carve it into stone,
like a feather fallin,
it is still unknown,
until the clock speaks up,
says its time to go,
you can choose the high,
or the lower road,
might clench your fist,
might fork your tongue,
as you curse or praise,
all the things you've done,
and the faders move,
and the music dies,
as we pass over,
on the arc of time,
so you nurse your love like a wounded dove
in the covered cage of night,
every star is crossed by frenetic thoughts
that separate and then collide,
and they twist like sheets til you fall asleep
then they finally unwind,
its a black balloon its a dream
you'll soon deny,
I hear if you make friends,
with Jesus Christ,
you will get right up,
from that chalk outline,
and you'll get dolled up,
and you'll dress in white,
all to take your place,
in his chorus line,
and then in you'll come with those
marchin' drums in a saintly compromise,
no more whisky slurs
no more blonde haired girls for your whole eternal life,
and youll do the dance that was
choreographed at the very dawn of time,
see I told you son the day would come,
you will die you die you die you die
to the deepest part of the human
heart the fear of death expands,
so we cracked the code we have always know
but could never understand,
on a circuit board we will soon be born,
again again and again and again...
S. E. Bruno Forte e i referendum
Cosa pensa il mio vescovo, Bruno Forte, di questi referendum.
La Legge 40/2004 in vigore dal 10/3/2004 ha posto dei limiti alle possibili vie finalizzate alla procreazione medicalmente assistita (essa vieta nel nostro paese il congelamento di embrioni, la creazione di più di tre embrioni, la sperimentazione non terapeutica su di essi, la donazione di ovociti e quella di spermatozoi). Questa legge non soddisfa certamente le esigenze etiche affermate dalla Chiesa, che considerano inaccettabile la fecondazione in vitro, come la produzione e l’eliminazione artificiale di embrioni. Tuttavia, la presenza di una legge limitativa è da considerarsi migliore dell’abrogazione di ogni limite, che aprirebbe tra l’altro al rischio della produzione e sperimentazione, con conseguente eliminazione di embrioni. La Chiesa considera l’embrione umano degno del rispetto dovuto alla persona: come non si può disporre arbitrariamente della vita di nessuna persona umana in qualunque fase del suo sviluppo, così non è moralmente lecito agire sull’embrione quasi non avesse valore di essere umano, sia pur se in una fase molto iniziale del suo processo vitale. Ognuno di quelli che leggono queste parole è stato embrione in maniera analoga agli embrioni che senza una opportuna limitazione potrebbero essere manipolati o eliminati. Non tutto quello che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito: la scienza che non riconosca l’esistenza di limiti etici invalicabili rischia di rivoltarsi contro l’uomo, come già purtroppo a volte è successo (si pensi alle devastazioni dell’ambiente o alle follie dell’eugenetica dei totalitarismi, decisi a eliminare gli esseri umani non ritenuti puri o degni o efficaci). Per questo motivo, l’abrogazione di alcuni articoli della legge 40/2004 - proposta dai quesiti referendari - va rifiutata. E poiché il rifiuto può esprimersi di fatto anche se non viene conseguito il quorum dei votanti richiesto per la validità del referendum, è del tutto legittimo astenersi dal voto: in questo caso, anzi, l’astensione appare la forma privilegiata, perché esprime il dissenso dall’idea di ridurre principi etici inalienabili, come quello del valore della vita e della dignità dell’essere umano, a questioni numeriche di maggioranza e di minoranza. Per amore della vita di ogni essere umano, specialmente di quella più debole e indifesa, invito pertanto i fedeli a considerare l’ipotesi dell’astensione dal voto referendario come la migliore possibile in questo caso, ed a farlo non contro qualcuno, ma a favore di tutti, per la crescita della qualità e della dignità della vita di ogni persona e dell’intera società di cui facciamo parte. Prego Dio perché il dibattito referendario sia scevro da intolleranze, da riproposizioni di steccati dolorosi e cerchi solo, da parte di tutti, il bene comune, inseparabile dalla verità delle esigenze etiche fondamentali, che accomunano i credenti a tanti uomini di scienza e di pensiero, i quali pur senza un’esplicita confessione di fede religiosa riconoscono la sacralità dell’essere umano.
+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto
18 marzo 2005
La Legge 40/2004 in vigore dal 10/3/2004 ha posto dei limiti alle possibili vie finalizzate alla procreazione medicalmente assistita (essa vieta nel nostro paese il congelamento di embrioni, la creazione di più di tre embrioni, la sperimentazione non terapeutica su di essi, la donazione di ovociti e quella di spermatozoi). Questa legge non soddisfa certamente le esigenze etiche affermate dalla Chiesa, che considerano inaccettabile la fecondazione in vitro, come la produzione e l’eliminazione artificiale di embrioni. Tuttavia, la presenza di una legge limitativa è da considerarsi migliore dell’abrogazione di ogni limite, che aprirebbe tra l’altro al rischio della produzione e sperimentazione, con conseguente eliminazione di embrioni. La Chiesa considera l’embrione umano degno del rispetto dovuto alla persona: come non si può disporre arbitrariamente della vita di nessuna persona umana in qualunque fase del suo sviluppo, così non è moralmente lecito agire sull’embrione quasi non avesse valore di essere umano, sia pur se in una fase molto iniziale del suo processo vitale. Ognuno di quelli che leggono queste parole è stato embrione in maniera analoga agli embrioni che senza una opportuna limitazione potrebbero essere manipolati o eliminati. Non tutto quello che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito: la scienza che non riconosca l’esistenza di limiti etici invalicabili rischia di rivoltarsi contro l’uomo, come già purtroppo a volte è successo (si pensi alle devastazioni dell’ambiente o alle follie dell’eugenetica dei totalitarismi, decisi a eliminare gli esseri umani non ritenuti puri o degni o efficaci). Per questo motivo, l’abrogazione di alcuni articoli della legge 40/2004 - proposta dai quesiti referendari - va rifiutata. E poiché il rifiuto può esprimersi di fatto anche se non viene conseguito il quorum dei votanti richiesto per la validità del referendum, è del tutto legittimo astenersi dal voto: in questo caso, anzi, l’astensione appare la forma privilegiata, perché esprime il dissenso dall’idea di ridurre principi etici inalienabili, come quello del valore della vita e della dignità dell’essere umano, a questioni numeriche di maggioranza e di minoranza. Per amore della vita di ogni essere umano, specialmente di quella più debole e indifesa, invito pertanto i fedeli a considerare l’ipotesi dell’astensione dal voto referendario come la migliore possibile in questo caso, ed a farlo non contro qualcuno, ma a favore di tutti, per la crescita della qualità e della dignità della vita di ogni persona e dell’intera società di cui facciamo parte. Prego Dio perché il dibattito referendario sia scevro da intolleranze, da riproposizioni di steccati dolorosi e cerchi solo, da parte di tutti, il bene comune, inseparabile dalla verità delle esigenze etiche fondamentali, che accomunano i credenti a tanti uomini di scienza e di pensiero, i quali pur senza un’esplicita confessione di fede religiosa riconoscono la sacralità dell’essere umano.
+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto
18 marzo 2005
sabato, marzo 19, 2005
venerdì, marzo 18, 2005
La logica, questa sconosciuta
La logica, questa sconosciuta
Vittorio Possenti
Con l’approssimarsi del referendum gli animi si scaldano e le argomentazioni si semplificano, con qualche danno per la logica che pur si vorrebbe difendere. Un editorialista del calibro di Giovanni Sartori («La vita umana secondo ragione», Corriere di ieri) parte col piede giusto quando ricorda che vita e vita umana non coincidono (lo sappiamo tutti, tranne forse qualche raro biologo che se lo dimentica; comunque repetita iuvant), ma rischia di confondersi presto appena si domanda quando comincia la vita umana.
Da un lato Sartori riconosce che la «vita comincia nell’attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete femminile», ma poi non accetta che il prodotto della fecondazione sia vita umana. Sbagliando, perché l’embrione nato dalla congiunzione tra un seme maschile umano e un gamete femminile umano non può che essere embrione umano, dotato di vita umana. Lo è certo per il Dna, che non è quello dei topi o dei pesci: l’embrione è in possesso di un patrimonio genetico assolutamente individualizzato e appartenente in modo esclusivo alla specie umana, ed è dotato di un’attività immanente, autonoma, autoprogrammata e teleologica, che non manifesta discontinuità nel processo formativo. Secondo il rapporto Warnock, «una volta che il processo è cominciato, non c’è una particolare fase del suo sviluppo che sia più importante di un’altra: tutte sono parte di un processo continuo». Si può temere che l’editoriale in questione faccia confusione tra l’umanità dell’embrione e la domanda sul momento in cui questo diventa persona: problema notevolissimo, certo, ma non identico al precedente. Comunque là dove vi è vita umana, a essa spetta cura e rispetto.
Anche se dovessimo nutrire dubbi sul fatto che già al concepimento vi sia la persona, dovremmo astenerci dal sopprimere l’embrione. L’esemplificazione dell’editoriale («se uccido un girino, non uccido una rana») è fallace, perché introduce surrettiziamente l’indistinzione tra vita generica e vita umana di un embrione umano, ossia identificando proprio quanto poco sopra aveva reclamato dovessi distinguere.
Rimane la domanda: quando la vita umana è diversa da quella animale? Quando comincia la persona? Risponde Sartori: «La vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a "rendersi conto". Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre» (il corsivo è mio). Ho letto e riletto, sfregandomi gli occhi: sì, c’è scritto così; un’enormità. Il criterio suddetto renderebbe possibile la soppressione di ogni feto, compresi quelli che sono lì lì per nascere e che l’ecografia mostra in tutto e per tutto uguali ai già nati.
