venerdì, maggio 08, 2020

S’infittisce l’ombra di George Soros sulla Corte europea dei diritti umani

Il 25 febbraio ci siamo domandati se per caso la Corte europea dei diritti umani (CEDU) non dipendesse da George Soros. Lo abbiamo fatto dando notizia di un devastante rapporto realizzato dallo European Centre for Law & Justice (ECLJ) di Strasburgo e intitolato Les ONG et les juges de la CEDH, 2009-2019, disponibile anche in lingua inglese e in lingua spagnola. Dopo due mesi la CEDU ha “risposto” al rapporto dell’ECLJ: confermando e rafforzando il peso di Soros al proprio interno. Spiega come e perché un nuovo exposé pubblicato dall’ECLJ firmato da Grégor Puppinck, PhD, direttore dell’ECLJ stesso, nonché membro del Comitato di esperti per la riforma della CEDU e già co-autore del rapporto di febbraio. Anzitutto, però, i termini della questione.

La denuncia dell’ECLJ

L’ECLJ è una ONG internazionale che si occupa della promozione e della protezione dei diritti umani e della libertà religiosa nel mondo. Dal 2007 gode dello status di Consulente Speciale al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite dell’Organizzazione delle Nazione Unite.

Grégor Puppinck, PhD, direttore dello European Centre for Law & Justice (ECLJ) di Strasburgo

Dopo un’indagine scrupolosa, durata sei mesi e relativa al decennio 2009-2019, in febbraio l’ECLJ ha pubblicato il citato rapporto, concludendo che, dei 100 giudici permanenti che compongono la Corte, 22, cioè poco meno di un quarto dell’assise, presentano legami con sette ONG, essendone stati, prima di diventare giudici della CEDU, collaboratori o persino dirigenti. Le sette ONG in questione sono (in ordine alfabetico) l’A.I.R.E. Centre (Centro per i diritti individuali in Europa), Amnesty International, la Commissione Internazionale dei Giuristi, la rete di comitati e fondazioni HelsinkiHuman Rights WatchInterights (Centro internazionale per la protezione giuridica dei diritti dell’uomo) nonché il network denominato Open Society Foundations e le sue diverse branche, in particolare l’Open Society Justice Initiative. Di quei 22 giudici legati a queste sette ONG, 12 presentano rapporti diretti con Open Society, che quindi, di quelle sette ONG, è quella a cui afferisce il numero di giudici maggiore di detto gruppo: lo dimostrano le biografie dei giudici, disponibili sul sito dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE). Del resto le sei ONG identificate nel rapporto oltre a Open Society sono tutte finanziate da Open Society. Ancora, 18 di quei 22 giudici hanno presenziato a casi presentati o sostenuti da Open Society. Nei dieci anni presi in considerazione il rapporto individua infatti 88 casi problematici. Almeno. Più altri, dove il legame fra giudici e ONG è indiretto, e i legami indiretti nel rapporto non vengono presi in considerazione. In gioco c’è insomma l’indipendenza della Corte che in Europa arbitra nientemeno che i diritti umani e la trasparenza del suo operato, chiunque siano le ONG in questione. Anzitutto e soprattutto una questione cristallina di metodo, prima ancora che di merito. Ma subito dopo il merito c’entra eccome. Tutti infatti sappiamo chi Open Society sia, la rete di organizzazioni del milionario George Soros che nel mondo propaganda e finanzia la mentalità abortista e la cultura transgender.

Irregolarità

Due mesi dopo, dunque, la CEDU “risponde” alla denuncia dando ragione all’ECLJ. Ha infatti eletto quello che Puppinck definisce «il controversissimo giudice Yonko Grozev, bulgaro, all’importantissimo rango di “presidente di sezione”». Perché Puppinck definisce Grozev «controversissimo»? Perché «[…] Grozev ha speso una carriera intera da avvocato e da attivista di ONG vicine a George Soros o da lui finanziate, fino a che non è diventato uno dei leader mondiali della branca di Open Society specializzata nell’uso di istituzioni giuridiche per scopi politici (Open Society Justice Initiative). Tra l’altro è diventato famoso pure come avvocato del gruppo di donne punk (le Pussy Riot) che si sono rese protagoniste di gesti sacrileghi nella cattedrale di Mosca». Ora, ad “iFamNews” siamo convinti graniticamente che tutti abbiano sempre diritto a un avvocato difensore (è uno dei lasciti più luminosi alla civiltà mondiale del Medioevo, Inquisizione compresa, come evidenzia bene per esempio lo specialista italo-statunitense John Tedeschi in Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana), e sappiamo bene che solo i dispotismi e i totalitarismi negano l’istituto dell’avvocato difensore, ma nondimeno alcuni fatti solleticato la nostra innata curiosità giornalistica.

«Già nel 2014», spiega Puppinck sul conto di Grozev, «erano state messe in dubbio le modalità della sua nomina a Strasburgo, giacché tre membri del comitato bulgaro incaricato della selezione erano suoi colleghi di ONG. Una denuncia al Consiglio d’Europa per l’irregolarità della procedura di selezione, presentata da un’organizzazione locale, venne però respinta». Grozev, un «[…] attivista» privo di «[…] esperienza come magistrato (analogamente alla maggioranza dei giudici di Strasburgo) è così diventato uno dei 47 giudici della Corte europea dei diritti umani. Poco dopo la sua elezione, i suoi nuovi colleghi hanno deciso a suo favore nel caso delle Pussy Riot, ordinando alla Russia di pagargli, come è prassi, un risarcimento sostanziale».

Incontrastato

Una volta che Grozev è stato nominato giudice, «[…] gli sono stati tolti casi che aveva portato davanti alla CEDU in qualità di avvocato o che vi erano stati portati dalle ONG di cui aveva fatto parte. Laddove in nove di questi casi ha rinunciato a comparire in qualità di giudice esattamente come era suo dovere fare, Grozev è comunque comparso in almeno altri 10 casi presentati o sostenuti da ONG che lui stesso aveva fondato o diretto fino a poco tempo prima», casi di cui è disponibile l’elenco. Come dice Puppinck, «questa condotta costituisce una violazione grave e ripetuta degli obblighi etici fondamentali di un giudice» e, «in qualsiasi Paese dove viga il rule of law, chi si rendesse colpevole di violazioni di questo tipo andrebbe soggetto a severe sanzioni disciplinari». Fu a quel tempo che il ministero bulgaro della Giustizia sollevò pubblicamente la possibilità che Grozev venisse rimosso dall’incarico, rimettendosi peraltro alla CEDU. Adesso Grozev «dirigerà una delle cinque sezioni della Corte, parteciperà alla gestione generale di essa e presenzierà sistematicamente nei casi più importanti». Sarà pure il giudice incaricato della deontologia nella sezione che presiederà «[…] e deciderà da solo, caso per caso, se invitare, consentire o rifiutare l’intervento delle ONG nei casi» in oggetto. Niente male.

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