Veramente la vita umana cambia radicalmente rispetto a ogni altra vita quando essa è dotata di autoconsapevolezza? Mi pare una semplificazione, dipendente dal fare centro sul pensiero e l’autocoscienza che sono atti secondi, e non sull’atto primo di esistenza. Ciò che fa la vita umana è l’atto d’essere sostanziale proprio dell’embrione umano, e che inizia col concepimento: l’autocoscienza è un attributo che segnala normalmente la presenza della persona, senza che la sua assenza sia perciò stesso indice di non-persona.
Vorrei rassicurare Sartori. Non è che i credenti ritengano che l’embrione sia vita umana perché «la fede, se così le viene imposto dalle sue autorità, può rispondere di sì», ma in base ad argomenti razionali, ossia scientifici e filosofici. Anzi, su molte questioni bioetiche non esiste affatto una bioetica cattolica, ma razionale e basata sul principio-persona. Solo che la ragione cui guarda Sartori è molto anemica e si spaventa facilmente. Scrive: «Se Dio esiste, è materia di fede», mentre occorrerebbe sostenere che il tema dell’esistenza di Dio è questione tanto di ragione quanto di fede, e che la prima può fare un buon cammino in merito. La separazione o l’opposizione che l’editoriale crea tra ragione e fede non regge.
Ps: Intervenendo su questioni analoghe Gian Enrico Rusconi (la Stampa di ieri) sostiene che la democrazia «deve rispettare tutte le visioni della vita», e che lo Stato laico deve regolare «in modo ragionevolmente consensuale» l’ethos civile. Il riferimento al consenso è congruo in vari casi, non in quello dell’embrione. Infatti, perché si possa parlare di società civile e non di una giungla non è possibile derogare dal criterio cardinale del neminem laedere. Nelle società umane si può forse fare a meno per qualche tempo di un criterio di giustizia distributiva, ma non della garanzia del neminem laedere che non trae la sua validità dal consenso, sia pure democratico, e tolta la quale non vi è più società. Ora è ben evidente che l’embrione umano non è un «signor nessuno», e che perciò occorre rigettare come eversiva di ogni convivenza l’espressione di coloro che sostengono che l’embrione è esattamente un nessuno, di cui si può disporre a piacimento.
Vittorio Possenti
Con l’approssimarsi del referendum gli animi si scaldano e le argomentazioni si semplificano, con qualche danno per la logica che pur si vorrebbe difendere. Un editorialista del calibro di Giovanni Sartori («La vita umana secondo ragione», Corriere di ieri) parte col piede giusto quando ricorda che vita e vita umana non coincidono (lo sappiamo tutti, tranne forse qualche raro biologo che se lo dimentica; comunque repetita iuvant), ma rischia di confondersi presto appena si domanda quando comincia la vita umana.
Da un lato Sartori riconosce che la «vita comincia nell’attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete femminile», ma poi non accetta che il prodotto della fecondazione sia vita umana. Sbagliando, perché l’embrione nato dalla congiunzione tra un seme maschile umano e un gamete femminile umano non può che essere embrione umano, dotato di vita umana. Lo è certo per il Dna, che non è quello dei topi o dei pesci: l’embrione è in possesso di un patrimonio genetico assolutamente individualizzato e appartenente in modo esclusivo alla specie umana, ed è dotato di un’attività immanente, autonoma, autoprogrammata e teleologica, che non manifesta discontinuità nel processo formativo. Secondo il rapporto Warnock, «una volta che il processo è cominciato, non c’è una particolare fase del suo sviluppo che sia più importante di un’altra: tutte sono parte di un processo continuo». Si può temere che l’editoriale in questione faccia confusione tra l’umanità dell’embrione e la domanda sul momento in cui questo diventa persona: problema notevolissimo, certo, ma non identico al precedente. Comunque là dove vi è vita umana, a essa spetta cura e rispetto.
Anche se dovessimo nutrire dubbi sul fatto che già al concepimento vi sia la persona, dovremmo astenerci dal sopprimere l’embrione. L’esemplificazione dell’editoriale («se uccido un girino, non uccido una rana») è fallace, perché introduce surrettiziamente l’indistinzione tra vita generica e vita umana di un embrione umano, ossia identificando proprio quanto poco sopra aveva reclamato dovessi distinguere.
Rimane la domanda: quando la vita umana è diversa da quella animale? Quando comincia la persona? Risponde Sartori: «La vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a "rendersi conto". Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre» (il corsivo è mio). Ho letto e riletto, sfregandomi gli occhi: sì, c’è scritto così; un’enormità. Il criterio suddetto renderebbe possibile la soppressione di ogni feto, compresi quelli che sono lì lì per nascere e che l’ecografia mostra in tutto e per tutto uguali ai già nati.
Veramente la vita umana cambia radicalmente rispetto a ogni altra vita quando essa è dotata di autoconsapevolezza? Mi pare una semplificazione, dipendente dal fare centro sul pensiero e l’autocoscienza che sono atti secondi, e non sull’atto primo di esistenza. Ciò che fa la vita umana è l’atto d’essere sostanziale proprio dell’embrione umano, e che inizia col concepimento: l’autocoscienza è un attributo che segnala normalmente la presenza della persona, senza che la sua assenza sia perciò stesso indice di non-persona.
Vorrei rassicurare Sartori. Non è che i credenti ritengano che l’embrione sia vita umana perché «la fede, se così le viene imposto dalle sue autorità, può rispondere di sì», ma in base ad argomenti razionali, ossia scientifici e filosofici. Anzi, su molte questioni bioetiche non esiste affatto una bioetica cattolica, ma razionale e basata sul principio-persona. Solo che la ragione cui guarda Sartori è molto anemica e si spaventa facilmente. Scrive: «Se Dio esiste, è materia di fede», mentre occorrerebbe sostenere che il tema dell’esistenza di Dio è questione tanto di ragione quanto di fede, e che la prima può fare un buon cammino in merito. La separazione o l’opposizione che l’editoriale crea tra ragione e fede non regge.
Ps: Intervenendo su questioni analoghe Gian Enrico Rusconi (la Stampa di ieri) sostiene che la democrazia «deve rispettare tutte le visioni della vita», e che lo Stato laico deve regolare «in modo ragionevolmente consensuale» l’ethos civile. Il riferimento al consenso è congruo in vari casi, non in quello dell’embrione. Infatti, perché si possa parlare di società civile e non di una giungla non è possibile derogare dal criterio cardinale del neminem laedere. Nelle società umane si può forse fare a meno per qualche tempo di un criterio di giustizia distributiva, ma non della garanzia del neminem laedere che non trae la sua validità dal consenso, sia pure democratico, e tolta la quale non vi è più società. Ora è ben evidente che l’embrione umano non è un «signor nessuno», e che perciò occorre rigettare come eversiva di ogni convivenza l’espressione di coloro che sostengono che l’embrione è esattamente un nessuno, di cui si può disporre a piacimento.
giovedì, marzo 17, 2005
Happy St. Patrick's Day
Oggi è San Patrizio, festa nazionale, e c'è pure un bel sole!!
Bloody marvellous. Absolutely bloody marvellous. Paddy's Day again.
They all fall
Like a million raindrops
Falling from a blue sky
Kissin' your cares goodbye
They all fall
Like a millon pieces
A tickertape parade high
And now you're free to fly
Carryin' a millstone malaise
It's been pulling down your gaze
You pound the pavement
It don't give or care
This weight ain't yours to bear
Why you holdin' grudges in old jars?
Why you wanna show off all your scars?
Whats it gonna take to lay a few burdens down?
It's a beautiful sound
When that muffled sigh
Says you're barely getting by
Cut your burdens loose and just simplify
Simplify
This is not your floor
You're going higher than before
Drop the weight now
Wait for the lookout guide
Look outside
You've gotta lay that burden down
You've gotta lay that burden down
It's time to leave your burdens in a pyre
Set a bonfire
'Cause when you lay that burden down
When you lay your burdens down
When you drop them burdens
What a free-fall
What a thrill
Bury them all
In a landfill
Ancora San Tommaso e l'embrione
Una postilla ai due articoli su San Tommaso e l'embrione, anche per rispondere ad un commento di Massimo Adinolfi (Azioneparallela)
San Tommaso ragiona secondo le conoscenze scientifiche del tempo.
(Curiosità: nell'articolo di Inos Biffi non viene ricordato ma Aristotele sostiene che il quarantesimo giorno vale per i maschi, mentre per le femmine bisogna aspettare il novantesimo.)
Oggi utilizziamo le acquisizioni della medicina moderna e rifarsi all'autorità di San Tommaso senza contestualizzarlo mi pare segno di scarsa onestà intellettuale (vedi Eco, Sartori, Severino).
Ciò non significa che non si può provare applicare il ragionamento tomista ai dati che l'embriologia umana e la psicologia prenatale ci forniscono.
Si vedano ad esempio questi due ottimi articoli, in inglese:
Cloning, Aquinas, and the Embryonic Person
The Human Rational Soul and the Embryo
In italiano non ho trovato molto di significativo su questa specifica questione, devo cercare meglio ma, in una prospettiva un po' più ampia, la voce Embrione umano del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede mi pare molto utile.
San Tommaso ragiona secondo le conoscenze scientifiche del tempo.
(Curiosità: nell'articolo di Inos Biffi non viene ricordato ma Aristotele sostiene che il quarantesimo giorno vale per i maschi, mentre per le femmine bisogna aspettare il novantesimo.)
Oggi utilizziamo le acquisizioni della medicina moderna e rifarsi all'autorità di San Tommaso senza contestualizzarlo mi pare segno di scarsa onestà intellettuale (vedi Eco, Sartori, Severino).
Ciò non significa che non si può provare applicare il ragionamento tomista ai dati che l'embriologia umana e la psicologia prenatale ci forniscono.
Si vedano ad esempio questi due ottimi articoli, in inglese:
Cloning, Aquinas, and the Embryonic Person
The Human Rational Soul and the Embryo
In italiano non ho trovato molto di significativo su questa specifica questione, devo cercare meglio ma, in una prospettiva un po' più ampia, la voce Embrione umano del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede mi pare molto utile.
mercoledì, marzo 16, 2005
La verità della poesia
LA VERITÀ DELLA POESIA
RICORDANDO MARIO LUZI
di + Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita
In Mario Luzi - poeta fra i più grandi del Novecento italiano, morto a Firenze il 28 febbraio scorso - si incrociano due appartenenze, proprie dell'intera cultura dell'Occidente: il primo universo è quello greco della verità come svelamento o toglimento del nascosto, come visione della bellezza che - esibendosi - chiama al sereno possesso dello sguardo. La metafora che meglio esprime questa concezione è la luce: la verità illumina! Mario Luzi si colloca in questa tradizione. Egli è un cantore della luce e lo è sempre più nello scorrere dei giorni: «La luce - lui stesso confessa - è un mondo a sé, autonomo, che crea l'altro. C'è una specie di radiosità o fulgore avvertito come tale e avvertito come mistero» (M. Luzi, La porta del cielo. Conversazioni sul cristianesimo, a cura di S. Verdino, Piemme, Casale Monferrato 1997, 33). La chiusa infuocata del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) ne è eloquente conferma: Tutto senza ombra flagra. / È essenza, avvento, apparenza, / tutto trasparentissima sostanza. / È forse il paradiso / questo? oppure, luminosa insidia, / un nostro oscuro, / ab origine, mai vinto sorriso?
Il dubbio che si insidia nel cuore della metafora della luce è ben comprensibile in chi, come Luzi, ha assistito alle avventure disperate dell'ubriacatura di luce, propria dell'ideologia moderna. Egli ben sa che la conseguenza di una troppo forte equazione fra la verità e la luce raggiunta dallo sguardo della mente è la violenza: se la verità è idea, se è visione, allora la verità costringe, perché è inseparabile dalla necessità di abbracciare tutto col dominio dello sguardo. È “luminosa insidia”, quella che ha ispirato la storia moderna dell'Occidente, come molla della sua forza, segreto della sua violenza, espressione della sua anima assetata di dominio.
Anche per questo in Luzi la metafora della luce si coniuga a quella della donna e del viaggio, segnali dell'altra grande appartenenza della Sua più profonda identità. Questa concezione è quella della tradizione biblica, ebraico-cristiana. La verità non è qualcosa da possedere, quanto piuttosto Qualcuno, che appella alla sequela con radicalità assoluta: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Un altro rapporto si lascia qui cogliere fra la verità e l'io: di mezzo è subentrato l'Altro, lo Straniero che invita, rivelazione dell'abisso, presenza dell'amore che raggiunge e si offre e rapisce. Non più un rapporto di luminosa armonia si stabilisce fra la verità e l'intelletto, ma un singolare rapporto di interruzione, di scandalo. Questa concezione della verità trova la sua matrice profonda nella tradizione biblica, dove la verità è ‘emet, “fedeltà”: non sei tu che vedi e possiedi la verità, è la verità che come vivente soggetto ti raggiunge e ti comprende. Non allora la presunzione del possesso di chi vede, ma l'umile povertà di chi ascolta ed ascoltando corrisponde sarà l'esperienza della verità che salva: la verità non ti acquieta, ma ti fa pellegrino; non ti dà risposte, ma accende in te le domande vere.
Questa intuizione è presente in Luzi attraverso la ricorrente metafora del viaggio, che attraversa l'intera sua vicenda poetica: sono versi del 1935 questi, intitolati Alla vita: Amici ci aspetta una barca e dondola / nella luce ove il cielo si inarca / e tocca il mare, / volano creature pazze ed amare / il viso d'Iddio caldo di speranza / in alto in basso cercando / affetto in ogni occulta distanza / e piangono: noi siamo in terra / ma ci potremo un giorno librare / esilmente piegare sul seno divino / come rose dai muri nelle strade odorose / sul bimbo che le chiede senza voce. E il Viaggio di Simone è ancora tutto innervato dalla metafora del pellegrino, che sembra spingersi oltre ogni meta acquisita. È Luzi stesso che confessa: «Sì, certo: io ho sempre inteso il nostro destino di viventi sotto la specie del viaggio; di un viaggio che va fatto a partire dal nostro percorso vitale e terreno... e credo possa avere un fine e un senso».
Ma il viaggio, in quanto esodo verso la patria dell'identità, suppone una notte da cui uscire, una provenienza che nessuna luminosità pregiudiziale potrà riscattare e che - rivolto alla Donna - così Luzi descrive in questi versi del 1947, scritti dopo aver attraversato le desolazioni della guerra e aver sperimentato i naufragi dei facili ottimismi cari alle verità solari delle ideologie: Riconosco la nostra patria desolata / della nascita nostra senza origine / e della nostra morte senza fine. / È questa, l'avevo chiamata il caso, / l'avevo chiamata l'avventura / o la sorte o la notte o con quei nomi / inquieti che mi dettava l'angoscia, / non la pietà che penetra, che vede.
È qui, in questa mescolanza d'ombre che prende fino in fondo sul serio la complessità della storia contro ogni semplificante ricetta ideologica, è in questo originario andare verso l'altro nelle notti del tempo, che appare la donna come metafora di verità. Questa donna è Maria: in Annunciazione, una lirica del 1938, il Poeta la canta con singolare discrezione e modestia: La mano al suo tepore abbandonata, / nelle lacrime spenti i desideri, / forse è questo una donna: un tempo esangue, / nell'ombra la bontà opaca di ieri... / Poi di luna un inane fianco rosa / tese al vento gremito del tuo nome / la sua caducità bianca di chiome, / quella povera luce che ci opprime. Accanto alla donna Maria è possibile l’invocazione estrema del Poeta, dove il canto diventa preghiera, come nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini: Inchiodami alla croce / della mia identità / così come fu fatto / per te e per la tua / da cui prende dolore / e senso ogni crocifissione / ciascuno ai bracci della sua persona.
L'incontro che Luzi opera fra le due anime del suo mondo - e del nostro! - non è dunque compromesso, ma coappartenenza essenziale: Luzi ci insegna l'inseparabilità di questi momenti, il fecondo intrecciarsi di queste anime, greca e cristiana. E lo fa - in umiltà di discepolo - alla scuola del Verbo incarnato, il Signore Gesù, dove - una volta per sempre - il Tutto ha abitato il frammento, trapassandolo da parte a parte, verso l'abisso della divinità e verso le opere e i giorni degli uomini...
RICORDANDO MARIO LUZI
di + Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita
In Mario Luzi - poeta fra i più grandi del Novecento italiano, morto a Firenze il 28 febbraio scorso - si incrociano due appartenenze, proprie dell'intera cultura dell'Occidente: il primo universo è quello greco della verità come svelamento o toglimento del nascosto, come visione della bellezza che - esibendosi - chiama al sereno possesso dello sguardo. La metafora che meglio esprime questa concezione è la luce: la verità illumina! Mario Luzi si colloca in questa tradizione. Egli è un cantore della luce e lo è sempre più nello scorrere dei giorni: «La luce - lui stesso confessa - è un mondo a sé, autonomo, che crea l'altro. C'è una specie di radiosità o fulgore avvertito come tale e avvertito come mistero» (M. Luzi, La porta del cielo. Conversazioni sul cristianesimo, a cura di S. Verdino, Piemme, Casale Monferrato 1997, 33). La chiusa infuocata del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) ne è eloquente conferma: Tutto senza ombra flagra. / È essenza, avvento, apparenza, / tutto trasparentissima sostanza. / È forse il paradiso / questo? oppure, luminosa insidia, / un nostro oscuro, / ab origine, mai vinto sorriso?
Il dubbio che si insidia nel cuore della metafora della luce è ben comprensibile in chi, come Luzi, ha assistito alle avventure disperate dell'ubriacatura di luce, propria dell'ideologia moderna. Egli ben sa che la conseguenza di una troppo forte equazione fra la verità e la luce raggiunta dallo sguardo della mente è la violenza: se la verità è idea, se è visione, allora la verità costringe, perché è inseparabile dalla necessità di abbracciare tutto col dominio dello sguardo. È “luminosa insidia”, quella che ha ispirato la storia moderna dell'Occidente, come molla della sua forza, segreto della sua violenza, espressione della sua anima assetata di dominio.
Anche per questo in Luzi la metafora della luce si coniuga a quella della donna e del viaggio, segnali dell'altra grande appartenenza della Sua più profonda identità. Questa concezione è quella della tradizione biblica, ebraico-cristiana. La verità non è qualcosa da possedere, quanto piuttosto Qualcuno, che appella alla sequela con radicalità assoluta: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Un altro rapporto si lascia qui cogliere fra la verità e l'io: di mezzo è subentrato l'Altro, lo Straniero che invita, rivelazione dell'abisso, presenza dell'amore che raggiunge e si offre e rapisce. Non più un rapporto di luminosa armonia si stabilisce fra la verità e l'intelletto, ma un singolare rapporto di interruzione, di scandalo. Questa concezione della verità trova la sua matrice profonda nella tradizione biblica, dove la verità è ‘emet, “fedeltà”: non sei tu che vedi e possiedi la verità, è la verità che come vivente soggetto ti raggiunge e ti comprende. Non allora la presunzione del possesso di chi vede, ma l'umile povertà di chi ascolta ed ascoltando corrisponde sarà l'esperienza della verità che salva: la verità non ti acquieta, ma ti fa pellegrino; non ti dà risposte, ma accende in te le domande vere.
Questa intuizione è presente in Luzi attraverso la ricorrente metafora del viaggio, che attraversa l'intera sua vicenda poetica: sono versi del 1935 questi, intitolati Alla vita: Amici ci aspetta una barca e dondola / nella luce ove il cielo si inarca / e tocca il mare, / volano creature pazze ed amare / il viso d'Iddio caldo di speranza / in alto in basso cercando / affetto in ogni occulta distanza / e piangono: noi siamo in terra / ma ci potremo un giorno librare / esilmente piegare sul seno divino / come rose dai muri nelle strade odorose / sul bimbo che le chiede senza voce. E il Viaggio di Simone è ancora tutto innervato dalla metafora del pellegrino, che sembra spingersi oltre ogni meta acquisita. È Luzi stesso che confessa: «Sì, certo: io ho sempre inteso il nostro destino di viventi sotto la specie del viaggio; di un viaggio che va fatto a partire dal nostro percorso vitale e terreno... e credo possa avere un fine e un senso».
Ma il viaggio, in quanto esodo verso la patria dell'identità, suppone una notte da cui uscire, una provenienza che nessuna luminosità pregiudiziale potrà riscattare e che - rivolto alla Donna - così Luzi descrive in questi versi del 1947, scritti dopo aver attraversato le desolazioni della guerra e aver sperimentato i naufragi dei facili ottimismi cari alle verità solari delle ideologie: Riconosco la nostra patria desolata / della nascita nostra senza origine / e della nostra morte senza fine. / È questa, l'avevo chiamata il caso, / l'avevo chiamata l'avventura / o la sorte o la notte o con quei nomi / inquieti che mi dettava l'angoscia, / non la pietà che penetra, che vede.
È qui, in questa mescolanza d'ombre che prende fino in fondo sul serio la complessità della storia contro ogni semplificante ricetta ideologica, è in questo originario andare verso l'altro nelle notti del tempo, che appare la donna come metafora di verità. Questa donna è Maria: in Annunciazione, una lirica del 1938, il Poeta la canta con singolare discrezione e modestia: La mano al suo tepore abbandonata, / nelle lacrime spenti i desideri, / forse è questo una donna: un tempo esangue, / nell'ombra la bontà opaca di ieri... / Poi di luna un inane fianco rosa / tese al vento gremito del tuo nome / la sua caducità bianca di chiome, / quella povera luce che ci opprime. Accanto alla donna Maria è possibile l’invocazione estrema del Poeta, dove il canto diventa preghiera, come nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini: Inchiodami alla croce / della mia identità / così come fu fatto / per te e per la tua / da cui prende dolore / e senso ogni crocifissione / ciascuno ai bracci della sua persona.
L'incontro che Luzi opera fra le due anime del suo mondo - e del nostro! - non è dunque compromesso, ma coappartenenza essenziale: Luzi ci insegna l'inseparabilità di questi momenti, il fecondo intrecciarsi di queste anime, greca e cristiana. E lo fa - in umiltà di discepolo - alla scuola del Verbo incarnato, il Signore Gesù, dove - una volta per sempre - il Tutto ha abitato il frammento, trapassandolo da parte a parte, verso l'abisso della divinità e verso le opere e i giorni degli uomini...
martedì, marzo 15, 2005
Pathways
Leggo su wxre due brevi riflessioni sul popolo ebraico. E' vero, la capacità degli ebrei di affermarsi in ogni campo del sapere ha qualcosa di misterioso.
Visto che si avvicina la Settimana Santa, volevo condividere con voi quanto ha scritto qualche giorno fa Geoffrey Klempner, ebreo, fondatore di Pathways to Philosophy, un programma di formazione a distanza con cui collaboro.
A few years ago, on an Easter visit to London with my wife, I had an experience which profoundly affected my attitudes on the question of peace and religious toleration. As a Jew married to a Catholic, I have always been more than ready to preach tolerance. But, as I discovered, my high-minded philosophical views about religion had never been fully put to the test.
Of all the services in the year, the one church service that a Catholic must not miss is Good Friday. I'd expected to spend a pleasant couple of hours in the Spring sunshine while my wife attended to her devotions. Then, as we reached the church door, she said, 'Will you come in with me?'
Good Friday. For Jews, that day has particularly bitter memories. Memories of tales told to me as a young child of mobs inflamed by hatred preached from the pulpit dragging Jews from their homes. School teachers coldly talking about the 'killers of Christ'. Now, it seemed to me that I stood at the mouth of the lion's den.
What did I expect? The service was sombre, moving. There were no words of hatred. Instead, I felt the reverberations of the intense sense of unity of the congregation as they pondered a two thousand year old historical incident which defines their faith. Then the priest delivered a sermon which I shall never forget.
The theme of the sermon was peace and justice. In the Middle East, then as now, all the talk was of 'peace with justice'. But justice demands that the guilty be punished. And who would there be left, the priest asked rhetorically, who did not have some part in the guilt? Yet how can there be peace without justice? The New Testament teaches that peace can only be achieved through forgiveness and reconciliation. That was Christ's message to humanity. We cannot, and should not forget. But we can forgive and beg for forgiveness.
That experience was formative for me. Many years later, when I wrote 'The Ethics of Dialogue' and 'Ethical Dialogue and the Limits of Tolerance' (http://klempner.freeshell.org), it was the spirit of that sermon that I tried to recapture. One cannot be fully human and lack a sense of justice. Yet the ethical demand to open up to this particular other, to strive to grasp how things appear from the other's perspective, however painful that may be, is higher than blind justice.
Let us continue the dialogue.
Geoffrey Klempner
Visto che si avvicina la Settimana Santa, volevo condividere con voi quanto ha scritto qualche giorno fa Geoffrey Klempner, ebreo, fondatore di Pathways to Philosophy, un programma di formazione a distanza con cui collaboro.
A few years ago, on an Easter visit to London with my wife, I had an experience which profoundly affected my attitudes on the question of peace and religious toleration. As a Jew married to a Catholic, I have always been more than ready to preach tolerance. But, as I discovered, my high-minded philosophical views about religion had never been fully put to the test.
Of all the services in the year, the one church service that a Catholic must not miss is Good Friday. I'd expected to spend a pleasant couple of hours in the Spring sunshine while my wife attended to her devotions. Then, as we reached the church door, she said, 'Will you come in with me?'
Good Friday. For Jews, that day has particularly bitter memories. Memories of tales told to me as a young child of mobs inflamed by hatred preached from the pulpit dragging Jews from their homes. School teachers coldly talking about the 'killers of Christ'. Now, it seemed to me that I stood at the mouth of the lion's den.
What did I expect? The service was sombre, moving. There were no words of hatred. Instead, I felt the reverberations of the intense sense of unity of the congregation as they pondered a two thousand year old historical incident which defines their faith. Then the priest delivered a sermon which I shall never forget.
The theme of the sermon was peace and justice. In the Middle East, then as now, all the talk was of 'peace with justice'. But justice demands that the guilty be punished. And who would there be left, the priest asked rhetorically, who did not have some part in the guilt? Yet how can there be peace without justice? The New Testament teaches that peace can only be achieved through forgiveness and reconciliation. That was Christ's message to humanity. We cannot, and should not forget. But we can forgive and beg for forgiveness.
That experience was formative for me. Many years later, when I wrote 'The Ethics of Dialogue' and 'Ethical Dialogue and the Limits of Tolerance' (http://klempner.freeshell.org), it was the spirit of that sermon that I tried to recapture. One cannot be fully human and lack a sense of justice. Yet the ethical demand to open up to this particular other, to strive to grasp how things appear from the other's perspective, however painful that may be, is higher than blind justice.
Let us continue the dialogue.
Geoffrey Klempner
Dante e l'anima del feto
«Caro monsignor Ravasi,
discutendo giorni fa di procreazione assistita, mia figlia – studentessa liceale – mi ha ricordato che nel XXV canto del Purgatorio Dante afferma che il feto acquista l’anima solo quando "l’articolare del cerebro é perfetto". Verrebbe quindi da pensare, col "ghibellin fuggiasco", che l’essere vivente e senziente si forma se e quando "un’alma sola/che vive e sente, e sé in sé rigira». È evidente che in fase embrionale ciò non avviene; ma può, in ogni caso, questo fatto giustificare la teoria liberticida dei sostenitori dell’abrogazione della legge 40? Cordialità».
Adriano V. Pirillo
Risponde monsignor Gianfranco Ravasi
Dante riflette una delle teorie di quel tempo, quella tomistica. Lo "spirito nuovo, di virtù repleto" è l’anima intellettiva, "spirata" direttamente da Dio. L’embrione, però, sempre secondo questa dottrina, possiede già per via naturale l’anima vegetativa e sensitiva. Il processo è, perciò, considerato unitario e riguarda già la creatura umana e non un mero ente fisiologico che poi si fa uomo. Il progetto è unico, anche se ha livelli differenti e lo è sulla base del principio di causalità e finalità. Veda il commento di A.M. Chiavacci Leonardi (Mondadori, Meridiani 1994, pp. 742 ss.). Con viva cordialità,
Gianfranco Ravasi
discutendo giorni fa di procreazione assistita, mia figlia – studentessa liceale – mi ha ricordato che nel XXV canto del Purgatorio Dante afferma che il feto acquista l’anima solo quando "l’articolare del cerebro é perfetto". Verrebbe quindi da pensare, col "ghibellin fuggiasco", che l’essere vivente e senziente si forma se e quando "un’alma sola/che vive e sente, e sé in sé rigira». È evidente che in fase embrionale ciò non avviene; ma può, in ogni caso, questo fatto giustificare la teoria liberticida dei sostenitori dell’abrogazione della legge 40? Cordialità».
Adriano V. Pirillo
Risponde monsignor Gianfranco Ravasi
Dante riflette una delle teorie di quel tempo, quella tomistica. Lo "spirito nuovo, di virtù repleto" è l’anima intellettiva, "spirata" direttamente da Dio. L’embrione, però, sempre secondo questa dottrina, possiede già per via naturale l’anima vegetativa e sensitiva. Il processo è, perciò, considerato unitario e riguarda già la creatura umana e non un mero ente fisiologico che poi si fa uomo. Il progetto è unico, anche se ha livelli differenti e lo è sulla base del principio di causalità e finalità. Veda il commento di A.M. Chiavacci Leonardi (Mondadori, Meridiani 1994, pp. 742 ss.). Con viva cordialità,
Gianfranco Ravasi
Ma san Tommaso cosa pensava in realtà?
Ma san Tommaso cosa pensava in realtà?
di Inos Biffi (da impegnoreferendum)
Nell’attuale dibattito sullo statuto umano dell’embrione non manca da più parti il richiamo alla dottrina di Tommaso d’Aquino. Ma sull’argomento qual è esattamente il pensiero tomistico? Occorre, al riguardo, distinguere due questioni:
- La prima relativa al tempo dell’animazione umana dell’embrione;
- La seconda relativa al comportamento nei confronti dell’embrione umanamente animato.
Per quanto concerne l’animazione Tommaso segue la teoria aristotelica (Libro della generazione degli animali, II, III, 736a35), da lui espressamente citata (Summa Theologiae, III, 33, ob. 3), secondo la quale «in tempi successivi il corpo viene formato e preparato a ricevere l’anima». Per cui la materia del corpo viene umanamente animata - riceve cioè l’anima umana - non nell’istante della concezione, ma intorno al 40° giorno dalla concezione. Dapprima abbiamo la realtà vivente - il vivum -, poi la realtà animale - l’animal -, e infine la realtà umana - l’homo - (ivi), che "assorbe", include e "oltrepassa" le precedenti (ivi, I, 118, 2, 2m).
Nella Summa contra Gentiles (II, 89) Tommaso scrive: «Nella generazione dell’animale e dell’uomo, in cui la forma è perfettissima, molte sono le forme e le generazioni intermedie, e di conseguenza le corruzioni, poiché la generazione di una forma è la corruzione di un’altra. Perciò l’anima vegetativa (anima vegetabilis), che viene per prima, mentre l’embrione vive la vita della pianta, si corrompe e le succede un’anima più perfetta, che è insieme nutritiva e sensitiva (anima perfectior, nutritiva et sensitiva simul), e allora l’embrione vive la vita dell’animale (vita animalis); distrutta questa, le succede l’anima razionale che viene infusa dall’esterno (anima rationalis ab extrinseco immissa)», ossia «grazie alla creazione divina» (per creationem a Deo), o «da Dio immediatamente» (a Deo immediate) (Summa Theologiae, I, 90, 3, c.).
Secondo questa teoria, l’infusione dell’anima razionale preesige, come condizione, che il corpo sia "formato", ossia adeguatamente disposto a tale infusione: il corpo all’inizio riceve solo un’"anima imperfetta" - vegetale/animale -, e solo in un secondo tempo "l’anima perfetta", o "l’anima razionale".
Certo, se ci fosse un caso in cui lo stato di "formazione" fosse in atto già dalla concezione, l’animazione umana non avverrebbe successivamente ma immediatamente.
È il caso, eccezionale, di Gesù Cristo, il cui corpo ricevette l’animazione umana «nel primo istante della concezione». Domandandosi: «se il corpo di Cristo sia stato animato dal primo istante della concezione» (Summa Theologiae, III, 33, 2), Tommaso risponde in modo affermativo: il corpo di Cristo, assunto dal Verbo di Dio a partire dalla concezione, fu immediatamente animato dall’anima razionale. Quel corpo, infatti - grazie all’«infinita virtù dell’agente» che fu al principio del suo concepimento - ricevette subito la sua perfetta formazione; ecco perché, «nell’istante stesso in cui fu concepito, ebbe la forma perfetta, ossia l’anima razionale». A differenza degli altri uomini.
Come si vede, la teoria tomistico/aristotelica sul tempo dell’animazione umana è legata alla concezione scientifico/filosofica - più filosofica che scientifica - dell’epoca. Ma non appare più sostenibile.
Non si vede su quale fondamento si possa affermare che l’embrione «è semplicemente avviato» all’acquisizione del livello umano, e, dunque, «solo potenzialmente» uomo.
Se non fosse da subito «umanamente» strutturato e definito, e perciò «umanamente» animato; se, in altre parole, non possedesse già in sé gli "ingredienti" o i princìpi obiettivi che costituiscono formalmente l’essere umano, da dove, e per quale ragione, e quando precisamente essi gli potrebbero giungere?
Senza dire, che non sarebbe lecito "usare", nell’una o nell’altra forma, dell’embrione, quand’anche ci fosse solo l’eventualità del suo statuto umano.
Il secondo aspetto della dottrina di Tommaso riguarda il comportamento nei confronti dell’embrione umanamente animato.
Al riguardo, la posizione di Tommaso è netta: un aborto deliberato è un omicidio. «Chi percuote una donna incinta - egli scrive - compie un’opera illecita. Perciò, se ne segue la morte della donna o del bambino già formato, non può evitare la responsabilità dell’omicidio» (Summa Theologiae, II-II, 64, 8, 2m).
È come dire che il feto, in virtù dell’animazione razionale, è un essere o una persona umana, ed è quindi intangibile. Una sua soppressione equivarrebbe all’uccisione di un innocente, dichiarata assolutamente illecita: «In nessun modo è lecito uccidere un innocente» (ivi, 64, 6, c.). Nei termini inequivocabili di Tommaso, sarebbe un homicidii crimen; o, com’è detto nel Vaticano II, un nefandum crimen, un «abominevole delitto» (Gaudium et Spes, n. 51).
di Inos Biffi (da impegnoreferendum)
Nell’attuale dibattito sullo statuto umano dell’embrione non manca da più parti il richiamo alla dottrina di Tommaso d’Aquino. Ma sull’argomento qual è esattamente il pensiero tomistico? Occorre, al riguardo, distinguere due questioni:
- La prima relativa al tempo dell’animazione umana dell’embrione;
- La seconda relativa al comportamento nei confronti dell’embrione umanamente animato.
Per quanto concerne l’animazione Tommaso segue la teoria aristotelica (Libro della generazione degli animali, II, III, 736a35), da lui espressamente citata (Summa Theologiae, III, 33, ob. 3), secondo la quale «in tempi successivi il corpo viene formato e preparato a ricevere l’anima». Per cui la materia del corpo viene umanamente animata - riceve cioè l’anima umana - non nell’istante della concezione, ma intorno al 40° giorno dalla concezione. Dapprima abbiamo la realtà vivente - il vivum -, poi la realtà animale - l’animal -, e infine la realtà umana - l’homo - (ivi), che "assorbe", include e "oltrepassa" le precedenti (ivi, I, 118, 2, 2m).
Nella Summa contra Gentiles (II, 89) Tommaso scrive: «Nella generazione dell’animale e dell’uomo, in cui la forma è perfettissima, molte sono le forme e le generazioni intermedie, e di conseguenza le corruzioni, poiché la generazione di una forma è la corruzione di un’altra. Perciò l’anima vegetativa (anima vegetabilis), che viene per prima, mentre l’embrione vive la vita della pianta, si corrompe e le succede un’anima più perfetta, che è insieme nutritiva e sensitiva (anima perfectior, nutritiva et sensitiva simul), e allora l’embrione vive la vita dell’animale (vita animalis); distrutta questa, le succede l’anima razionale che viene infusa dall’esterno (anima rationalis ab extrinseco immissa)», ossia «grazie alla creazione divina» (per creationem a Deo), o «da Dio immediatamente» (a Deo immediate) (Summa Theologiae, I, 90, 3, c.).
Secondo questa teoria, l’infusione dell’anima razionale preesige, come condizione, che il corpo sia "formato", ossia adeguatamente disposto a tale infusione: il corpo all’inizio riceve solo un’"anima imperfetta" - vegetale/animale -, e solo in un secondo tempo "l’anima perfetta", o "l’anima razionale".
Certo, se ci fosse un caso in cui lo stato di "formazione" fosse in atto già dalla concezione, l’animazione umana non avverrebbe successivamente ma immediatamente.
È il caso, eccezionale, di Gesù Cristo, il cui corpo ricevette l’animazione umana «nel primo istante della concezione». Domandandosi: «se il corpo di Cristo sia stato animato dal primo istante della concezione» (Summa Theologiae, III, 33, 2), Tommaso risponde in modo affermativo: il corpo di Cristo, assunto dal Verbo di Dio a partire dalla concezione, fu immediatamente animato dall’anima razionale. Quel corpo, infatti - grazie all’«infinita virtù dell’agente» che fu al principio del suo concepimento - ricevette subito la sua perfetta formazione; ecco perché, «nell’istante stesso in cui fu concepito, ebbe la forma perfetta, ossia l’anima razionale». A differenza degli altri uomini.
Come si vede, la teoria tomistico/aristotelica sul tempo dell’animazione umana è legata alla concezione scientifico/filosofica - più filosofica che scientifica - dell’epoca. Ma non appare più sostenibile.
Non si vede su quale fondamento si possa affermare che l’embrione «è semplicemente avviato» all’acquisizione del livello umano, e, dunque, «solo potenzialmente» uomo.
Se non fosse da subito «umanamente» strutturato e definito, e perciò «umanamente» animato; se, in altre parole, non possedesse già in sé gli "ingredienti" o i princìpi obiettivi che costituiscono formalmente l’essere umano, da dove, e per quale ragione, e quando precisamente essi gli potrebbero giungere?
Senza dire, che non sarebbe lecito "usare", nell’una o nell’altra forma, dell’embrione, quand’anche ci fosse solo l’eventualità del suo statuto umano.
Il secondo aspetto della dottrina di Tommaso riguarda il comportamento nei confronti dell’embrione umanamente animato.
Al riguardo, la posizione di Tommaso è netta: un aborto deliberato è un omicidio. «Chi percuote una donna incinta - egli scrive - compie un’opera illecita. Perciò, se ne segue la morte della donna o del bambino già formato, non può evitare la responsabilità dell’omicidio» (Summa Theologiae, II-II, 64, 8, 2m).
È come dire che il feto, in virtù dell’animazione razionale, è un essere o una persona umana, ed è quindi intangibile. Una sua soppressione equivarrebbe all’uccisione di un innocente, dichiarata assolutamente illecita: «In nessun modo è lecito uccidere un innocente» (ivi, 64, 6, c.). Nei termini inequivocabili di Tommaso, sarebbe un homicidii crimen; o, com’è detto nel Vaticano II, un nefandum crimen, un «abominevole delitto» (Gaudium et Spes, n. 51).
Let go
Sono tornato, alla grande.
Il tempo di riprendermi e ... grandi sorprese vi aspettano su questi schermi.
drink up, baby down
mmm, are you in or are you out
leave your things behind
'cause it's all going off without you
excuse me, too busy you're writing your tragedy
these mishaps
you bubble wrap
when you've no idea what you're like
so let go, jump in
oh well, whatcha waiting for
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
so let go, just get in
oh, it's so amazing here
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
it gains the more it gives
and then it rises with the fall
so hand me that remote
can't you see that all that stuff's a sideshow
such boundless pleasure
we've no time for later now
you can't await your own arrival
you've 20 seconds to comply
so let go, jump in
oh well, whatcha waiting for
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
so let go, just get in
oh, it's so amazing here
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
Il tempo di riprendermi e ... grandi sorprese vi aspettano su questi schermi.
drink up, baby down
mmm, are you in or are you out
leave your things behind
'cause it's all going off without you
excuse me, too busy you're writing your tragedy
these mishaps
you bubble wrap
when you've no idea what you're like
so let go, jump in
oh well, whatcha waiting for
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
so let go, just get in
oh, it's so amazing here
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
it gains the more it gives
and then it rises with the fall
so hand me that remote
can't you see that all that stuff's a sideshow
such boundless pleasure
we've no time for later now
you can't await your own arrival
you've 20 seconds to comply
so let go, jump in
oh well, whatcha waiting for
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
so let go, just get in
oh, it's so amazing here
it's alright
'cause there's beauty in the breakdown
venerdì, marzo 11, 2005
Niente quorum, niente rimborsi
Due miliardi di vecchie lire a rischio quorum. Poco più di un milione di attuali euro "pesanti". C’è anche questo consistente gruzzolo sul tavolo del quorum referendario. Una questione che non viene mai sbandierata, forse per non "inquinare" la presunta "purezza" del dibattito sul merito. Se, infatti, per i quattro referendum non andasse a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto i comitati promotori non incasserebbero la cifra prevista come rimborso per le spese sostenute. Lo prevede le legge n.157 del 3 giugno 1999, che regolamenta le nuove forme di finanziamento ai partiti tramite i rimborsi elettorali e referendari. Un motivo in più per i promotori per opporsi alla campagna astensionista, visto che in ballo ci sono anche quattrini sonanti.
Ma a chi potrebbero andare, in questa occasione, i rimborsi previsti? I comitati, come è noto, sono costituiti da soggetti di diversa provenienza. I radicali in prima fila ma anche parlamentari del centrosinistra e, in numero minore, del centrodestra. Si tratta di esponenti politici di partiti che incassano già i rimborsi elettorali. Non è quindi da escludere che siano pronti a rinunciare a favore dei meno "ricchi" radicali. Sempre però che raggiungano il quorum.
Continua su Impegnoreferendum.
Ma a chi potrebbero andare, in questa occasione, i rimborsi previsti? I comitati, come è noto, sono costituiti da soggetti di diversa provenienza. I radicali in prima fila ma anche parlamentari del centrosinistra e, in numero minore, del centrodestra. Si tratta di esponenti politici di partiti che incassano già i rimborsi elettorali. Non è quindi da escludere che siano pronti a rinunciare a favore dei meno "ricchi" radicali. Sempre però che raggiungano il quorum.
Continua su Impegnoreferendum.
mercoledì, marzo 09, 2005
Ancora musica
Mi scrive una nota critica musicale: Caro fratello, ho fatto 3 ore di lezione con Max Pezzali. Ti somiglia anche dal vivo! Però c'ha na panza. Cmq è veramente divertente non me l'aspettavo.
Dot, ma hai visto Francesco Renga? Ha vinto San Remo dedicandomi una canzone!! Angelo, appunto.
Ma te lo ricordi sotto il palco del Neapolis, i Timoria (gran bel gruppo, se non fosse stato per Omar Pedrini), la maglietta dei Pearl Jam, .... Ne ha fatta di strada! Se così va il mondo, fra 5 anni San Remo lo vince Silvia Dainese ed io potrò vantarmi di essere stato il primo al quale ha autografato lo zaino.
Comunque i lettori Hot Press hanno stilato la classifica dei 100 migliori album irlandesi di sempre. Al primo posto The Joshua Tree, naturalmente, ma al secondo c'è O di Damien Rice! Pensa tu ...
Sbaglio o proprio di questi giorni, un anno fa, a Copenaghen ...
Vabbè, Damien Rice l'hai scoperto prima tu ma indovina chi ha vinto la sezione Best Irish Female degli Meteor Music Awards 2005?
Juliet Turner, la mia preferita. Su questo blog ne parlavamo già nel 2003.
Per la sezione maschile invece di nuovo Paddy Casey, un altro che su questi schermi è apparso spesso.
Ce l'hai ancora l'autografo con dedica?
Azzardo una previsione: il gruppo rivelazione del 2005. (Parlo dell'Irlanda, naturalmente)
JUNO FALLS, e noi saremo i primi in Italia ad intervistarli, promesso.
Lo so che la Christian Music non ti piace, però ho scoperto due blog di musicisti:
Jeremy Thiessen dei Downhere e Mark Lee dei Third Day.
E visto che ci siamo, ribadisco che Sonorika è il migliore portale di musica in Italia.
Goodnight.
Dot, ma hai visto Francesco Renga? Ha vinto San Remo dedicandomi una canzone!! Angelo, appunto.
Ma te lo ricordi sotto il palco del Neapolis, i Timoria (gran bel gruppo, se non fosse stato per Omar Pedrini), la maglietta dei Pearl Jam, .... Ne ha fatta di strada! Se così va il mondo, fra 5 anni San Remo lo vince Silvia Dainese ed io potrò vantarmi di essere stato il primo al quale ha autografato lo zaino.
Comunque i lettori Hot Press hanno stilato la classifica dei 100 migliori album irlandesi di sempre. Al primo posto The Joshua Tree, naturalmente, ma al secondo c'è O di Damien Rice! Pensa tu ...
Sbaglio o proprio di questi giorni, un anno fa, a Copenaghen ...
Vabbè, Damien Rice l'hai scoperto prima tu ma indovina chi ha vinto la sezione Best Irish Female degli Meteor Music Awards 2005?
Juliet Turner, la mia preferita. Su questo blog ne parlavamo già nel 2003.
Per la sezione maschile invece di nuovo Paddy Casey, un altro che su questi schermi è apparso spesso.
Ce l'hai ancora l'autografo con dedica?
Azzardo una previsione: il gruppo rivelazione del 2005. (Parlo dell'Irlanda, naturalmente)
JUNO FALLS, e noi saremo i primi in Italia ad intervistarli, promesso.
Lo so che la Christian Music non ti piace, però ho scoperto due blog di musicisti:
Jeremy Thiessen dei Downhere e Mark Lee dei Third Day.
E visto che ci siamo, ribadisco che Sonorika è il migliore portale di musica in Italia.
Goodnight.
martedì, marzo 08, 2005
Updates
Ho aggiornato poco durante i giorni scorsi perchè sono stato impegnatissimo. Non dite che vi sono mancato perché non ci credo.
Prima la trasferta italiana e la presentazione a Roma, dove è andato tutto benissimo. (Grazie a quanti sono passati a salutarmi)
Tornato poi in Irlanda ho trovato naturalmente il lavoro che avevo messo da parte e che non ho ancora finito di smaltire.
Venerdì scorso ho indossato per la prima volta la toga accademica. Viene di solito usata in occasione del conferimento dei titoli e pare che per il PhD le spalle vengano coperte da una pelliccia di ermellino! Vedremo ...
Questa volta si trattava di una premiazione, ho vinto infatti una borsa di studio del college, e quindi non erano previsti né nastri né cappelli, solo la toga nera.
Appena sviluppo le foto vi farete due risate.
Stamane ho fatto una presentazione durante il corso di Richard Kearney sulla narrazione e domani volo in Belgio, a Lovanio precisamente, dove parteciperò alla conferenza The Victorian Sage.
Ad aprile parlerò a Belfast. E' pronto il programma ma evito di mettere il collegamento perché è un file PDF, qui comunque maggiori particolari.
Due settimane fa ho recensito questo libro su Aristotele e Kant di Alfredo Ferrarin, un lavoro che ho gradito molto.
Non posso pubblicare qui la recensione finchè non apparirà sulla rivista ma consiglio a tutti gli appassionati di filosofia la lettura dell'opera.
Concludo salutando Agata, una mia fedele lettrice notturna dell'Università di Arhus.
Prima la trasferta italiana e la presentazione a Roma, dove è andato tutto benissimo. (Grazie a quanti sono passati a salutarmi)
Tornato poi in Irlanda ho trovato naturalmente il lavoro che avevo messo da parte e che non ho ancora finito di smaltire.
Venerdì scorso ho indossato per la prima volta la toga accademica. Viene di solito usata in occasione del conferimento dei titoli e pare che per il PhD le spalle vengano coperte da una pelliccia di ermellino! Vedremo ...
Questa volta si trattava di una premiazione, ho vinto infatti una borsa di studio del college, e quindi non erano previsti né nastri né cappelli, solo la toga nera.
Appena sviluppo le foto vi farete due risate.
Stamane ho fatto una presentazione durante il corso di Richard Kearney sulla narrazione e domani volo in Belgio, a Lovanio precisamente, dove parteciperò alla conferenza The Victorian Sage.
Ad aprile parlerò a Belfast. E' pronto il programma ma evito di mettere il collegamento perché è un file PDF, qui comunque maggiori particolari.
Due settimane fa ho recensito questo libro su Aristotele e Kant di Alfredo Ferrarin, un lavoro che ho gradito molto.
Non posso pubblicare qui la recensione finchè non apparirà sulla rivista ma consiglio a tutti gli appassionati di filosofia la lettura dell'opera.
Concludo salutando Agata, una mia fedele lettrice notturna dell'Università di Arhus.
domenica, marzo 06, 2005
Musica e film
Duranta il finesettimana ho visto due film, per motivi strettamente musicali, ed entrambi, poi mi sono accorto, con la splendida Natalie Portman.
Il primo è Closer, una improbabile storia di tradimenti e menzogne.
Blower's Daughter di Damien Rice compare sia nel trailer che nella scena iniziale e questo mi aveva incuriosito ma il resto, devo dire, non merita.
Una curiosità per i filosofi.
In diverse scene compare la fotografia di una coppia di anziani.
Questa:
L'ho notata subito, è presa da una raccolta di ritratti di filosofi realizzata da Steve Pyke e i due in questione sono Elisabeth Anscombe e Peter Geach. Naturalmente i due celebri filosofi non c'entrano nulla con il film e la foto sarà stata scelta per motivi puramente estetici.
La Anscombe, allieva preferita di Wittgenstein, e suo marito, entrambi convertiti al cattolicesimo, difficilmente si sarebbero trovati a loro agio tra i quattro personaggi del film.
Il secondo film che ho finito di vedere stasera è Garden State.
Questo sì che merita.
E' stato già definito un film generazionale; un prodotto di nicchia che sta riscuotendo un successo inaspettato. Uscirà in Italia il 27 maggio (io avevo una copia pirata dell'originale americano).
Remember that moment in fourth grade when your teacher asked what you wanted to be when you grew up? If you'd known then what you do now – that careers don't instantly materialize right out of college and that only the class loser's prediction that he'd one day become a cop would come true – would you have done anything differently? No one tells you quite what your early 20s will be like, and few filmmakers have caught those awkward years quite like Zach Braff does in Garden State.
Questa la colonna sonora:
1. "Don't Panic" - Coldplay
2. "Caring is Creepy" - The Shins
3. "In the Waiting Line" - Zero 7
4. "New Slang" - The Shins
5. "I Just Don't Think I'll Get Over You" - Colin Hay
6. "Blue Eyes" - Cary Brothers
7. "Fair" - Remy Zero
8. "One of These Things First" - Nick Drake
9. "Lebanese Blonde" - Thievery Corporation
10. "The Only Living Boy In New York" - Simon & Garfunkel
11. "Such Great Heights" - Iron and Wine (l'originale è dei Postal Service)
12. "Let Go" - Frou Frou
13. "Winding Road" - Bonnie Somerville
Come si può notare, diversi brani o artisti erano apparsi su questo blog nei mesi scorsi. Affinità elettive.
Gli Shins, il mio gruppo preferito, ci sono non solo con la loro musica ma vengono anche nominati dalla protagonista.
La scena più bella quando, sotto la pioggia, parte The Only Living Boy In New York" di Simon e Garfunkel.
Il primo è Closer, una improbabile storia di tradimenti e menzogne.
Blower's Daughter di Damien Rice compare sia nel trailer che nella scena iniziale e questo mi aveva incuriosito ma il resto, devo dire, non merita.
Una curiosità per i filosofi.
In diverse scene compare la fotografia di una coppia di anziani.
Questa:
L'ho notata subito, è presa da una raccolta di ritratti di filosofi realizzata da Steve Pyke e i due in questione sono Elisabeth Anscombe e Peter Geach. Naturalmente i due celebri filosofi non c'entrano nulla con il film e la foto sarà stata scelta per motivi puramente estetici.
La Anscombe, allieva preferita di Wittgenstein, e suo marito, entrambi convertiti al cattolicesimo, difficilmente si sarebbero trovati a loro agio tra i quattro personaggi del film.
Il secondo film che ho finito di vedere stasera è Garden State.
Questo sì che merita.
E' stato già definito un film generazionale; un prodotto di nicchia che sta riscuotendo un successo inaspettato. Uscirà in Italia il 27 maggio (io avevo una copia pirata dell'originale americano).
Remember that moment in fourth grade when your teacher asked what you wanted to be when you grew up? If you'd known then what you do now – that careers don't instantly materialize right out of college and that only the class loser's prediction that he'd one day become a cop would come true – would you have done anything differently? No one tells you quite what your early 20s will be like, and few filmmakers have caught those awkward years quite like Zach Braff does in Garden State.
Questa la colonna sonora:
1. "Don't Panic" - Coldplay
2. "Caring is Creepy" - The Shins
3. "In the Waiting Line" - Zero 7
4. "New Slang" - The Shins
5. "I Just Don't Think I'll Get Over You" - Colin Hay
6. "Blue Eyes" - Cary Brothers
7. "Fair" - Remy Zero
8. "One of These Things First" - Nick Drake
9. "Lebanese Blonde" - Thievery Corporation
10. "The Only Living Boy In New York" - Simon & Garfunkel
11. "Such Great Heights" - Iron and Wine (l'originale è dei Postal Service)
12. "Let Go" - Frou Frou
13. "Winding Road" - Bonnie Somerville
Come si può notare, diversi brani o artisti erano apparsi su questo blog nei mesi scorsi. Affinità elettive.
Gli Shins, il mio gruppo preferito, ci sono non solo con la loro musica ma vengono anche nominati dalla protagonista.
La scena più bella quando, sotto la pioggia, parte The Only Living Boy In New York" di Simon e Garfunkel.
Io, un marine killer di civili.
"Ho visto l'orrore di quanto stiamo facendo ogni giorno in Iraq, vi ho preso parte. Siamo solo killer. Uccidiamo, continuamente, innocenti civili iracheni: niente di piu'. Penso che tutti i contingenti militari stranieri in Iraq debbano essere immediatamente ritirati. E lo dico agli altri soldati, che per evitare punizioni e rappresaglie dell'esercito non vogliono parlare e ammettere che la nostra missione non e' di uccidere terroristi ma civili innocenti". E' cosi', nell'intervista a "Il manifesto", che Jimmy Massey di Waynesville, piccola comunita' del North Carolina, ha deciso di strappare il velo di silenzio che avvolge la "nobile missione" in Iraq.
Dimesso dal corpo dei marines per ragioni mediche, ha scritto un diario, "Cowboys from Hell", che verra' pubblicato a fine estate.
- Patricia Lombroso: Qual era la sua posizione in Iraq?
- Jimmy Massey: Ero sergente nel terzo battaglione dei marines durante
l'invasione, nella primavera 2003.
- Patricia Lombroso: Quanto tempo ci e' rimasto?
- Jimmy Massey: Dal 22 marzo al 15 maggio. Quattro mesi d'inferno. Mi hanno dovuto rispedire negli Usa per stressed disorder. E' il termine usato nel gergo militare per dire che a causa dell'orrore vissuto in guerra sono uscito di senno.
- Patricia Lombroso: E' stato nei marines per molti anni?
- Jimmy Massey: Per dodici anni.
- Patricia Lombroso: Era mai stato in guerra, prima?
- Jimmy Massey: Mai.
- Patricia Lombroso: Lei ora e' membro del gruppo "Veterani dell'Iraq contro la guerra".
- Jimmy Massey: Si'. Mi sono recato in Iraq, inizialmente, con la convinzione di dover eliminare le armi di sterminio di massa. Presto pero' la mia esperienza di marine mi ha fatto capire che la realta' era tutt'altra. Eravamo dei "killer cowboy". Uccidevamo civili innocenti.
- Patricia Lombroso: Lei ammette di aver ucciso civili innocenti?
- Jimmy Massey: Si'. E parecchi.
- Patricia Lombroso: Come e' avvenuto?
- Jimmy Massey: Vicino alla nostra base a sud di Baghdad abbiamo dato l'assalto, con tutto il mio plotone, a un gruppo di civili che stava svolgendo una manifestazione pacifica. Perche'? Perche' avevamo udito dei colpi d'arma da fuoco. E' stato un bagno di sangue. Non c'era neppure l'alibi che quei civili potessero essere impegnati in "attivita' terroristiche", come la nostra intelligence voleva farci credere. Abbiamo
ucciso piu' di trenta persone. Quella e' stata la prima volta che ho dovuto affrontare l'orrore di avere le mani sporche del sangue di civili.
Bombardata anche con cluster bombs, la gente fuggiva e quando arrivava ai posti di blocco dove stavamo con i convogli armati, le indicazioni che ci dava l'intelligence era di colpire quelli che potevano presumibilmente appartenere a "gruppi terroristici".
- Patricia Lombroso: E voi cosa facevate?
- Jimmy Massey: Finivamo per massacrare civili innocenti - uomini, donne e bambini. Quando col nostro plotone abbiamo preso il controllo di una stazione radio non facevamo che inviare messaggi propagandistici diretti alla popolazione, invitandola a continuare la sua routine quotidiana, a tenere aperte le scuole. Noi sapevamo invece che gli ordini da eseguire erano di search and destroy, irruzioni armate nelle scuole, negli ospedali, dove potevano nascondersi i "terroristi". Erano in realta' trappole tese dalla nostra intelligence, ma noi non dovevamo tener conto delle vite dei civili che avremmo ucciso durante queste missioni.
- Patricia Lombroso: Lei ammette che durante la sua missione ha compiuto esecuzioni di civili innocenti?
- Jimmy Massey: Si'. Anche il mio plotone ha aperto il fuoco contro civili, anch'io ho ucciso innocenti. Sono anch'io un killer.
- Patricia Lombroso: Come ha reagito, dopo queste operazioni, pensando agli innocenti che aveva ucciso?
- Jimmy Massey: Per un po' sono andato avanti negando a me stesso la realta' - cioe' che ero un killer e non un soldato che sa distinguere il giusto dallo sbagliato - poi un giorno, svegliandomi al mattino mi e' venuto in mente un giovane, miracolosamente scampato al massacro dei passeggeri della sua auto, che urlando mi chiedeva: "Ma perche' hai ucciso mio fratello?". Divenne un'ossessione. Persi il controllo del mio equilibrio psichico. Ero incapace di muovermi e parlare, restavo con lo sguardo atterrito, fisso al muro.
- Patricia Lombroso: Che provvedimenti hanno preso i suoi superiori?
- Jimmy Massey: Per tre settimane, in Iraq, sono stato imbottito di antidepressivi, farmaci psicotropi. E' il loro pronto intervento per questi casi di "stress traumatico", quando i soldati cadono in preda a questo rifiuto di uccidere.
- Patricia Lombroso: Il vostro addestramento, negli Usa, non vi rende l'unita' piu' violenta ed aggressiva utilizzata dal Pentagono?
- Jimmy Massey: Si'. Nel programma denominato boot camp ognuno di noi viene sottoposto a tecniche di "disumanizzazione" e di "desensibilizzazione alla violenza". Ma a me non hanno mai detto che questo voleva dire uccidere civili innocenti.
- Patricia Lombroso: Tre settimane immobilizzato da antidepressivi in Iraq. E poi?
- Jimmy Massey: Non sapendo piu' cosa fare mi hanno fatto rientrare. Ora sono disabile, dimesso dall'esercito con honorable discharge.
- Patricia Lombroso: Altri sono nelle sue condizioni?
- Jimmy Massey: Molti. E sono ancora al fronte. Li imbottiscono di antidepressivi e poi li rispediscono a combattere. E' un problema che ha assunto dimensioni preoccupanti, ma non se ne deve parlare negli ambienti militari. Nel 2004, 31 marines si sono tolti la vita, 85 hanno tentato il suicidio. La maggioranza di coloro che hanno preferito togliersi la vita piuttosto che continuare ad uccidere e' sotto i 25 anni, il 16 per cento non ha piu' di 20 anni.
Dimesso dal corpo dei marines per ragioni mediche, ha scritto un diario, "Cowboys from Hell", che verra' pubblicato a fine estate.
- Patricia Lombroso: Qual era la sua posizione in Iraq?
- Jimmy Massey: Ero sergente nel terzo battaglione dei marines durante
l'invasione, nella primavera 2003.
- Patricia Lombroso: Quanto tempo ci e' rimasto?
- Jimmy Massey: Dal 22 marzo al 15 maggio. Quattro mesi d'inferno. Mi hanno dovuto rispedire negli Usa per stressed disorder. E' il termine usato nel gergo militare per dire che a causa dell'orrore vissuto in guerra sono uscito di senno.
- Patricia Lombroso: E' stato nei marines per molti anni?
- Jimmy Massey: Per dodici anni.
- Patricia Lombroso: Era mai stato in guerra, prima?
- Jimmy Massey: Mai.
- Patricia Lombroso: Lei ora e' membro del gruppo "Veterani dell'Iraq contro la guerra".
- Jimmy Massey: Si'. Mi sono recato in Iraq, inizialmente, con la convinzione di dover eliminare le armi di sterminio di massa. Presto pero' la mia esperienza di marine mi ha fatto capire che la realta' era tutt'altra. Eravamo dei "killer cowboy". Uccidevamo civili innocenti.
- Patricia Lombroso: Lei ammette di aver ucciso civili innocenti?
- Jimmy Massey: Si'. E parecchi.
- Patricia Lombroso: Come e' avvenuto?
- Jimmy Massey: Vicino alla nostra base a sud di Baghdad abbiamo dato l'assalto, con tutto il mio plotone, a un gruppo di civili che stava svolgendo una manifestazione pacifica. Perche'? Perche' avevamo udito dei colpi d'arma da fuoco. E' stato un bagno di sangue. Non c'era neppure l'alibi che quei civili potessero essere impegnati in "attivita' terroristiche", come la nostra intelligence voleva farci credere. Abbiamo
ucciso piu' di trenta persone. Quella e' stata la prima volta che ho dovuto affrontare l'orrore di avere le mani sporche del sangue di civili.
Bombardata anche con cluster bombs, la gente fuggiva e quando arrivava ai posti di blocco dove stavamo con i convogli armati, le indicazioni che ci dava l'intelligence era di colpire quelli che potevano presumibilmente appartenere a "gruppi terroristici".
- Patricia Lombroso: E voi cosa facevate?
- Jimmy Massey: Finivamo per massacrare civili innocenti - uomini, donne e bambini. Quando col nostro plotone abbiamo preso il controllo di una stazione radio non facevamo che inviare messaggi propagandistici diretti alla popolazione, invitandola a continuare la sua routine quotidiana, a tenere aperte le scuole. Noi sapevamo invece che gli ordini da eseguire erano di search and destroy, irruzioni armate nelle scuole, negli ospedali, dove potevano nascondersi i "terroristi". Erano in realta' trappole tese dalla nostra intelligence, ma noi non dovevamo tener conto delle vite dei civili che avremmo ucciso durante queste missioni.
- Patricia Lombroso: Lei ammette che durante la sua missione ha compiuto esecuzioni di civili innocenti?
- Jimmy Massey: Si'. Anche il mio plotone ha aperto il fuoco contro civili, anch'io ho ucciso innocenti. Sono anch'io un killer.
- Patricia Lombroso: Come ha reagito, dopo queste operazioni, pensando agli innocenti che aveva ucciso?
- Jimmy Massey: Per un po' sono andato avanti negando a me stesso la realta' - cioe' che ero un killer e non un soldato che sa distinguere il giusto dallo sbagliato - poi un giorno, svegliandomi al mattino mi e' venuto in mente un giovane, miracolosamente scampato al massacro dei passeggeri della sua auto, che urlando mi chiedeva: "Ma perche' hai ucciso mio fratello?". Divenne un'ossessione. Persi il controllo del mio equilibrio psichico. Ero incapace di muovermi e parlare, restavo con lo sguardo atterrito, fisso al muro.
- Patricia Lombroso: Che provvedimenti hanno preso i suoi superiori?
- Jimmy Massey: Per tre settimane, in Iraq, sono stato imbottito di antidepressivi, farmaci psicotropi. E' il loro pronto intervento per questi casi di "stress traumatico", quando i soldati cadono in preda a questo rifiuto di uccidere.
- Patricia Lombroso: Il vostro addestramento, negli Usa, non vi rende l'unita' piu' violenta ed aggressiva utilizzata dal Pentagono?
- Jimmy Massey: Si'. Nel programma denominato boot camp ognuno di noi viene sottoposto a tecniche di "disumanizzazione" e di "desensibilizzazione alla violenza". Ma a me non hanno mai detto che questo voleva dire uccidere civili innocenti.
- Patricia Lombroso: Tre settimane immobilizzato da antidepressivi in Iraq. E poi?
- Jimmy Massey: Non sapendo piu' cosa fare mi hanno fatto rientrare. Ora sono disabile, dimesso dall'esercito con honorable discharge.
- Patricia Lombroso: Altri sono nelle sue condizioni?
- Jimmy Massey: Molti. E sono ancora al fronte. Li imbottiscono di antidepressivi e poi li rispediscono a combattere. E' un problema che ha assunto dimensioni preoccupanti, ma non se ne deve parlare negli ambienti militari. Nel 2004, 31 marines si sono tolti la vita, 85 hanno tentato il suicidio. La maggioranza di coloro che hanno preferito togliersi la vita piuttosto che continuare ad uccidere e' sotto i 25 anni, il 16 per cento non ha piu' di 20 anni.
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